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La nuova serie del progetto editoriale “What’s in a Lamp?” ci invita a guardare le cose da una prospettiva diversa. I pattern geometrici di Lee Wagstaff nascondono più di quanto possa emergere al primo sguardo rivelando realtà alternative e personaggi fantastici nelle forme delle lampade Foscarini.

Il percorso artistico di Lee Wagstaff, dalla precoce passione per i disegni scientifici durante l’infanzia fino alla formazione artistica alla scuola St. Martins e al Royal College of Art di Londra, è segnato dall’esplorazione creativa dei pattern e delle geometrie e trova espressione nel suo stile unico, caratterizzato da una dinamica combinazione di forme e colori. Nell’arte di Wagstaff, l’osservazione è fondamentale. La sua estetica richiama le illusioni dell’Optical Art, i paesaggi onirici del Surrealismo e la vivacità della Pop Art, e riesce a suscitare meraviglia e curiosità sfidando la percezione. Se l’osservazione profonda delle sue opere rivela infatti dettagli intricati, allontanandosi si rivelano invece volti nascosti, personaggi e storie.

Nella sua serie per il progetto “What’s in a Lamp?” di Foscarini l’artista britannico crea un universo parallelo abitato da maghi, giullari e spiriti, i cui volti enigmatici emergono tra intricati intrecci geometrici dai colori vivaci. La collezione Foscarini, con le sue molteplici lampade caratterizzate da personalità diverse, stimola l’immaginazione di Lee Wagstaff, ispirandolo a immaginare e creare storie e personaggi fantastici. E così prendono vita il vivace giullare Orbital e il mistico genio Plass; Caboche si trasforma in una saggia sovrana dai mille occhi e le forme diverse di Spokes incarnano misteriosi spiriti.

“Cerco di catturare un senso di mistero o un’essenza, invitando l’osservatore a non fidarsi dei propri sensi. Inizio individuando dei volti, che gradualmente si caricano di personalità. Suggerisco appena la loro presenza, permettendo allo spettatore di costruire il personaggio nella propria mente e meravigliarsi della sua scoperta.”

Lee Wagstaff

Scopri tutte le opere della serie sul profilo Instagram @foscarinilamps e lasciati ispirare dal percorso artistico di Wagstaff e dalla sua visione creativa leggendo la nostra intervista.

Raccontaci un po’ di te e del tuo percorso. Dove è iniziato tutto? Come sei diventato un artista?

Ero un bambino molto tranquillo e introverso, quindi disegnavo molto, soprattutto la natura. A scuola mi piacevano molto le lezioni di scienze, non tanto per le nozioni, ma perché mi piaceva arricchire di disegni i miei compiti a casa. Il mondo dell’arte è qualcosa a cui sono arrivato per il fatto che avevo alcuni amici artisti, con cui ho frequentato dei corsi serali. Con il tempo, ho approfondito i miei studi alla St. Martins e poi al Royal College of Art di Londra. Per me, l’arte non è mai stata un percorso professionale, ma un modo per osservare il mondo più intensamente.

 

La tua estetica artistica è straordinariamente unica, con pattern ipnotici che rivelano volti realistici quando osservati da lontano. Come definiresti il tuo stile?

La gente me lo chiede spesso. Ho sempre amato i pattern e la geometria da quando riesco a ricordare e probabilmente c’è una connessione tra questo e la mia passione infantile per i disegni scientifici. In biologia ci sono molti pattern. Quando ho iniziato a studiare arte, ho voluto esplorare pattern più definiti e rigorosi. Nel mio lavoro si possono trovare elementi di Optical Art, Pop Art, Surrealismo e astrazione. Direi che mi piace lavorare seguendo una struttura, ma cerco sempre di spingere i miei limiti sia dal punto di vista tecnico che intellettuale.

 

Come si è evoluto nel tempo il tuo stile espressivo? È stato uno sviluppo naturale o il risultato di una ricerca e sperimentazione intenzionali?

Sperimento molto. Ci sono voluti anni perché la mia arte diventasse quello che è ora e spero che continui a evolversi nel tempo. Che ci crediate o no, il mio obiettivo a lungo termine è raggiungere uno stile artistico il più semplice possibile, ma sento sia necessario attraversare una fase di maggiore complessità per arrivarci.

 

Perché i pattern giocano un ruolo così significativo? Che significato hanno per te?

I pattern sono indicatori, aiutano a prevedere le cose. Sono interessato a tutti i tipi di pattern, non solo quelli decorativi, ma anche pattern comportamentali o nel trovare pattern nella storia. La mia ricerca consiste nel trovare connessioni tra oggetti, eventi o persone che, a prima vista, sembrano non correlati.

 

Qual è il tuo processo creativo quando lavori alle tue opere? Hai dei rituali o abitudini ricorrenti?

Sì, ho dei rituali ben definiti per quanto riguarda gli orari e il luogo in cui lavoro, i materiali che utilizzo, eccetera. Di solito, lavoro contemporaneamente su almeno sei dipinti, o anche di più, e ne distruggo molti nel corso del processo creativo.

 

Puoi raccontarci qualcosa del tuo processo creativo e narrativo, specialmente in questa serie?

Questo progetto è stato un’esperienza interessante e più impegnativa di quanto mi aspettassi. Non avevo mai affrontato prima il compito di interpretare la visione artistica di altri attraverso il mio stile. Ho cercato di essere rispettoso nei confronti dei designer, ma anche fedele alla mia visione. Lavorare su questo progetto mi ha spinto a essere più audace nell’esplorare le possibilità dei colori e ad immaginare che questi oggetti/personaggi possono esistere nella realtà.
Di solito, il mio processo inizia con un’attenta osservazione dei pattern e delle forme, poi immagino volti, e poi i volti iniziano ad assumere una personalità.  Il mio obiettivo artistico è catturare un senso di mistero o un’essenza, ma voglio anche che chi osserva sia spinto inizialmente a non fidarsi dei propri sensi, per poi meravigliarsi di quello che pensa di essere riuscito a scorgere. Lascio che lo spettatore costruisca il personaggio nella propria mente; forse gli ricorderà qualcuno che conosce o un volto che ha visto da qualche parte.

 

Puoi descrivere i personaggi che hai immaginato per la serie “What’s in a Lamp?” e cosa li ha ispirati?

Non appena ho visto le lampade della collezione Foscarini ho subito notato che i designer condividono la mia passione per i pattern e le forme. Immediatamente ho iniziato a vedere dei volti all’interno o intorno alle lampade e a dar vita a personaggi ispirandomi ai loro nomi suggestivi. Plass è uno spirito magico, simile a un genio racchiuso in un contenitore, che osserva il mondo attraverso la sua superficie cristallina, in attesa di esaudire un desiderio o fare una profezia. Orbital è un giullare, sempre pronto a portare gioia con le sue forme e i suoi colori, un compagno fedele nei giorni belli e in quelli difficili. Gregg è una dea nata da un uovo cosmico che risplende e illumina; la sua bellezza è eterna, il suo bagliore soprannaturale. Spokes sono tre spiriti timidi, tre sorelle che appaiono solo a chi ha una fervida immaginazione e la pazienza di osservare e attendere. Quando le ombre si spostano, è lì che le sorelle appaiono. Caboche è una sovrana dai mille occhi. Il suo diadema le copre il volto, ogni sfera è una lente. Lei vede tutto e sa tutto. E la sua sola presenza getta bellezza e saggezza su tutto ciò che le sta attorno. Sun Light of Love un autentico essere celeste. Durante il giorno, si presenta come una silhouette puntuta e curiosa, un pianeta dai misteri nascosti; di notte, brilla come una stella ardente, un vero faro dell’amore.

Tra le opere della tua serie “What’s in a Lamp?”, qual è la tua preferita? Cosa la rende speciale?

È abbastanza difficile scegliere, mi sento molto legato a tutte e sei le lampade che ho ritratto. Ho passato molto tempo a guardarle e ad immaginare cosa avrei potuto aggiungere a quelle forme. Se dovessi sceglierne una, sarebbe Gregg, perché è una forma geometrica unica a sé stante, che è un blocco di partenza per creare qualsiasi pattern. È elegante nella sua semplicità e ha una presenza affascinante e calma. Ovunque si trovi, ha il potere discreto e gentile di migliorare l’ambiente circostante, sia che si tratti di spazi interni o esterni, grandi o piccoli.

 

Hai mai considerato l’integrazione dell’intelligenza artificiale nel tuo processo artistico? Secondo te, l’IA potrebbe favorire l’innovazione e ampliare l’espressione artistica?

Mi è capitato di utilizzare le “Reti Generative Avversarie” (GAN) per creare volti simmetrici unici per i miei dipinti. La tecnologia GAN che utilizzavo permetteva di “incrociare” uno specifico volto con altre migliaia di volti con cui il sistema era stato alimentato e addestrato. Questo rendeva possibile introdurre più facilmente i tratti specifici di familiari, ad esempio, o del viso della Monna Lisa. Dal mio punto di vista, si tratta semplicemente di uno strumento, come Photoshop, o una penna. I programmi di intelligenza artificiale sono divertenti e possono aiutare in molti progetti. L’IA è espansiva, e in questo senso permette a molte più persone di partecipare alla creazione di immagini e idee, tuttavia, pur potendo creare contenuti, non ha immaginazione, e questo è qualcosa che, al momento, non può essere insegnato. Il modo in cui funzionano le piattaforme di IA più popolari è una sorta di riorganizzazione predittiva dei dati. Per me, è uno strumento sorprendente, specialmente per la velocità, ma i risultati sono per lo più deludenti perché spesso sono molto populisti,  persino prevedibili.

 

Cos’è la creatività per te?

Per me, la creatività è partire da nulla o da pochissimo e trasformare un’idea in qualcosa di concreto, che possa essere condiviso o utilizzato. È risolvere un problema, ma non sempre nel modo più semplice o ovvio.

 

Francesca Gastone ha un talento nel mescolare elementi della realtà in straordinarie opere di digital collage che ispirano stupore e gioia. Nella sua ultima serie, parte del progetto “What’s in a lamp?”, le lampade Foscarini diventano l’elemento propulsore di suggestivi micro-mondi, in cui si creano ed animano scene di vita quotidiana.

Francesca Gastone, laureata in Architettura presso il Politecnico di Milano e con una specializzazione in illustrazione editoriale, trae ispirazione dalle sue esperienze in metropoli come São Paulo e Hong Kong. Le sue illustrazioni catturano l’essenza delle interazioni umane, delle emozioni, dell’unicità di ciascun individuo nella moltitudine, mentre la sua formazione in architettura si riconosce nell’attenta gestione spaziale e nella composizione

Nella sua serie per “What’s in a lamp?” Francesca Gastone illustra, con la tecnica del collage digitale, racconti di vita che prendono forma intorno a una selezione di lampade della collezione Foscarini. In queste suggestive illustrazioni, ogni lampada illumina episodi di quotidianità in micro-mondi che risultano familiari e surreali al tempo stesso, sviluppando narrazioni in cui è naturale immergerci e delineando protagonisti nei quali immedesimarci. Storie visive che, come ponti verso le lampade che le animano, tracciano percorsi che ci avvicinano alla loro luce.

“Il tempo scorre in un susseguirsi di mattine, pomeriggi, sere e nottate; le lampade restano apparentemente immutabili, eppure hanno questo potere bellissimo di accendersi e diventare anch’esse vive, trasformarsi e trasformare lo spazio e la vita intorno a loro — l’unica differenza è che questa magia, nelle mie illustrazioni, è posta su scala differente.”

Francesca Gastone

In questa intervista esclusiva, Francesca Gastone ci porta nel suo mondo creativo, raccontandoci il percorso che l’ha portata dall’infanzia, quando il disegno era la sua passione, fino alla maturità come illustratrice e architetta. Condividendo le influenze che hanno plasmato la sua visione artistica, approfondisce l’ispirazione dietro a questa serie realizzata con Foscarini.

Ciao, Francesca! Ci puoi raccontare qualcosa di te e del tuo percorso artistico? Quando hai iniziato a dedicarti al disegno e quando hai capito che volevi diventare un’illustratrice?

L’approccio al disegno è sempre stato per me naturale e l’amore per l’arte in tutte le sue forme mi ha portata a un diploma al liceo artistico e, successivamente, a una laurea in architettura. Ho iniziato a lavorare come architetto in Italia e, poi, a San Paolo (in Brasile) e ad Hong Kong. Il primo approccio all’illustrazione è nato casualmente dalla necessità di risolvere questioni di interior design. Mi trovavo a San Paolo, che culturalmente è una città ricchissima, e dove ho trovato terreno fertile per iniziare ad approcciare questo mondo: ho cominciato a comprare sempre più riviste e libri illustrati, a fare workshop e corsi, ma avevo pochissima consapevolezza di come l’illustrazione potesse declinarsi in una vera professione. La nascita di mia figlia Olivia ha coinciso con il mio trasferimento ad Hong Kong. Questo periodo, fatto di ritmi lenti ma serrati, ma anche di scoperta, curiosità, e una vera e propria immersione nei picture books, ha rappresentato una scossa. Un giorno ho preso un aereo per Shanghai ed ho trascorso tre giorni a mostrare i miei lavori (in quel momento totalmente acerbi) alla Shanghai Children’s Book Fair. Non ho raccolto molto, ma ho capito che era una strada vera, percorribile e l’illustrazione è diventata una necessità. Sentivo però di non avere delle basi solide, perciò nel 2021 ho deciso di iscrivermi a un master a Milano. Da quel momento la prospettiva su questa professione è cambiata e ho capito che l’illustrazione riassumeva in giusta dose tutto ciò che amavo.

 

 

Come convivono e si influenzano reciprocamente le due anime di Francesca Gastone, l’architetto e l’illustratrice?

Convivono e si influenzano costantemente, tanto da non sapere spesso riconoscere dove finisce una e comincia l’altra. Ricordo che a 7 anni disegnavo solo tetti e tegole e la maestra scherzò con mia madre dicendole che avrei fatto l’architetto. Non so se sia stata la fiducia incondizionata verso il suo giudizio o un’attitudine reale a spingermi, ma presi quella frase come una rivelazione, come se avessi ricevuto un dono e la strada davanti fosse diventata magicamente chiara. La figura dell’architetto mi sembrava magica e potentissima; nessuno nella mia famiglia aveva mai lavorato in questo ambito. Questo aneddoto oggi mi fa sorridere e credo che l’architettura resti una delle mie più grandi passioni, le devo tantissimo, ma nel corso degli anni e dopo aver vissuto in tre continenti con approcci diversi al lavoro di architetto, ho capito che quel ruolo mi stava spesso stretto. L’illustrazione ha in qualche modo risolto tante cose che in me erano sospese, ma la verità è che mi sento un architetto anche quando faccio l’illustratrice. La scuola politecnica mi ha dato un metodo che quasi inconsciamente ripongo in ogni aspetto professionale della mia vita. È un bagaglio utilissimo ma molto ingombrante e che spesso mi fa chiudere in schemi da cui mi è difficile liberarmi.

 

 

Come descriveresti il tuo stile artistico, e come si è evoluto nel corso del tempo?

In realtà, ho iniziato facendo quello che ho sempre fatto in architettura, solo che invece di piante, prospetti e sezioni, ho iniziato a costruire architetture immaginarie e metaforiche per poi renderle abitate. L’architettura si presta alla relazione con concetti molto più ampi del solo abitare; si fa strumento per affrontare qualunque tema, perché è dentro di tutti noi. Gli esseri umani hanno questa meravigliosa capacità di abitare spazi, ma anche sensazioni, emozioni, idee. Siamo in grado di scegliere quanto e come occupare e quanto invece lasciare… un vuoto, un silenzio, fisica e astrazione. Questo è ciò che mi muove. Spesso ricorro, come nel caso di Foscarini, al contrasto tra scale diverse, trasformando oggetti in piccole architetture abitate. Il contrasto che ne scaturisce porta alla sorpresa, e quando riesco a meravigliare, penso di aver fatto un buon lavoro. È una buona misura di valutazione. Altro aspetto fondamentale è l’uso del collage: se per alcuni elementi ammetto l’astrazione e mi discosto dalla realtà perché il collegamento al tema sia immediato, i personaggi ed alcuni oggetti che scelgo sono sempre reali ed inseriti a collage. Questo legame con il reale è per me necessario, e la scelta della giusta espressione, posizione, sguardo diventa maniacale.

Qual è la tua più grande fonte di ispirazione quotidiana e come coltivi la tua creatività?

Senza dubbio, le persone e le loro diversità. Le mie illustrazioni raramente urlano un messaggio; si fanno manifesto. Sono invece l’immagine di un futuro per me ideale. Sono fatte per lo più da persone; la componente umana è necessaria alla lettura stessa dell’immagine. Aver vissuto in due megalopoli come San Paolo ed Hong Kong ha fatto sì che allenassi il mio sguardo verso le vite degli altri, riconoscere le unicità nella moltitudine. Le persone che disegno sono portatrici di un’identità ed un sentire comune, pur mantenendo ognuna la propria unicità. Forse è per questo che amo le grandi città: questo senso identitario condiviso è più comune e afferrabile, diventa quasi un bisogno. La mia creatività la coltivo principalmente così: osservando e fotografando continuamente soggetti, luoghi, atmosfere. Ho un’infinità di cartelle sul PC con foto che spesso guardo ed uso al bisogno. Ma nulla di questo sarebbe possibile senza uno studio costante e una curiosità incessante verso il passato (ciò che è già stato fatto, i maestri, il bagaglio che ci portiamo) ma anche verso ciò che succede intorno a me nel presente. Viviamo in un momento dove gli stimoli sono eccessivi e sono ovunque; bisogna sviluppare un proprio senso critico verso le cose. Questo credo sia importantissimo.

 

Come è nata la collaborazione con Foscarini?

Foscarini è un brand che nella mia vita da architetto è sempre stato presente, dai prodotti ad Inventario. Realizzare una collaborazione con Foscarini è quello che per me si potrebbe definire un “dream project”, la sintesi perfetta di ciò che più amo.

 

Nel progetto “What’s in a lamp?” per Foscarini, hai creato affascinanti ‘micro-mondi’ intorno alle lampade della collezione. Ci racconti qualcosa di più dell’ispirazione dietro a questa serie?

Il punto da cui sono partita sono i prodotti Foscarini. Volevo fossero al centro del racconto e ho iniziato a guardarli nella loro proporzione di pieni e vuoti, con una vita propria scandita dal tempo e dalla luce, naturale o artificiale, con le loro ombre. È stato quasi naturale farli vivere come delle piccole architetture attorno a cui si muove la vita. Il tempo scorre in un susseguirsi di mattine, pomeriggi, sere e notti; le lampade restano apparentemente immutabili, ma hanno questo potere bellissimo di accendersi e diventare anch’esse vive, trasformarsi e trasformare lo spazio e la vita intorno a loro. È una piccola magia insomma, e una riflessione su quanto questa magia accada quotidianamente, qui è solo posta su scala differente.

 

Ci sono oggetti che, un po’ come le lampade Foscarini nella tua serie, rappresentano per te dei punti fissi, delle presenze costanti intorno alle quali si sviluppano le tue esperienze quotidiane?

Ho abitato tantissime case ed ho un rapporto difficile con il concetto stesso di casa (forse da qui la mia ossessione sull’abitare) e nel corso degli anni sono diventata sempre più selettiva nella scelta degli oggetti che mi circondano, ma la costante associata al “punto fisso” in ognuna di queste case credo sia sempre stato il tavolo da pranzo. Su quel tavolo gira sempre la vita dell’intera casa, dal consumo dei pasti, alla preparazione stessa, allo studio, al lavoro, alla sperimentazione, al gioco, alla conversazione, all’ospitalità. Infatti, attualmente, occupa quasi l’intera casa. Se invece devo pensare a oggetti specifici che in queste undici case mi hanno seguita, sono tutti oggetti di poco ingombro e facili da trasportare: una statuetta dell’Espírito Santo in legno, regalo di un amico; un libro di Zumthor; una vecchia fotografia di mio nonno che immortalava la fioritura di una pianta grassa; un’incisione di un gruppo di araucaria brasiliane. Una piccola Wunderkammer trasportabile.

 

Puoi approfondire l’aspetto narrativo del tuo processo creativo?

Lo storytelling che si cela dietro ad ogni lavoro è importantissimo e svolge un ruolo fondamentale; arricchisce il lavoro stesso e lo determina. Scegliere cosa dire, in che misura, come dirlo, quale tono di voce usare si riversa in tutte le scelte formali che ne seguono, dalla composizione ai pesi, alla palette. I lavori che preferisco sono quelli che nel raccontare non si pongono come obiettivo quello di dare risposte, ma bensì aprire domande. Credo che il lavoro svolto per Foscarini ben rappresenti un esempio di quest’ultimo: le illustrazioni raccontano la vita che accade intorno alle lampade, ma non ci danno istruzioni su come sia meglio viverle. In quelle vite ci rispecchiamo, ci riconosciamo, ci domandiamo che ruolo avremmo potuto assumere, quale orario della giornata sentiamo più nostro, quale luce ci fa stare più a nostro agio. Sono un ponte di contatto con le lampade rappresentate, delineano percorsi che ci avvicinano a loro e ci fanno venire voglia di prendere parte a questa giostra di vita.

 

Qual è la tua illustrazione preferita all’interno di questo progetto e quale significato ha per te?

Ognuna di queste illustrazioni è stata per me un viaggio, ma credo di preferire fra tutte la notte di Cri Cri. È l’unica lampada che ho disegnato accesa nelle ore notturne, proprio perché il suo sembrare una piccola lanterna mi ha subito evocato la meraviglia di come una notte possa essere abitata, in questo momento intimo e magico dove un bimbo è assorto nella lettura di un libro.

 

Qual è il tuo soggetto preferito da disegnare?

I bambini, per svariati motivi. Primo fra tutti il fatto che rendono immediata la trasmissione di un concetto e di una particolare emozione, perché le attività che li vedono coinvolti spesso riassumono concetti molto più articolati e complessi in modo semplice ed immediato. Il gioco come metafora della vita. Poi sono anche bellissimi da disegnare, e mi sono spesso sentita dire che sorrido mentre li disegno. Il migliore antidepressivo insomma.

 

Cos’è per te la creatività?

Ti rispondo riprendendo il verbo che tu hai scelto nelle domande precedenti per parlare di creatività: coltivare. Credo che l’uso di questo verbo ne determini bene la natura: viva. Necessita di nutrimento quotidiano, attenzione e cura, ma anche della capacità di farla crescere e risplendere. Questa capacità è legata alla preparazione, oltre che alla semplice predisposizione.

Lasciati trasportare nel mondo dei collage illustrati di Francesca Gastone e scopri l’intera serie sul canale Instagram @foscarinilamps

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“Per qualcuno può essere semplicemente fare luce. Foscarini 1983/2023” è la monografia edita da Corraini Edizioni che celebra i primi 40 di Foscarini, presentata in anteprima alla Milano Design Week 2024.

Il design, come lo intendiamo noi e chi lavora con noi, è dare senso alle cose attraverso il confronto, imparando senza sosta per realizzare non un’altra lampada ma quella particolare luce: che parla alle persone e le fa sentire a casa. Ogni azienda ha il suo modo di stare al mondo; il nostro ci porta a lavorare sulla complessità progettuale, perché fare impresa significhi fare cultura del progetto e produrre lampade cariche di senso, per aggiungere un capitolo, un paragrafo o semplicemente una frase alla lunga storia del design.
Nel volume “Per qualcuno può essere semplicemente fare luce. Foscarini 1983/2023” si raccontano le storie, le idee, i prodotti, con cui abbiamo accompagnato l’evoluzione del design della luce in questi primi 40 anni.

La monografia, a cura di Alberto Bassi e Ali Filippini ed edita da Corraini, è composta di sei percorsi tematici ciascuno comprensivo di un approfondimento critico e una selezione di lampade, con un regesto dell’intera produzione. Un volume di 320 pagine arricchito dagli autorevoli contributi di Aurelio Magistà, giornalista, autore e docente universitario; Gian Paolo Lazzer, sociologo e docente universitario, Beppe Mirisola, scrittore e Veronica Tabaglio, ricercatrice; Stefano Micelli, economista e docente universitario; Massimo Curzi, architetto e Beppe Finessi, architetto, ricercatore, critico, direttore di Inventario.

Testimonianze e ricordi per condividere e descrivere i valori e le specificità di Foscarini; dati e immagini che sottolineano il percorso compiuto, esaminando l’impatto nel sistema design italiano, con uno sguardo sempre proiettato al futuro in linea con la filosofia aziendale.

“Sono passati quarant’anni, ma quando accendiamo una nuova lampada è sempre come la prima volta. Perché c’è qualcosa di magico nell’attimo in cui un’idea, diventata un oggetto che illumina, mostra la sua luce. È il fascino ancestrale della nascita della luce – materiale immateriale che plasma il nostro mondo – che ci fa dire, ancora dopo quarant’anni, che la lampada più importante è sempre la prossima. E ci spinge a continuare a coltivare quei corti circuiti umani con progettisti, artisti, artigiani senza i quali nessun nostro progetto prenderebbe forma”.

Carlo Urbinati
/ Fondatore e Presidente Foscarini

Foscarini 1983 / 2023

Per qualcuno può essere semplicemente fare luce.

Le storie, le idee, i prodotti, nel racconto di un’azienda che da quarant’anni accompagna l’evoluzione del design della luce.
Una monografia edita da Corraini Edizioni a cura di Alberto Bassi e Ali Filippini.

Fausto Gilberti, noto per il suo stile minimalista popolato di figure stilizzate con occhi grandi e corpi sottili, dà vita a una nuova serie nel progetto editoriale “What’s in a Lamp?” di Foscarini.

Fausto Gilberti  è un artista poliedrico: pittore, disegnatore e autore di libri che raccontano l’arte, specialmente quella contemporanea e concettuale, con ironia e curiosità. Il suo stile distintivo, in bilico tra pittura e disegno, tra grafica e illustrazione, racconta storie per immagini in cui personaggi stilizzati dagli occhi grandi emergono su uno sfondo bianco indefinito, creando scenari unici e immediatamente riconoscibili.

I suoi “omini” iconici si muovono in uno spazio etereo in cui interagiscono con le lampade Foscarini dando vita a situazioni ironiche e surreali.  Un tratto minimalista e sintetico, frutto di anni di ricerca volti a trovare un segno grafico personale, universale, che rappresenti la figura umana ridotta ai minimi termini. In questo, trova un comune fil rouge con il design delle lampade Foscarini: la ricerca della sintesi, l’eliminazione del superfluo per raggiungere l’essenziale. Gilberti afferma: “Con il disegno ho sempre cercato semplicità delle forme e purezza del segno. Questi elementi formali li ho trovati anche nelle lampade Foscarini. Nel disegnarle mi sono subito accorto che la loro forma era in perfetta armonia con quella delle mie figure.”

In questa serie inedita di disegni, l’omino archetipico di Gilberti interagisce con le lampade della collezione Foscarini, sostenendole, abbracciandole e immergendosi figurativamente nella loro luce e forma. Uno sguardo unico sul rapporto intimo tra l’individuo e la luce.

Le illustrazioni in bianco e nero sono vibranti ed espressive; piccoli dettagli contraddistinguono i personaggi stilizzati, e le lampade – unica nota di colore –  contribuiscono a delineare la personalità del personaggio che con esse interagisce, così come – quando le scegliamo per le nostre case – raccontano qualcosa di noi.

Segui il progetto “What’s in a Lamp?” su Instagram per scoprire l’intera serie e leggi la nostra intervista esclusiva con l’artista Fausto Gilberti, scopri le sue fonti di ispirazione, la sua ricerca artistica e scopri di più sulla collaborazione con Foscarini.

Com’è cominciata la tua avventura artistica? Hai sempre intuito che l’arte sarebbe stata il tuo percorso? Qual è stata la tua prima esperienza significativa in questo mondo?

Da piccolo vedevo mio fratello Mario dipingere e lo imitavo. Mario è molto più grande di me, e mi portava alle sue mostre in giro per l’Italia e nelle città d’arte a vedere i pittori antichi. A lui, ancora oggi, piace più di tutti il Beato Angelico.

Era il 1987 e frequentavo la scuola d’arte. Durante la lezione di geometria stavo completando di nascosto un disegno che rappresentava alcune centinaia di omini che andavano a riempire completamente un piccolo foglio. A un certo punto il professore si accorse che non ascoltavo la lezione. Quindi si avvicinò con fare minaccioso e scoprì che stavo disegnando per i fatti miei. Sorprendendo me e tutti i miei compagni di classe, però, invece di strigliarmi mi disse: “Bravo Gilberti, vai avanti”.

Quel disegno che tutt’ora conservo è una composizione di 562 omini alti due centimetri e mezzo disposti su dieci file. Tutti diversi. Si intitola: “La suora”. Quell’episodio lo considero l’inizio di tutto.

 

Cosa ti motiva a creare? La tua ispirazione proviene dalla curiosità, dalla ricerca di significato o dall’espressione visiva pura?

Sono attratto da tutte le immagini che vedo, non soltanto da quelle artistiche. Anche quelle postate sui social o pubblicate su una normale rivista patinata mi interessano. Anche quelle descritte da un testo letterario o proiettate da un film o evocate dall’ascolto musicale. Qualsiasi immagine che mi colpisce può essere fonte di ispirazione.

 

Il tuo stile minimalista e sintetico, con personaggi stilizzati dagli occhi grandi e stralunati, è diventato il tuo marchio di fabbrica. Come hai sviluppato questo stile distintivo?

È stato un lento processo di sintesi e di riduzione del mio segno.

Come dicevo, alcuni anni fa disegnavo figure umane ricche di dettagli. Ogni omino era diverso dall’altro. Ognuno aveva caratteristiche uniche: erano dei personaggi. Ora, invece, l’omino che disegno è la rappresentazione dell’uomo in chiave universale ridotto ai minimi termini.

 

Parliamo del progetto con Foscarini, “What’s in a lamp?”. Cosa ti ha ispirato in particolare in questa collaborazione? Qual è la tua opera preferita all’interno di questo progetto e quale significato ha per te?

Con il disegno ho sempre cercato la semplicità delle forme e purezza del segno. Questi elementi formali li ho trovati anche nelle lampade Foscarini. Nel disegnarle mi sono subito accorto che la loro forma era in perfetta armonia con quella delle mie figure.

Tra i disegni che ho realizzato il mio preferito è quello della lampada Gregg. Volevo trasmettere la dolcezza, la poesia e l’eleganza di quella lampada. E il soggetto dell’abbraccio mi è venuto quasi in modo automatico.

Nonostante lo stile minimalista, molti dei tuoi lavori riescono a raccontare, in pochi tratti, intere storie, vite, situazioni ed emozioni. Puoi approfondire l’aspetto narrativo del tuo processo creativo?

A volte basta soltanto cambiare lo spessore di una linea che il disegno cambia aspetto e significato. Mettere sulla carta segni e forme e colori è un po’ come comporre un brano musicale, le note sono sempre quelle, ma hai un’infinità possibilità di combinarle, basta poco, e la musica cambia.

 

Quali sono le fonti di ispirazione che guidano il tuo lavoro? Cosa trovi di affascinante nella realtà che ti circonda e come si riflette nel tuo stile?

Adoro da sempre la pittura medievale e del primo Rinascimento, e ho sempre cercato di comporre le mie opere ispirandomi alle caratteristiche formali di questi periodi artistici: la simbolicità, l’essenzialità e la staticità della pittura medievale; l’armonia, l’equilibrio e la forza narrativa di quella rinascimentale. Mi sono formato artisticamente nel mondo dell’arte contemporanea, ma nello stesso tempo ho sempre guardato e studiato altri ambiti creativi.

Alcuni anni fa una delle mie principali fonti di ispirazione era la musica, i videoclip musicali, le copertine degli album, nonché l’immaginario a cui alcuni generi musicali si ispiravano. Ho dipinto molti quadri su quel tema e pubblicato un libro con circa 200 disegni.

Anche il cinema mi ha ispirato spesso: nel 1999 per una delle mie primissime mostre personali ho realizzato una serie di opere (oli su tela, disegni e dipinti murali) ispirate a Twin Peaks di David Lynch.

Sono convinto che ogni artista racconti sempre sé stesso, che la sua opera è sempre “autobiografica”. Nel mio lavoro si riflettono tutte le esperienze della mia vita, le mie passioni, nonché le ossessioni.

 

Hai creato una serie di libri illustrati insieme a Corraini Edizioni che raccontano la vita di vari artisti, come Piero Manzoni, Banksy, Yayoi Kusama. Perché hai scelto di narrare la vita e l’opera di altri artisti, e qual è l’importanza di farlo attraverso la lente di un collega artista? Come il tuo approccio artistico si riflette in queste biografie?

Il primo libro della serie sugli artisti contemporanei è nato quasi per caso. L’idea mi è venuta quando stavo visitando la mostra di Piero Manzoni a Milano nel 2014. Avevo portato con me anche Emma e Martino (i miei due figli, che allora avevano 7 e 8 anni), anche se avevo il timore che si sarebbero potuti annoiare. Li ho visti passeggiare nelle sale di Palazzo Reale incuriositi e divertiti e guardare le bizzarre opere di Manzoni con stupore. Lì ho capito che il mio prossimo libro avrebbe raccontato una storia vera! Quella di Piero Manzoni. Pubblicato il libro mi sono poi accorto che c’erano altri artisti concettuali e rivoluzionari come Manzoni, spesso osservati con pregiudizio dagli adulti, che non erano ancora stata raccontati ai bambini. Così con Corraini abbiamo pensato e poi deciso di iniziare una collana dedicata.

Faccio questi libri con un approccio che è molto simile a quello che ho quando disegno o dipingo per una mostra. Lavoro in piena libertà e non mi pongo obiettivi didattici o pedagogici. Cerco di divertirmi e di divertire il pubblico raccontandogli una storia, seppur complessa, nel modo più minimale ed efficace possibile, facendo un grande lavoro di sintesi del segno grafico e soprattutto del testo.

 

Chi sono stati i tuoi maestri o le influenze più significative nel plasmare la tua visione artistica?

Artisti contemporanei come Yves Klein, Keith Haring, Jean Dubuffet, Jochum Nordstrom, Raymond Pettibon e tanti altri. Pittori antichi come Rosso Fiorentino, Piero della Francesca, Jan Van Eyck. Scrittori come Cormac McCarthy e Raymon Carver. Registi come David Lynch e Lars Von Trier. Musicisti come Miles Davis, The Cure, Joy Division, Radiohead, Apex Twin, Nine Inch Nails, Bon Iver, Alt-J.

 

Hai una ritualità nel disegnare? Segui particolari abitudini o processi quando ti dedichi al disegno?

Diciamo che non disegno quasi mai in silenzio. O lo faccio ascoltando musica, oppure ascoltando e sbirciando tra una pausa e l’altra (ovvero quando stacco il pennello dal foglio) un film o una serie tv.

 

Cos’è per te la creatività?

È la capacità di guardare il mondo e tutto ciò che ci sta dentro da più punti di vista. Alla ricerca di qualcosa che non risulta subito evidente ai più. E di rielaborare in modo personale ciò che abbiamo scoperto e colto.

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Nella nuova collaborazione per il progetto “What’s in a lamp?” Stefano Colferai trae ispirazione da VITE. Attraverso l’uso di un materiale inedito come la plastilina, crea scenari animati in stop-motion che narrano in modo ironico la quotidianità, illuminata dalle lampade Foscarini.

L’artista milanese Stefano Colferai emerge come un talento poliedrico. Da grafico e illustratore, si è evoluto nella modellazione 3D e poi nella scultura, abbracciando un materiale poco utilizzato – la plastilina – come medium espressivo. I suoi personaggi e le sue animazioni ironiche e coinvolgenti hanno catturato l’attenzione di case editrici e riviste anche oltreoceano che hanno contribuito a portare la sua arte ad un pubblico internazionale.

Nella sua serie per il progetto editoriale di Foscarini “What’s in a Lamp?” Stefano Colferai, ispirato dal progetto fotografico VITE (di Foscarini e Gianluca Vassallo), esplora la relazione tra luce, lampada, persona e casa dando vita ad una serie animata unica nel suo genere. Le lampade Foscarini diventano parte integrante del quotidiano di un simpatico personaggio in plastilina creato dall’artista, accompagnandolo dalla colazione al binge-watching serale.

In questa intervista esclusiva, esploriamo il mondo creativo di Stefano Colferai e approfondiamo la sua collaborazione con Foscarini L’artista condivide il suo percorso artistico, la scelta della plastilina come materiale distintivo e parla dell’importanza cruciale della luce nella sua arte.

Raccontaci qualcosa di te: hai sempre saputo che volevi fare l’artista? Qual è stato il percorso che ti ha portato alla scultura?

Penso proprio di si! Ho sempre avuto il desiderio, volontà e necessità di esprimere le mie idee e veicolarle attraverso diversi strumenti, ricercando continuamente quello che più potesse sposarsi con il mio immaginario e darmi soddisfazione. E’ stato un percorso da autodidatta che ha avuto sempre come filo conduttore la creazione di personaggi, passando dal disegno su carta a quello digitale e attraverso la pittura finendo poi con la scultura.

 

Perché hai scelto di lavorare con un materiale come la plastilina? Come hai imparato ad usarla?

Nella fase di ricerca stilistica ad un certo punto ero molto attratto dal mondo 3D e dal poter dare maggiore profondità ai personaggi e alle illustrazioni che facevo (all’incirca dieci anni fa). Avvicinandomi e scontrandomi con il linguaggio 3D e arrivando già da un momento di sperimentazione digitale ho capito che in realtà la mia svolta creativa poteva evolvere verso una direzione più artigianale e riportarmi vicino a quella che è la genuina attitudine di lavorare con le mani. Ho quindi iniziato a lavorare con la plastilina e fotografarla grazie ad un’intuizione di poterla usare come materiale per le mie sculture rimanendo fedele al mio stile di allora e simulando così un effetto 3D reale.

 

Qual è il tuo processo creativo? Hai una ritualità quando crei le tue sculture?

È molto spontaneo, raramente realizzo bozzetti di idee perché preferisco visualizzare subito e dare forma con le mani ad un’idea che ho avuto. Forse la mia ritualità sta nel appuntarmi tutte le idee che ho sulle note del telefono per non farmi sfuggire delle idee e riprenderle nel momento in cui posso realizzarle. Da quel momento è un flusso continuo tra scultura, fotografia, animazione e postproduzione.

 

Qual è il ruolo della luce nella tua arte?

Il ruolo della luce è fondamentale: I miei lavori non esisterebbero senza fotografia! Seppur ci sia una grande continuità in termini di illuminazione dei lavori che faccio, ho svolto molta ricerca in questi anni per cercare la miglior relazione tra i miei soggetti, il mio set, l’ambiente che mi circonda e l’illuminazione provando a costruire una narrazione anche grazie alla luce. Comunicando tramite foto e video, una luce corretta può incredibilmente dar maggior valore ad una scultura realizzata e a dei frame messi in sequenza che creano un animazione, creare la giusta atmosfera, definire il corpo e il carattere di ogni scena. Studiare la luce di ogni animazione o still frame è uno dei momenti su cui spendo più tempo assieme alla modellazione.

 

Come è nata la collaborazione con Foscarini?

Sicuramente dalla comunione per l’interesse reciproco di alcuni elementi molto importanti come la luce, l’attenzione, l’interesse per la forma e l’artigianato.

 

In questo progetto hai descritto delle scene domestiche, familiari, in cui la luce e le lampade Foscarini accompagnano il personaggio protagonista e raccontano qualcosa della sua personalità attivando sensazioni ed emozioni nelle quali è facile immedesimarsi. Ci racconti qualcosa di più dell’ispirazione dietro a questo lavoro?

Ho trovato da subito molto interessante il progetto di Foscarini VITE, che racconta attraverso la fotografia la relazione tra luce/lampada, persona e casa. Per me è stato di grande ispirazione cogliere l’imperfezione negli scatti di questi racconti in cui la luce è molto e provare a interrogarmi come è cambiato il rapporto tra persona e casa in questi anni. Occupandomi di character design e stimolato da questo progetto di Foscarini, ho voluto creare il mio personaggio ad hoc e farlo vivere in diverse ipotetiche ambientazioni proprio come se fossero delle istantanee di Vite. Il personaggio vive quindi la propria quotidianità accompagnato dalla luce e dalla forma delle lampade nelle diverse stanze in cui si trova, mantenendo intatto nelle azioni che svolge, il linguaggio che contraddistingue la mia cifra stilistica con la stessa spontaneità dei racconti di VITE.

 

Ci sono degli oggetti che, ovunque tu vada, ti fanno sentire «a casa»?

Sì, e metterei nella lista tazzine di caffè, poltrone, tavoli in legno, lampade, cornici quadri e stampe, cartine geografiche, cassettiere e portascarpe, giradischi e dischi, giochi da tavolo e carte. Potrei continuare, la lista è lunga!

 

Qual è/sono le scene che ti piacciono di più in questa serie e perché?

Mi sono affezionato alla scena del pittore, che collego a mio nonno sia per costruzione del set che per luce e ambiente. Lui dipingeva sempre replicando paesaggi di cartoline, foto di paesaggi tratti dai giornali o comunque memorie dei suoi luoghi. Il dipinto di Venezia che realizza il personaggio è un easter egg che cita le origini di Foscarini ma che mi ricorda molto anche lui.

 

Quali sono le tue fonti di ispirazione e come coltivi la tua creatività?

Ne ho diverse e cerco di mantenerle vive: mi piacciono molto i mercati, dove si possono incontrare persone di tutti i tipi, osservare situazioni inaspettate, sentire odori ed ascoltare suoni, rumori e linguaggi diversi. Mi ispira molto andare per gallerie e provare a capire artisti che non conoscevo, apprezzarli e non apprezzarli. Mi ispira tutto ciò che implica uno sforzo manuale e coinvolge creatività, mi ispirano le persone che superano i propri limiti e le imprese sportive. Mi ispira chi raggiunge i propri obiettivi, ma anche chi non ce la fa provandoci con tutte le sue forze. Mi ispira chi porta a compimento un cambiamento e trovo di grande ispirazione stare sotto la doccia. Mi ispira viaggiare e uscire dalla mia zona di comfort. Mi ispirano i racconti. Ci sono molte cose che mi ispirano e provo a coltivare la mia creatività come se tutte queste cose fossero delle lampadine da accendere al momento giusto!

 

Cos’è per te la creatività?

Rendere visibile ciò che ancora non è stato creato.

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Una lampada Spokes che si trasforma in gabbietta per un canarino cinguettante, una Kurage che abita i fondali marini come fosse una vera medusa e l’iconica Twiggy che prende all’amo un pesce.

Un nuovo capitolo del progetto editoriale “What’s in a Lamp?” di Foscarini: l’artista italiano Luccico reinterpreta artisticamente il concetto di “realtà aumentata” in chiave inedita e sorprendente. I raffinati scatti di prodotto still life a cura del fotografo Massimo Gardone incontrano la fantasia di Luccico originando narrazioni inaspettate e surreali in cui le iconiche lampade Foscarini sono al centro della scena, e diventano protagoniste di fiabe figurative.

Luciano Cina, più noto come Luccico, non è solo un artista: è un cantastorie che sa infondere nuova luce nelle cose ordinarie. Specializzato in Ecodesign al Politecnico di Torino, il suo percorso artistico è iniziato con un soprannome — Luccico — nato per caso ai tempi dell’università. Nel 2014 inizia il progetto #MoreThanAPics su Instagram: fotografie di scorci quotidiani che diventano surreali grazie al solo uso delle sue dita, di un tablet e del suo personale tocco di creatività, leggerezza e ironia. È così che un teatro si trasforma in un acquario, una buca d’asfalto diventa un orso polare, una chiazza di petrolio è un cavallo selvaggio e il colonnato di San Pietro un ensemble di musica jazz. Agli occhi di Luciano Cina, anche il dettaglio più banale può diventare un’opera d’arte. Foscarini, spesso all’avanguardia nella creatività e nel design, ha scoperto e iniziato a collaborare con Luccico nel 2015. Oggi questa collaborazione si rinnova per il progetto editoriale “What’s in a Lamp?”, che trasforma il feed Instagram di @foscarinilamps in una galleria virtuale, nella quale si susseguono interpretazioni diverse della collezione Foscarini da parte di artisti affermati ed emergenti, ognuno dei quali con la propria visione e creatività unica.

La serie di Luccico per “What’s in a Lamp?” è un inedito mix di fotografia e illustrazione che prende forma a partire da sei foto di prodotto still-life, curate dal fotografo Massimo Gardone. Questi scatti sono per Luccico una tela ideale sulla quale imprimere la sua reinterpretazione creativa di alcune delle lampade Foscarini. Il risultato è una serie di immagini che spinge ad esplorare storie straordinarie che vanno oltre la fotografia. In questa narrazione visiva in cui le lampade sono protagoniste, si intrecciano racconti ispirati alle loro storie e al loro design distintivo, arricchiti da un tocco di stravaganza.

Leggi l’intervista e immergiti nella fantasia di Luccico, un mondo incantevole in cui basta un segno per trasformare l’ordinario in qualcosa di straordinario.

Raccontaci qualcosa di te e del tuo percorso artistico: come nasce «Luccico»? Quando hai iniziato a disegnare?

Luccico è un soprannome che mi hanno dato ai tempi dell’università. Giocherellando con il mio nome, Luciano è diventato Lucio, e poi Luce, boom, è spuntato Luccico.
Ho cominciato a disegnare un po’ per caso. Avevo appena preso il biglietto aereo per quella che sarebbe stata la mia nuova città, e mentre ero perso nei miei mille pensieri, ho fatto uno schizzo sul mio smartphone: un aereo tra le nuvole in una foto. L’ho condiviso sui social e la mia vita è cambiata. E ora, quasi dieci anni dopo, continuo a raccontare questa storia.

 

Nel 2014 hai iniziato a popolare Instagram con la tua «realtà aumentata», scatti fotografici che prendono vita grazie alle tue illustrazioni in sovraimpressione. Quando e come nasce il tuo progetto creativo?

Realtà aumentata è l’espressione più appropriata per descrivere il progetto #MoreThanAPics, poiché va oltre la semplice fotografia.
L’idea è nata dalla volontà di aggiungere qualcosa in più alle foto, un messaggio, un pensiero. Sono costantemente alla ricerca di piccoli dettagli che possano fungere da ponte verso il mio mondo immaginario. Mi piace unire scene di vita quotidiana, momenti e luoghi iconici a paesaggi fantastici e surreali. Un mondo onirico in cui l’unico limite è quello della nostra immaginazione.

 

Le tue sono immagini raccontano storie, attraverso l’universalità del linguaggio visivo. Nel tuo processo creativo, come sviluppi la componente narrativa per creare uno storytelling a partire da un’immagine?

Sicuramente mi piace lasciarmi trasportare dalle emozioni che provo in un dato momento.
Per trovare l’ispirazione giusta, osservo tutto ciò che mi circonda. Spesso è lo stesso soggetto visto da diversi angoli che accende la mia creatività.

 

La collaborazione con Foscarini nasce nel 2015, quasi per caso, e ora si rinnova per il progetto «What’s in a lamp?». Sei scatti di prodotto, realizzati dal fotografo Massimo Gardone, incontrano la tua fantasia, e danno vita a situazioni inaspettate e surreali. Ci racconti qualcosa di più dell’ispirazione dietro a questo lavoro?

La prima collaborazione è un ricordo che rimane indelebile. Per uno studente di design come me, è stato come realizzare un sogno.
Foscarini è sempre stato noto per la sua originalità e innovazione, e avere l’opportunità di essere associato a un marchio di fama mondiale è stato motivo di grande orgoglio.
La semplicità delle composizioni fotografiche di Massimo Gardone, unite all’uso minimale di luce e colore, mi hanno permesso di esplorare e reinterpretare in chiave ironica il design di queste lampade iconiche.

 

Qual è/sono l’illustrazione/le illustrazioni che ti piacciono di più in questa serie e perché?

Penso alla lampada da terra Twiggy di Marc Sadler: l’asta flessibile, simile a una canna da pesca, è stata l’ispirazione perfetta per una splendida storia legata alla pesca.

 

Le tue opere richiedono creatività e capacità di guardare la realtà da prospettive diverse e originali: come riesci a mantenere la tua freschezza per fare spazio alle idee? Quali sono le tue fonti di ispirazione?

Allenare la creatività richiede tempo. Cerco di dedicare dei momenti nella giornata per esplorare, sperimentare e giocare, perché attraverso l’immaginazione possiamo liberare il nostro potenziale creativo. Questi momenti possono consistere in uno schizzo veloce, una passeggiata per le strade della città, la lettura di un libro al di fuori del nostro genere solito, o semplicemente nel guardare le nuvole nel cielo.
Ogni piccolo gesto contribuisce a mantenere viva la scintilla della creatività, e spero che non mi stancherò mai di osservare ciò che ci circonda con gli occhi di un bambino.

 

Hai un soggetto preferito da disegnare?

Mi piace disegnare aeroplani di carta perché li collego alla leggerezza dei pensieri.
Inoltre, spoiler, sto lavorando per creare un personaggio che possa essere una presenza costante e riconoscibile nei miei prossimi lavori.

 

Hai una ritualità nel disegnare?

Di solito, disegno di notte. Dopo una giornata intensa al lavoro, è il mio modo per rilassarmi.
Cerco di non superare i 30 minuti di disegno perché devono essere diretti, semplici, chiari e con poche linee.
Lavorare su un’immagine per più di 30 minuti rende il messaggio difficile da comprendere.

 

Cos’è per te la creatività?

Una scintilla che accende l’immaginazione e trasforma l’ordinario in straordinario.

Nella nuova serie dedicata al progetto “What’s in a lamp?”, la giovane illustratrice Alessandra Bruni (@allissand) ci invita a scoprire un mondo di luce e di emozioni. Le sue illustrazioni sono intrise di un’atmosfera poetica e familiare, in cui le lampade Foscarini creano atmosfere intime e personali e allo stesso tempo mutano lo spazio, svelano storie, innescano intuizioni.

Alessandra Bruni è un’anima sognatrice, classe ’97 che danza con la creatività. Artista e tatuatrice, la sua passione per l’arte è stata sempre sua compagna di viaggio, ma è negli ultimi anni che sta emergendo come una delle voci più stimolanti nel panorama italiano, che è riuscita a conquistare l’attenzione di importanti testate giornalistiche come The New York Times, L’Espresso e Internazionale. La sua passione per l’illustrazione è qualcosa di relativamente recente: è infatti solo durante il periodo di pandemia scatenato dal Covid-19 che Alessandra ha iniziato a condividere su Instagram le sue illustrazioni. Le sue opere, ispirate ai temi di attualità, parlano di emozioni e relazioni umane, offrendo uno sguardo immediato e profondo con uno stile unico e distintivo, dal tratto minimale, ma estremamente evocativo.

Nella sua serie per il progetto “What’s in a lamp?”, Alessandra ha fatto della luce il protagonista, creando scenari domestici che, seppur familiari, sorprendono inaspettatamente. Racconti per immagini in cui ogni lampada risuona armonicamente con la personalità del protagonista, la svela e attiva sensazioni ed emozioni in cui è facile immedesimarsi. Immagini che, come se fossero finestre aperte sulla nostra quotidianità, sembrano parlare proprio di noi, di ciò che siamo stati o di ciò che saremo, e creano atmosfere quasi palpabili che trasmettono una grande intimità.

Scopri l’intervista completa ad Alessandra Bruni e immergiti nel suo affascinante mondo di luce ed emozioni.

Raccontaci qualcosa di te: hai sempre saputo che volevi fare l’illustratrice? Quando hai iniziato a disegnare e come hai sviluppato/evoluto il tuo stile?

Non ho sempre saputo di voler fare l’illustratrice ma sogno da sempre di lavorare con l’arte e di dedicarvi la mia vita. Ho iniziato a disegnare da bambina, all’età di tre anni avevo già i pastelli in mano e mi divertivo a scarabocchiare al computer con Paint, cosa che potrei definire come una sorta di primo approccio al mondo digitale. Nel periodo scolastico, nonostante non abbia scelto un percorso artistico, mi sono dedicata al disegno realistico in modo quasi maniacale, la copia dal vero è stata la fase iniziale del mio percorso come se volessi assimilare le forme delle cose, dei volti, dei corpi. Crescendo è subentrata la necessità di dare un significato e un contenuto alle immagini, così ho iniziato a dedicarmi all’illustrazione concettuale. Lo stile è in costante evoluzione, si adatta naturalmente alle fasi che attraverso nel mio percorso lavorativo e personale, c’è ovviamente una parte di ricerca ma il fattore istintivo è sempre molto influente.

 

Come è nata la collaborazione con Foscarini?

La collaborazione con Foscarini è nata con quello che forse è il sogno di ogni artista. Foscarini ha notato il mio lavoro in libreria, quando ha letto il mio nome dietro la copertina di un libro che avevo illustrato. Penso non ci sia cosa più gratificante di sapere che il mio lavoro è stato apprezzato e scoperto per caso, genuinamente, con la semplicità con cui si trova una piccola verità in un luogo comune “essere al posto giusto, nel momento giusto”.

 

Le tue illustrazioni sono a tutti gli effetti storie: raccontate non con le parole, ma attraverso l’immediatezza e l’universalità del linguaggio visivo. Puoi parlarci della parte ‘narrativa’ del tuo processo creativo?

Viviamo in un periodo storico in cui tutti ambiscono a far sentire la loro voce alzandola, cercando di sovrastare quella altrui, a volte senza soffermarsi a riflettere. Io spero di andare controcorrente con questo lavoro: la parte che preferisco è l’ascolto. Cerco di assorbire quante più informazioni posso per poi rielaborarle e trasformarle in un’immagine. Si tratta solo di scegliere i giusti elementi che, accostati tra loro, dicono più di tante parole.

 

In questo progetto con Foscarini hai descritto delle scene domestiche che risultano al contempo familiari e sorprendenti: situazioni in cui la luce ha un potere trasformativo e si fa quasi materica dando vita a situazioni inaspettate e surreali. Ci racconti qualcosa di più dell’ispirazione dietro a questo lavoro?

Prima di iniziare ad immaginare queste illustrazioni ho avuto il piacere di ascoltare le parole di Carlo Urbinati, fondatore e presidente di Foscarini. I suoi racconti e la passione con cui vive il suo lavoro mi hanno ispirata enormemente. Questo progetto mi ha portata a maneggiare la luce e a considerarla viva. La luce, nella vita quotidiana così come in una manifestazione artistica, ci permette di dare maggiore valore o importanza ad un elemento, qui la luce stessa è la protagonista. L’idea di “illuminare la luce” mi affascinava moltissimo e mi sono divertita a giocare con essa per creare questa serie, non dimenticando di dare altrettanta importanza alle ombre.

 

In questa serie le lampade sono l’elemento di svolta, il dettaglio che trasforma un semplice «spazio» in un ambiente caldo e personale che possiamo chiamare casa, definendone l’atmosfera, raccontando qualcosa della personalità del protagonista dell’immagine, attivando sensazioni ed emozioni nelle quali è facile immedesimarsi. Ci sono degli oggetti che, ovunque tu vada, ti fanno sentire «a casa»?

Mentre rispondo a queste domande sto vivendo un momento piuttosto unico e particolare. Sto per procedere con l’acquisto della mia prima casa. Ho 25 anni e per tutto il mio vissuto ho pensato solo ad “andare” senza mai fermarmi tanto, è quindi la prima volta che sento il bisogno di questo, di “calore”, di uno spazio in cui tornare e sentirmi a casa. Gli ultimi anni mi hanno vista in diversi contesti, mi sono spostata numerose volte e gli oggetti che ho sempre portato con me sono i libri. Scatoloni di libri che ho già letto, alcuni da bambina, ciò nonostante sono un elemento fondamentale nell’ambiente, definiscono l’atmosfera e mi trasmettono serenità. Onestamente non mi ero ancora soffermata a riflettere sull’argomento, non vedo l’ora di scoprire quali altri oggetti definiranno la mia casa.

 

Qual è/sono l’illustrazione/le illustrazioni che ti piacciono di più in questa serie e perché?

Non è facile scegliere un’illustrazione “preferita”, ogni immagine è unica, così come le lampade da cui mi sono lasciata ispirare. Dovendo scegliere, forse, direi quella che ho creato per Gregg da sospensione. L’immagine vede una ragazza assorta alla finestra, la lampada genera un paradosso poiché la luce si riflette sul mare, all’esterno. In questo modo ho elevato l’oggetto al ruolo di “sole” dell’ambiente domestico, inoltre interno ed esterno comunicano tra loro e il limite è impercettibile. Su un livello più profondo questa vuole essere una metafora per descrivere come il nostro mondo interiore e quello esteriore siano intimamente legati.

 

La tua produzione spazia dai temi di attualità alle relazioni umane, dai sentimenti più intimisti alle tematiche ambientali e sociali. Qual è il tuo soggetto preferito da disegnare, l’ambito nel quale ti senti più a tuo agio?

Tendo a cercare sempre nuovi stimoli per il mio lavoro, una costante probabilmente è la figura umana. In quasi tutte le mie illustrazioni è presente l’uomo che interagisce con l’ambiente che lo circonda, questo perché mi affascinano le infinite sfaccettature del suo animo e della sua psiche. Nel corso della storia l’essere umano si è dimostrato in grado di creare opere incredibili e bellissime ma è anche capace di cose terribili, a volte irrimediabili. Forse è per questo che siamo animali tanto complessi, nel contempo mi trovo estremamente a mio agio nell’esplorare questo ampio tema poiché io stessa vivo giornalmente emozioni contrastanti e disegnare può essere estremamente catartico, oltre che un modo per comunicare con gli altri.

 

L’ispirazione e la creatività stanno alla base dell’illustrazione editoriale. Quali sono le tue fonti di ispirazione?

Le mie fonti d’ispirazione sono molteplici. Cerco di trarre spunto da tutto ciò che mi circonda, a partire dall’ambiente in cui vivo. Anche film, opere d’arte e fotografie sono ottimi modelli da cui farsi ispirare per creare qualcosa di nuovo. Inoltre seguo il lavoro di tanti Maestri dell’illustrazione che sono per me uno stimolo e un esempio per cercare di migliorare costantemente, ne cito qui alcuni: Noma Bar, Ivan Canu, Beppe Giacobbe, Pablo Amargo.

 

Cos’è per te la creatività?

La creatività è una spinta che parte da dentro e che può portare in moltissimi luoghi, è il bisogno atavico di connettere diversi elementi tra loro per generare qualcosa di nuovo. La vita stessa deve tutto alla creatività. Creare, per me, significa esplorare, crescere ma soprattutto divertirmi. Quando creo sento di star facendo ciò per cui sono al mondo, è una sensazione del tutto irrazionale, ne sono conscia, ma è anche estremamente piacevole.

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Scopri il potere dei sogni nell’arte surreale di Kevin Lucbert, che dà vita alle lampade di Foscarini nella nuova collaborazione per il progetto “What’s in a lamp?” – il progetto editoriale che trasforma il feed di Instagram @foscarinilamps in una galleria virtuale con le opere di artisti noti o emergenti del panorama internazionale.

Armato di una semplice penna, Kevin Lucbert dà vita a scenari sospesi tra il familiare e l’ignoto. Il suo stile inconfondibile che supera i confini tra scrittura, disegno e pittura spinge a esplorare i propri sogni e mettersi a scarabocchiare. Prende un oggetto di uso comune – una penna a sfera – lo reinventa e lo trasforma in uno strumento di libera espressione creativa.

Kevin Lucbert, che si autodefinisce “franco-berlinese”, si è diplomato alla Scuola Nazionale di Arti Decorative di Parigi nel 2008 e ora vive tra Berlino e Parigi come membro di The Ensaders, un collettivo di artisti attivo nella realizzazione di performance, mostre e workshop di disegno.

La sua creatività affonda le radici nel potere di sognare per poi portare il sogno nella realtà. Spingendosi oltre i confini della coscienza, crea mondi misteriosi che integrano armoniosamente elementi naturali come il sole, l’acqua, la terra e il cielo. Questa suggestiva combinazione è in grado di confondere la percezione della realtà e invita ad intraprendere un affascinante viaggio immaginifico attraverso lo spazio e il tempo. Con i suoi tratti di penna, l’artista diventa la nostra guida visionaria, mentre ci immergiamo nel suo universo vibrante e mistico.

Nella sua serie per il progetto “What’s in a Lamp?” di Foscarini, Kevin Lucbert ha esplorato la collezione di lampade Foscarini, lasciando che la sua immaginazione si scatenasse. Il risultato: scenari surreali permeati dal suo stile inconfondibile. Tuffatevi negli abissi marini e incontrerete affascinanti meduse Chouchin e insoliti pesci lanterna con, in fronte, le Twiggy illuminate a guidare il loro cammino; oppure contemplate il cielo guardando attraverso la lampada da tavolo Nile che, trasformata in un gigantesco telescopio rivolto verso la luna, diventa un portale per l’universo e la volta celeste.

Scopri in prima persona la magia di Kevin Lucbert e lasciati trasportare dalla sua arte verso dimensioni straordinarie. La serie completa è sul canale Instagram @foscarinilamps.

Raccontaci qualcosa di te e del tuo percorso come artista. Sei sempre stato in qualche modo consapevole che questa era la strada che volevi percorrere?

Sono nato a Parigi nel 1985. Da bambino mi immergevo nel mondo dei fumetti, leggendo e rileggendo la collezione di famiglia dei classici, come Tintin e Asterix. Poi ho scoperto il fumetto d’autore attraverso riviste come “Metal Hurlant” e “A Suivre”. Artisti come Moebius, Tardi, Hugo Pratt, Enki Bilal, Druillet e Comès con le loro storie bizzarre e affascinanti nel loro proprio tratto personale, con intricati tratti di inchiostro in bianco e nero. La mia giovane immaginazione ne è rimasta profondamente affascinata tanto da alimentare in me la voglia di diventare un fumettista e un illustratore.
Anni dopo, ho studiato arte all’”Ecole Nationale Supérieure des Arts Décoratifs” di Parigi, focalizzandomi sulla divisione “immagine stampata”. Qui ho studiato illustrazione, incisione, serigrafia, graphic design e mi sono anche cimentato nella cinematografia. L’approccio multidisciplinare di questa scuola favorisce l’apertura mentale e ha ampliato le mie prospettive. Nel 2005-2006 ho avuto il piacere di fare un’esperienza di scambio Erasmus e di studiare Kommunikationsdesign presso la Kunsthochschule Berlin-Weissensee, un’esperienza per me molto preziosa. Nel 2012 ho deciso di trasferirmi a Berlino, dove io e la mia famiglia viviamo ormai da 10 anni.
Sono anche fiero di essere membro del collettivo di artisti “Ensaders”, che ho co-fondato insieme a due compagni di corso: Yann Bagot e Nathanaël Mikles. Dal nostro incontro nel 2002, abbiamo collaborato alla realizzazione di disegni collettivi, condotto workshop e messo in scena spettacoli.

 

Il tuo stile caratteristico, con tratti di penna a sfera che manipolano abilmente le ombre e la luce, ci incuriosisce. Come descriveresti il tuo stile?

Il mio stile è figurativo, orientato alla semplificazione e all’astrazione delle forme. Contrappongo linee rette e pure e motivi geometrici alle curve e al caos degli elementi naturali. Il paesaggio urbano moderno, con la sua ortogonalità, si contrappone ai mari selvaggi o alle foreste oscure. Mi piace combinare gli opposti. La penna biro mi permette di creare intricati dettagli, quasi come in un’incisione, e allo stesso tempo posso usare un righello per tracciare griglie o motivi geometrici dalle linee pulite e nette. Questi diversi stili di tratto, resi omogenei dall’inchiostro blu, aprono una gamma di opportunità dal punto di vista grafico che amo esplorare.

 

Cosa ti ha spinto a scegliere una penna a sfera come strumento di elezione?

Uso le penne biro perché mi piace disegnare all’aperto, e ne ho sempre una a disposizione. Non mi piace portarmi dietro molti strumenti e materiali da disegno. L’iconica penna Bic blu è una cosa che tutti hanno a portata di mano. È lo strumento attraverso il quale i sogni prendono forma mentre si scarabocchia su un pezzo di carta. È la stessa penna con cui scarabocchiavo da bambino, riempiendo i bordi dei miei quaderni di scuola. Quando sono al telefono, la uso per prendere appunti e poi inconsciamente creo motivi intricati che si sovrappongono su un post-it. Ero curioso di scoprire come avrei potuto esprimere qualcosa di completamente nuovo utilizzando uno strumento così semplice, creando con il solo inchiostro blu un universo originale.

 

Puoi parlare dell’importanza del doppio scenario blu-bianco nelle tue illustrazioni surreali?

Sono affascinato dal particolare colore blu della penna Bic, con la sua peculiare sfumatura blu-rossa. È un blu che può assumere una grande intensità. È possibile incrociare le linee quasi all’infinito per creare sfumature e profondità, in modo simile a quanto avviene con la tecnica dell’acquaforte. Nelle mie illustrazioni, uso il bianco della carta come riserva per creare contrasto e luminosità, ad esaltare l’importanza del colore blu.
Nel mio modo di percepire, il blu è un colore che è strettamente connesso con il mondo dei sogni. È legato all’acqua, alla notte e al sonno, a quel mondo onirico che affonda le sue radici nel mistero dell’inconscio. L’inconscio si esprime in uno strano linguaggio che possiamo provar a tradurre attraverso l’arte. Secondo me, un disegno, come qualsiasi opera d’arte, è il risultato dell’alchimia che si verifica tra il conscio e l’inconscio. Il blu della penna biro ci è così familiare da essere diventato parte integrante della nostra psiche.

 

Come descriveresti le tue prime impressioni sulle lampade Foscarini quando le hai incontrate per la prima volta?

Le ho trovate belle ed eleganti. Le forme semplici ma allo stesso tempo complesse mi hanno colpito. Più che semplici lampade, ho visto storie di luce in grado di suscitare ispirazione e stimolare le idee in un ambiente. La luce gioca un ruolo importante nel mio disegno in monocromia e spesso lavoro sul contrasto tra le aree chiare e quelle scure. La bellezza della luce è esaltata dalla forza dell’oscurità che la circonda. Ricordo spesso questa citazione di Stanley Kubrick: “Per quanto vasta sia l’oscurità, dobbiamo fornire la nostra luce”.

 

In questa serie di opere, le lampade Foscarini entrano a far parte di ambientazioni oniriche, contribuendo a dare vita (e luce) a mondi immaginari e surreali. Puoi parlarci di come è nata l’ispirazione per questa serie?

Questa serie è intimamente radicata nel surrealismo, nei sogni e nelle fiabe. Quando ero bambino e trascorrevo le vacanze in Bretagna, terra natale di mia madre, ero circondato da una cultura ricca di leggende e di creature bizzarre della mitologia celtica. Spiriti, creature e fate animano le brughiere e i castelli in rovina, suggestioni che stanno alla base del mio lavoro artistico.
Mi piace proiettare gli oggetti contemporanei in realtà surreali, dove cose ordinarie come sedie squadrate, lampade e moderni pavimenti in parquet prendono vita, trasformandosi in strane entità che superano il confine tra sogno e realtà.
Ho iniziato osservando la forma astratta della lampada provando ad immaginare le emozioni che avrebbe potuto evocare in me. A partire da lì, ho elaborato una serie di schizzi, contestualizzando la lampada in vari scenari. Durante il mio processo creativo ascolto spesso musica, che crea uno stato d’animo specifico e talvolta genera idee e ispirazioni inaspettate. Ho pensato a come la lampada poteva assumere il ruolo di elemento principale, di attore, in una strana storia.

 

Strane storie che ricordano le fiabe e che evocano lo stile di Chagall, l’opera di Chagall ha influenzato la sua visione artistica?

Sì, ammiro Chagall per i suoi dipinti figurativi e onirici allo stesso tempo. Mi ispiro anche al surrealismo di René Magritte. Potrei dire che questa serie di disegni incarna lo spirito dei film di Georges Méliès, in particolare “Le Voyage dans la Lune”. È una combinazione di fiaba, poesia e surrealismo. Anche il cinema utilizza la luce come mezzo per creare movimento e storie. Sono molto interessato agli artisti capaci di creare universi e visioni suggestive, come Alfred Kubin, Odilon Redon ed Edward Munch. Da bambino amavo i fumettisti come Hugo Pratt, Moebius, e Roland Topor con il suo bizzarro universo, in particolare nel film d’animazione “La Planète Sauvage”. Mi hanno trasmesso l’amore per la narrazione e per le infinite potenzialità del disegno.

 

Qual è la tua illustrazione preferita della tua serie per “What’s in a lamp?” e perché?

Mi piace “Nuee”, perché mi ricorda il “Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry con i suoi piccoli pianeti e le persone che vi abitano. Anche “Rituals”, perché ci porta, come in “Alice nel paese delle meraviglie”, attraverso lo specchio.

 

Le tue illustrazioni evidenziano una combinazione di semplicità e complessità, dove i tratti di penna minimali aprono la strada a storie affascinanti. Qual è il ruolo della narrazione nell’arte illustrativa?

Adoro raccontare storie e cercare lo straordinario nell’ordinario. Agli inizi ero un fumettista e la mia opera si è gradualmente evoluta verso la creazione di serie di disegni con una forte enfasi sulla dimensione narrativa. È come se questi disegni costruissero insieme una storia, dipingendo un mondo onirico sconosciuto. Il mio principale scopo è quello di divertirmi e tradurre su carta le mie idee e le mie fantasie.

 

Puoi illustrarci il tuo processo creativo? Come riesci a fare in modo che le nuove idee possano fiorire?

Per prima cosa, mentre osservo il soggetto, mi prendo del tempo per scarabocchiare schizzi casuali e tracciare bozze a matita sulla carta. Alcuni schizzi si rivelano “più sinceri”, perché riescono a catturare la dinamicità e lo stimolo di cui ha bisogno il disegno finale. Uno schizzo è qualcosa di affascinante: con pochi tratti, incarna l’energia e gli elementi essenziali del disegno definitivo. In ogni caso, rimango sempre aperto a modificare il disegno man mano che lo porto a compimento. Nuove idee possono emergere durante il processo creativo.
Cerco ispirazione da diverse fonti: dalla lettura, dalla musica e talvolta anche dai sogni. Un disegno spesso porta alla creazione di un altro. In una serie di opere, i miei disegni seguono una certa logica, a volte narrativamente collegati e altre volte invece in contrasto con il lavoro precedente. A volte i disegni formano addirittura delle “mini-serie”, come nel caso della serie senza titolo “Meditazione 1,2,3,…”.
La lettura dei libri dello psichiatra Carl Gustav Jung è per me fonte di grande interesse. I suoi studi sull’inconscio e sui sogni mi affascinano. Il suo approccio è profondamente creativo, ricco di idee e visioni. Prende in considerazione numerose immagini e simboli della storia dell’arte e del nostro “inconscio collettivo”. Per esempio, cosa significano per noi figure come l’albero, l’acqua o il sole? La sua indagine sulla mitologia e sugli archetipi è straordinariamente affascinante.

 

Cosa significa per te design?

Il design è per me infondere spirito nella materia. È il respiro che dà vita al materiale grezzo. È l’atto di riempire gli oggetti di amore, con la speranza che lo riflettano agli occhi di tutti. Tutti noi vorremmo imbatterci in oggetti che abbiano un’anima e storie da raccontare.

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Un’immersione nell’affascinante mondo della watercolor art di Maja Wronska nella nuova uscita per “What’s in a Lamp?” il progetto di Foscarini che trasforma il feed Instagram @foscarinilamps in una galleria d’arte virtuale.

Il progetto “What’s in a Lamp?” di Foscarini si arricchisce di un nuovo capitolo che vede protagonista Maja Wrońska (@majatakmaj), una talentuosa artista polacca specializzata nella pittura ad acquerello. I suoi affascinanti dipinti ritraggono architetture europee e si distinguono per il perfetto equilibrio tra linee e tratti scenografici e i delicati cromatismi dell’acquerello. Maja non è solo un’artista ma anche un architetto, caratteristica che ne contraddistingue l’ispirazione, rendendola particolarmente originale e distintiva.

In questo nuovo capitolo del progetto “What’s in a Lamp?” di Foscarini, Maja Wrońska ha creato una sorprendente serie di opere artistiche che mettono in luce il potere trasformativo delle lampade Foscarini all’interno di spazi architettonici. Dipinti ad acquerello animati che destano meraviglia e riescono a catturare la vita, le emozioni, il trascorrere del tempo nelle architetture urbane, e nei quali le lampade diventano un elemento significativo, un punto focale – soprattutto al sopraggiungere del buio.

Ciò che rende le opere di questa serie accattivanti è il modo in cui prendono vita quando la città passa dal giorno alla notte: gli interni degli edifici, visti dall’esterno, diventano protagonisti quando le lampade Foscarini li illuminano nella notte.

Parlaci un po’ di te e del tuo background. Come ti sei avvicinata all’arte e cosa ti spinge a creare?

Sono Maja Wrońska, architetto e pittrice ad acquerello di origine polacca. Fin da quando ero bambina, mia madre, che è anche lei un architetto, mi permetteva di usare i suoi materiali professionali per dipingere e disegnare. In Polonia, se si vuole intraprendere gli studi di architettura, si deve sostenere anche un esame di disegno. Così, in seguito, ho anche frequentato corsi di disegno per prepararmi a questo esame. Una volta arrivata all’università, il disegno e la pittura sono diventati parte integrante del mio programma di studi. In quel periodo è cresciuto il mio interesse per la pittura ad acquerello e ho pensato di creare un profilo su DeviantArt per condividere i miei dipinti. Con mia grande sorpresa, il profilo è diventato popolare e le persone hanno iniziato a chiedermi se i miei dipinti fossero in vendita. Dopo la laurea, ho avviato la mia attività, come architetto Maja Wrońska, progettando architetture con mia madre e, allo stesso tempo, dedicandomi ai miei acquerelli.

 

Qual è la cosa che ti piace di più disegnare?

L’architettura mi affascina e appassiona da sempre.

 

In che modo Maja Wronska architetto e Maja Wronska pittrice coesistono e si influenzano a vicenda?

Mi considero un architetto che ama anche dipingere ad acquerello. Il processo di progettazione di un immobile può richiedere settimane o addirittura mesi, mentre la creazione di un acquerello richiede poche ore. Questo mi permette di completare progetti artistici stimolanti mentre lavoro come architetto.

 

In questo progetto realizzato per Foscarini vediamo delle splendide immagini di architetture suggestive, animarsi e riempirsi di emozioni e vita. Cosa ti ha attratto verso la pittura ad acquerello e come ti è venuta l’idea di animarli?

Grazie! Anche io sono entusiasta di come si è concretizzato il nostro progetto. In quanto architetto, per modellare e renderizzare l’architettura ho studiato Photoshop e i programmi 3D. Ho pensato che avrei potuto combinare tecniche artistiche tradizionali come il disegno e l’acquerello con tecniche moderne come l’animazione e la realtà aumentata. Quando Instagram ha iniziato a promuovere i reel, ho deciso di sperimentare animando i miei acquerelli e caricandoli sull’app Artivive per vedere l’effetto della realtà aumentata sulle mie creazioni artistiche tradizionali. La prima volta che ho iniziato ad animare i miei acquerelli è stato per un concorso di una casa automobilistica. Anche se il concorso è stato vinto da qualcun altro, la curiosità di vedere come sarebbero stati gli altri miei acquerelli animati in questo modo mi ha spinto a continuare a esplorare il concetto.

 

Qual è il processo creativo all’origine delle tue opere d’arte?

Il mio intento è quello di dipingere i luoghi che amo e di catturare la bellezza che percepisco.
Il processo creativo inizia individuando un edificio che mi colpisca, ne faccio uno schizzo a matita e poi aggiungo il colore ad acquerello. Poi mio marito lo digitalizza, assicurandosi che la scansione restituisca l’opera originale il più fedelmente possibile. Alla fine, utilizzando Photoshop, creo un’animazione in loop di fotogrammi in gif e mp4.

 

In questa serie di artwork hai saputo catturare il potere trasformativo delle lampade Foscarini all’interno di uno spazio, sia da spente sia quando si accendono, diventando punto focale. Puoi raccontarci qualcosa in più sull’ispirazione da cui è nata questa serie?

Questa serie è uno sviluppo in continuità con le mie animazioni precedenti, nelle quali si vedono città e luoghi nella transizione dal giorno alla notte. In un primo momento ho animato le auto, poi ho iniziato a incorporare le luci degli edifici che si accendono e si spengono. Con il progetto Foscarini, ho voluto spingere l’esplorazione all’interno degli spazi architettonici e mettere in evidenza come le lampade al loro interno possano trasformare l’atmosfera.

 

Qual è la tua preferita tra le opere della tua serie “What’s in a lamp?” e perché?

Dal punto di vista della pittura ad acquerello, la mia preferita è quella che include la lampada da terra rossa Tobia. Da una prospettiva di animazione, invece, mi piace molto quella in cui un palazzo con grandi finestre è illuminato da una cascata di lampade a sospensione Gregg.

 

Quali sono le tue fonti di ispirazione? C’è qualche artista in particolare che è per te un punto di riferimento?

Light, in general, is a major inspiration for me. I find it fascinating to observe how sunlight interacts with building facades and how buildings appear when interior lights are on. As for favorite artists, I admire Van Gogh and follow contemporary illustrators on social media, such as Pascal Campion.

 

Che cos’è la creatività per te?

Per me la creatività è il processo che porta a creare qualcosa di fresco e stimolante da materiali disponibili, trasformandoli. Immaginazione ed originalità sono caratteristiche indispensabili per poter generare creazioni innovative e ricche di significato.

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Il progetto che trasforma il feed Instagram @foscarinilamps in una galleria d’arte virtuale si arricchisce di una nuova interpretazione creativa. È Federico Babina, italiano di nascita e spagnolo di adozione, il quarto artista chiamato ad interpretare le collezioni Foscarini.

 

Federico Babina, architetto e illustratore, è conosciuto per i mondi surreali, ispirati prevalentemente all’architettura e al design, che è capace di creare con le sue illustrazioni e animazioni. Le sue serie sono uniche, distintive, contraddistinte da uno stile che le rende immediatamente riconoscibili. Uno stile che si esplica nei dettagli, nel saggio equilibrio di colori e proporzioni e nei pattern grunge ma anche – e soprattutto – nella capacità di creare e sollecitare connessioni inaspettate e sorprendenti che colpiscono occhi, mente e cuore di chi guarda.

Nella sua nuova serie “Lux Like”, parte del progetto “What’s in a lamp?” di Foscarini, Federico Babina si è divertito a cercare e riconoscere animali nelle forme di alcune delle lampade di Foscarini. Come in una pareidolia, le ha ridotte a forme elementari – cerchi, rettangoli, triangoli e linee – e le ha trasformate in animali con carattere ed espressività che vivono, parlano e respirano in un universo parallelo, una sorta di zoo del design.

Un esercizio di creatività e fantasia semplice ed efficace che sviluppa un “pensiero elastico”: non si vede una lampada e si interpreta come tale, ma si scorge l’elefante che la racchiude. Una serie di illustrazioni dove Federico Babina gioca con serietà attorno alle forme e ai colori. Dove tutto quello che appare può non essere ciò che sembra. Lampade che compongono uno zoo di Foscarini dove gli animali sono fatti e costruiti di design.

Raccontaci qualcosa di te e del tuo percorso: quando hai iniziato a disegnare e come hai sviluppato il tuo stile distintivo?

Sono Federico Babina (dal 1969), architetto e graphic designer (dal 1994) vivo e lavoro a Barcellona (dal 2007), ma soprattutto sono una persona curiosa (da sempre). Ogni giorno cerco di ritrovare un modo di osservare il mondo attraverso l’innocenza degli occhi di un bambino. I bambini sono in grado di avere una visione delle cose totalmente disinibita e senza il condizionamento dell’esperienza. Quando ero bambino volevo essere architetto e adesso che sono architetto mi piacerebbe a volte tornare bambino. Mi piace cercare di raccontare il mondo che vedo attraverso diverse tecniche espressive. Mi piace la ricchezza del linguaggio e la diversità delle sue forme. Sono nato con le illustrazioni delle favole, sono cresciuto con i tratti dei fumetti e sono maturato con il disegno d’architettura. L’illustrazione fa parte del mio mondo immaginato ed immaginario. Mi sforzo perché nei miei lavori ci sia il rigore dell’architettura, la libertà di pittura, il ritmo e la pausa della musica e il mistero magico del cinema. Provare a mescolare linguaggi apparentemente eterogenei che però si comunicano tra di loro.

 

Come convivono e come si influenzano il Federico Babina Architetto e l’Illustratore?

Un architetto deve essere un buon illustratore. La capacità di una comunicazione visiva è uno strumento imprescindibile. Il disegno è la prima maniera di dare forma ad una idea. Le idee si scolpiscono si modellano e si trasformano attraverso l’illustrazione. Non mi spoglio dei vestiti d’architetto per indossare il costume d’illustratore. Il comune denominatore dei miei lavori sono “io”. Il mio approccio e la mia maniera di lavorare non cambia in base al lavoro. Mi piace dipingere e mi piace fare fotografie tanto quanto disegnare e scrivere. Credo che ci sia una certa coerenza espressiva in ognuno di noi indipendentemente dal mezzo che si utilizza. Trovo analogie, similitudini, affinità, e infinite relazioni tra le diverse forme espressive. Che si tratti di una illustrazione, di un oggetto di design o di un edificio il mio processo creativo è simile e segue regole comuni e le stesse traiettorie. Il processo creativo di una composizione architettonica risponde a meccanismi che muovono e mettono in movimento la macchina di qualsiasi opera intellettuale. Alcune volte sono architetto con la passione per l’illustrazione ed altre sono un illustratore con la passione per l’architettura.

 

Come è nata la collaborazione con Foscarini?

Sono stato contattato da Foscarini e mi è stato chiesto di trovare una forma personale di rappresentare una idea di un prodotto più che un oggetto in se. Il tutto con assoluta libertà espressiva. Una collaborazione di questo tipo rappresenta sempre una sfida stimolante. Gli oggetti esistono e si tratta di trovare la maniera di suggerirne un punto di osservazione alternativo.

 

In questo progetto per Foscarini hai unito ironia e tenerezza e costruito un inaspettato «zoo» a partire dalle silhouette iconiche delle lampade della collezione Foscarini. Ci racconti qualcosa di più dell’ispirazione dietro a questa serie?

Il progetto si chiama LUX LIKE e lavora sulla percezione. L’idea è quella di trasformare la percezione dell’oggetto di design. La nostra mente è capace di raccogliere registrare e archiviare milioni d’immagini. Una cosa che sempre mi interessa è l’associazione che siamo in grado di fare tra queste immagini. Come nel “piccolo principe” vedere oltre il disegno di un cappello e scorgere la sagoma di un boa che digerisce un elefante. In questo lavoro per Foscarini 9 lampade si trasformano in animali con carattere ed espressività che vivono, parlano e respirano in un universo parallelo, una sorta di zoo del design. Come in una Pareidolia del design mi sono divertito a cercare e riconoscere animali nelle forme di alcune delle lampade di Foscarini: è un esercizio di creatività e fantasia semplice ed efficace che sviluppa un “pensiero elastico”. Il nostro sguardo non è capace di cogliere l’invisibile e la nostra ragione meccanicamente trae le proprie conclusioni ed emette i propri rigorosi giudizi basandosi esclusivamente sull’evidenza di un’apparenza. Ho cercato di non inviare al cervello la informazione razionale perché riconosca attraverso la conoscenza ma lasciarlo libero di cercare una associazione istintiva. Non vedere una lampada ed interpretarla come tale ma scorgere l’elefante che la racchiude. LUX LIKE è una serie di illustrazioni dove gioco con serietà con i volumi i colori e le forme. Dove tutto quello che appare può non essere ciò che sembra. Lampade che compongono uno zoo di Foscarini dove gli animali sono fatti e costruiti di design.

 

Qual è/sono l’illustrazione/le illustrazioni che ti piacciono di più in questa serie e perché?

Non posso scegliere tra le mie illustrazioni, è come chiedere di scegliere tra i figli. Quando lavoro in una serie considero le singole illustrazioni come tasselli di un mosaico generale che rappresenta un concetto ed una idea. Sono pezzi di un puzzle complessivo, nessuno è fondamentale ed allo stesso tempo tutti nel loro insieme lo sono. L’importante è la composizione generale che tutti i pezzi disegnano.

 

Nelle tue illustrazioni e animazioni geometrie semplici si sommano a creare delle composizioni capaci di raccontare, in uno sguardo, delle storie che colpiscono occhi, mente e cuore di chi guarda. Puoi parlarci della parte ‘narrativa’ del tuo processo creativo?

Come diceva Bruno Munari: Complicare è facile , semplificare è difficile. La semplicità è la cosa più difficile da raggiungere. Per semplificare bisogna togliere e per togliere bisogna sapere quali sono le cose superflue. La cosa che cerco sempre nel mio lavoro è un filo narrativo. Un racconto che ti accompagna dentro una storia, come una porta che si apre in un universo parallelo ed offre allo spettatore alcuni elementi e strumenti per continuare la sua storia. Il potere della illustrazione è quello di lasciare una certa libertà alla interpretazione. Io comincio le storie e chi le guarda le continua e avolte le completa.

 

Quali sono i tuoi riferimenti nel mondo dell’arte e dell’illustrazione? E quali gli architetti che apprezzi maggiormente?

Negli anni mi sono imbevuto e nutrito della cultura che mi circondava. Siamo come “frullatori” che mescolano e combinano ingredienti differenti per elaborare un composto personale. Non c’è una sola figura che considero ispirativa. Sono molte le persone che mi hanno ispirato, aiutato, sorpeso e guidato. Non mi piace fare classifiche di questo tipo, mi sento come un mosaico in processo dove molti, nel bene o nel male, sconosciuti o conoscuti, hanno contribuito e stanno contribuendo alla composizione generale e al posizionamento di ogni singolo pezzo. Non ho realmente riferimenti e modelli precisi. Le mie fonti spaziano dal mondo della grafica all’arte al mondo dell’architettura passando per i fumetti e la pubblicità. Ho molti amanti ma non mi sono mai sposato con nessuno…

 

Le tue opere richiedono creatività e capacità di guardare la realtà da prospettive diverse e originali: come riesci a mantenere la tua freschezza per fare spazio alle idee? Quali sono le tue fonti di ispirazione?

Non credo molto nell’ispirazione. Le idee sono lì che ci aspettano basta saperle vedere. Cerco sempre un elemento generatore, un punto di partenza per poter dare forma e scolpire una idea. Alcune volte la immagine ruota come sospinta da una forza centrifuga attorno a questo elemento centrale e altre volte prende direzioni differenti e sorprendenti. Non esiste una norma nel mio procedimento creativo, può essere un processo lento e laborioso o subitaneo e intuitivo. Cercare ispirazione e idee è un lavoro quotidiano e costante. E’ come camminare verso un luogo senza sapere come arrivarci. Alcune volte la strada si trova facilmente altre volte ci si perde durante il percorso. L’importante è voler arrivare. Cerco di avere una visione trasversale delle cose. Provare a capovolgere per leggere le forme senza l’inibizione dell’esperienza. Provare a guardare il mondo a testa in giù. Il mondo non cambia, si modifica solo la prospettiva di guardare le cose per rivelare i vuoti, i silenzi e le sorprese nascoste tra le forme. Cerco di ascoltare ed osservare, attivare tutti i sensi per poi filtrare le informazioni ed elaborare un risultato personale.

 

Qual è il tuo soggetto preferito da disegnare?

L’architettura è spesso la protagonista. Mi piace cercare (im)possibili relazioni tra l’architettura e altri mondi e scovarla in “luoghi sensibili”. Mi piace trovare l’architettura nascosta in universi paralleli, in questo senso, l’illustrazione mi aiuta a esplorare linguaggi alternativi. Nelle mie immagini cerco di instaurare di un dialogo immaginario ed immaginato tra differenti discipline. I fili che uniscono e intrecciano le relazioni possono essere sottili e trasparenti o robusti e corposi. Una trama eterogenea e fantasiosa che collega l’architettura con mondi apparentemente differenti in un “unicum” illustrato. Cerco di trovare l’architettura nascosta e farla parlare una lingua differente per comunicare con un pubblico che può essere “straniero” all’architettura.

 

Hai una ritualità nel disegnare?

Sono più prolifico alla mattina ed ho più idee di notte però in generale non ho una regola fissa. Le cose possono cambiare e sono sempre alla ricerca di nuovi ingredienti per aggiungere nuovi sapori alle mie immagini. Io cambio continuamente, evolvo vado avanti e a volte faccio passi indietro e i miei progetti seguono i miei cambi e le mie fluttuazioni. Mi piace sentirmi libero, libero di esprimermi senza dover rinchiudermi nella “prigione di uno stile o di forma.” Quando creo le illustrazioni uso sempre un collage di tecniche e programmi diversi. Dal disegno a mano al disegno vettoriale e programmi di modellazione 3D. Questi diversi ingredienti mi permettono di ottenere la miscela e l’atmosfera desiderata. Tutte le tecniche sono un utile strumento di lavoro. Mi piace intersecare ed intrecciare diverse metodologie per tessere la tela grafica, il risultato è sempre più prezioso.

 

Cos’è per te la creatività?

Una domanda difficile. La creatività è come fare un regalo. Bisogna sceglierlo con cura. Una volta deciso quale sarà il regalo bisogna impacchettarlo. La scatola è importante, non solo lo contiene e lo protegge ma può o meno svelarne il contenuto. La carta che lo avvolge è come la pelle di un’opera creativa. E’ la prima cose che si vede nel momento in cui si riceve un regalo. Infine il nastro che è come un vezzo che offre un tocco di leggerezza ed eleganza. Chi osserva un opera creativa di qualsiasi tipo è come chi riceve un regalo. Lo scarta lo apre e alla fine scopre la sorpresa. A volte piace e a volte no……

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Animazioni ipnotiche, al confine tra realtà e fantasia: è questa la cifra stilistica di Oscar Pettersson, 3D motion artist di Stoccolma che partecipa al progetto “What’s in a lamp?” con una serie inedita di coinvolgenti loop infiniti.

Prendendo ispirazione dalle storie che hanno portato all’ideazione e creazione di alcuni dei modelli più amati della collezione, Oscar Pettersson ha dato vita alle lampade, raccontandone il design attraverso affascinanti video a ciclo infinito.

È così che il cuore luminoso della lampada Satellight di Eugeni Quitllet diventa un frammento di luce che fluttua, alla ricerca della libertà. Le Soleil di Garcia Jimenez gira su sé stessa, mentre mantiene magicamente in equilibrio una biglia di metallo, lungo il bordo di una delle sue inconfondibili fasce irregolari. In un altro video, è Magneto di Giulio Iachetti ad interagire con la sua caratteristica sfera magnetica, quasi a ricordare un incantatore di serpenti che ipnotizza il suo cobra, mentre un gruppo di Twiggy di Marc Sadler danzano, in una graziosa coreografia che mette in evidenza la flessibilità del suo stelo. Il dondolio ritmico di un pendolo fatto di lampade a sospensione Aplomb di Lucidi e Pevere incanta e culla, mentre una serie di sfere di luce volano nello spazio come molecole e, scontrandosi, si fondono a creare la forma organica e irregolare di Gregg (design: L+R Palomba).

Vuoi scoprire di più sulla creatività di questo talentuoso artista? Non perdere la nostra esclusiva intervista.

Raccontaci l’inizio della tua carriera come artista: come sei entrato nell’arte digitale e cosa ti motiva a creare?

Studiavo in una scuola chiamata Hyper Island quando ho capito che l’animazione era un ambito nel quale volevo eccellere. Ho iniziato come animatore 2D ma poi ho iniziato a orientarmi sempre di più verso il 3D, ed ora sono un animatore 3D da ormai 7 anni. La sensazione che provi quando stai lavorando su qualcosa e ti rendi conto che ne sta risultando qualcosa di buono è impagabile. È quella sensazione che mi motiva a creare, creare e creare, finché non creo finalmente qualcosa di buono. In poche parole: creare qualcosa di bello, mi fa sentire bene.

 

Le tue animazioni in loop sono allo stesso tempo delicate e ipnotiche. Qual è il processo creativo dietro le tue opere d’arte?

Il mio processo è iterativo. Creo svariate veloci animazioni in 3D, mettendo a terra diversi concept e idee. Poi ne scelgo un paio e ci rilavoro finché qualcosa di interessante inizia ad emergere.
Di solito si può identificare un “problema visuale” a cui corrisponderà necessariamente una “soluzione visuale”. Se si riesce a identificare il problema, allora si può creare una soluzione… una soluzione che sia bella da guardare! c’è un problema visivo e una soluzione visiva. Se riesco a trovare un problema, posso creare una soluzione – una soluzione che è bella da guardare. Penso che dietro ad ogni problema si nasconda sempre un concetto interessante che va scoperto.

 

Come hai sviluppato il tuo stile distintivo scegliendo di rappresentare queste situazioni surreali che superano i confini di ciò che è fisicamente possibile?

Il mio stile nasce da quello che mi piace creare. E ogni opera che creo, mi aiuta a capire sempre di più la direzione in cui voglio continuare a creare. Il timing perfetto esiste raramente nel mondo reale, quindi io lo creo per i miei spettatori, perché apprezzino e godano della perfezione, a ripetizione, all’infinito.

 

Parlando delle tue fonti di ispirazione: il tuo lavoro implica un approccio creativo e la capacità di guardare la realtà da una prospettiva diversa e originale. Come ci riesci?

Traggo molta ispirazione dall’ingegneria e dalla meccanica. Poi combino quella complessità con la semplicità e cerco di rappresentare delle contraddizioni, che so, l’abbracciare un cactus, rendere il metallo morbido o delle piume pesanti. Durante tutto il processo sono sempre aperto a tornare indietro, ripetere, modificare il procedimento in ogni modo possibile e in ogni momento. Questa modalità, di solito, porta a trovare prospettive nuove, diverse, creative.

 

Cosa ti ha ispirato nel progetto “What’s in a lamp?” con Foscarini?

Il design dei prodotti è incredibile, ho solo dovuto trovare un modo interessante per rappresentare le loro storie e caratteristiche distintive attraverso l’animazione. Il buon design è sempre fonte di ispirazione per un animatore.

 

Qual è la tua animazione preferita della serie e perché?

Dal punto di vista dell’animazione, mi piace Magneto e dal punto di vista estetico sceglierei il video rosso con Twiggy.

 

Cos’è per te la creatività?

La creatività? È trovare soluzioni interessanti a problemi interessanti.

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In occasione della Milano Design Week 2023, Foscarini presenta VITE 2, secondo capitolo del progetto nato nel 2018 insieme all’artista e fotografo Gianluca Vassallo che, mettendo in scena Vite di persone raccontate attraverso le case che abitano, ha segnato un cambio di rotta nel racconto delle collezioni Foscarini.

Scopri VITE

VITE rappresenta una nuova prospettiva, un cambio di focus, un’evoluzione del modo in cui il marchio si pone rispetto ai propri prodotti. La volontà di parlare di luce partendo non dalle lampade – chi le disegna, sviluppa o produce – ma dalle persone che vivono negli spazi che le lampade illuminano. Con VITE – dal 2022 anche un volume pubblicato e distribuito in libreria da Corraini – infatti il prodotto non è più al centro, perché al centro ci sono le persone.

VITE non è un esercizio stilistico ma un progetto voluto da Foscarini per invitare a cogliere il vero potere del design: l’emozione e l’atmosfera che una lampada sa regalare a una casa vera, abitata da persone reali, desiderose di prendersi cura delle cose per stare bene con sé stesse e con il proprio spazio abitativo. La bellezza e l’emozione che Vassallo sa intercettare e riprodurre è la stessa che Foscarini aspira a creare con le sue lampade: nate per fare luce, ma soprattutto per essere compagne nelle Vite di chi le sceglie.

All’interno del sito le emozionanti immagini di vite sono organizzate in varie modalità, per assecondare le diverse esigenze di ispirazione. Puoi esplorare i diversi ambienti di casa, le funzioni d’uso, navigare le immagini per prodotto o lasciarti trasportare nelle vite dei protagonisti in un racconto per immagini, video e parole.

“Alla fine del 2018, mentre stavamo riflettendo sull’aggiornamento della nostra documentazione commerciale, ci siamo trovati di fronte ad un bivio. Per noi operatori del mondo della luce, che proponiamo prodotti diversi da accesi e da spenti e capaci di inserirsi in contesti molto diversificati, è difficile trovare risposte univoche per rappresentare tale trasversalità. Meglio mostrare il progetto di design in sé o costruirgli attorno un’ambientazione di contesto? Difficile propendere per l’una o l’altra strada, entrambe con aspetti positivi e connaturati limiti. Fino a che non abbiamo iniziato ad immaginare qualcosa di diverso. Un racconto in cui le nostre lampade entrassero a far parte di case vere, integrandosi in ambienti vissuti. Mostrando la loro capacità di portare carattere, ma anche di adattarsi. Di non richiedere la scena, ma di contribuire a crearla, entrando a far parte di Vite vere”

CARLO URBINATI,
/  FONDATORE E PRESIDENTE FOSCARINI

Racconto per immagini, video e parole, VITE è un viaggio attraverso città del Nord, Sud, Est e Ovest. Un itinerario all’interno di ambienti veri, a incontrare persone reali. Al centro dell’obbiettivo e della narrazione sono proprio le persone, mentre lo sguardo viene lasciato libero di aggirarsi in ambienti personali, veri e pertanto anche imperfetti, molto lontani dalla comunicazione tipica del mondo del design in cui Foscarini opera, che spesso teme l’imperfezione, quella che caratterizza la vita. Con il progetto VITE non vediamo più set fotografici, ma case vissute, quotidiane, che ci raccontano da vicino le storie delle persone che le abitano.

Tre continenti, tredici città, venticinque case dopo, il secondo capitolo – VITE 2, appunto – si aggiunge al primo. Lo integra, ampliando le latitudini esplorate a caccia di una Luce diversa e con essa di culture di abitare e Vite diverse

Con VITE Foscarini racconta il design nella sua dimensione più umana. Quel design che esprime le sue qualità nelle abitazioni di persone che vivono le case come specchi: per vedersi e non mostrarsi, per trovarsi e non esporsi.

Un progetto per scoprire la luce di Foscarini nelle case degli altri. Un racconto per immaginare quella luce nelle nostre.

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Ironico e giocoso, capace di guardare dove gli altri non guardano: vi presentiamo Noma Bar, protagonista del secondo capitolo del progetto “What’s in a lamp?”. Nelle sue illustrazioni si è ispirato alle lampade più iconiche di Foscarini e le ha rese protagoniste di immagini minimaliste che, attraverso un uso sapiente del negative space, celano storie ed emozioni che vengono svelate non appena si guarda più attentamente ai dettagli.

Noma Bar è senza dubbio uno degli illustratori più innovativi della scena internazionale contemporanea. Di origini israeliane, vive e lavora a Londra ed è conosciuto a livello internazionale per il suo stile originale, che si colloca all’incrocio tra illustrazione, arte e graphic design. Pochi colori, linee semplici e un perfetto equilibrio formale raccontano storie, nascondendole nei dettagli. Osservando le sue opere si apprezza sempre un’insolita svolta creativa: la mente è portata a notare elementi secondari, che l’occhio non coglie immediatamente. Sono illustrazioni che richiedono un momento di attenzione in più, perché lo sguardo non è tutto e c’è qualcosa che va al di là: la chiave è vedere ciò che gli altri non vedono, guardare dove gli altri non stanno guardando. Le sue opere sono apparse in molte riviste, copertine e pubblicazioni, tra cui The New Yorker, The New York Times, The Economist, Internazionale, Wallpaper*, Esquire e The Guardian, solo per citarne alcune.

In questa serie per il progetto “What’s in a lamp?” – che trasforma il feed Instagram @foscarinilamps in una galleria d’arte virtuale, uno spazio aperto ad esponenti noti ed emergenti nel mondo delle arti visive, ispirati dalle collezioni Foscarini – le nostre lampade più iconiche diventano personaggi all’interno dell’universo creativo di Noma. Attraverso un abile uso della tecnica del “negative space” le lampade sono protagoniste in sei immagini minimaliste che, ad osservarle da vicino, rivelano molteplici livelli di interpretazione, storie, sensazioni. Espressioni artistiche complesse, ma di una sorprendente semplicità, un tratto comune tra l’approccio dell’artista e quello di Foscarini: liberare l’essenziale per emozionare e catturare lo sguardo.

In questa intervista, Noma Bar ci racconta qualcosa in più della sua arte e della collaborazione con Foscarini.

Raccontaci l’inizio della tua carriera come artista. Come hai cominciato? Hai sempre saputo che era questo, quello che volevi fare?

Diventare un artista era il mio sogno d’infanzia. Ho disegnato fin da quando mi ricordi, da bambino stavo sempre a disegnare, fare lavoretti, sperimentare con l’arte e la manualità. Mi divertivo a ritrarre le persone intorno a me, i miei familiari, i vicini, gli amici… È sempre stato molto chiaro nella mia mente che questo era ciò che mi piaceva e volevo fare nella mia vita adulta.
Ho studiato Graphic Design e mi sono laureato alla Bezalel Academy of Arts and Design nel 2000. Subito dopo la laurea mi sono trasferito a Londra ed ho iniziato a inviare cartoline con le mie illustrazioni ad alcuni editori. In questo modo ho ottenuto poco dopo il mio primo incarico.

 

Come descrivi il tuo lavoro, che si colloca all’incrocio tra illustrazione e graphic design? Una volta hai definito la tua arte “brief illuminations” (“illuminazioni sintetizzate”), puoi dirci di più a riguardo?

Definirei il mio lavoro “Graphic Art” perché l’estetica è grafica, ma l’essenza è più vicina all’arte e all’illustrazione. I miei progetti personali invece li considero semplicemente “art” e quando mi viene chiesto di creare un’opera sulla base di una specifica storia o brief, allora preferisco il termine “illustrazione”.
“Brief illuminations” è il mio modo di distillare e semplificare questioni complesse con un semplice disegno.

 

In questo progetto le lampade Foscarini fanno parte di una serie che indaga il ruolo delle lampade nel trasformare uno “spazio” facendolo diventare la tua casa. Ci sono oggetti che ti fanno sentire a casa, ovunque tu sia?

Mio padre era un boscaiolo e durante la mia infanzia usava questa cartolina come lettera di accompagnamento. Mi è sempre piaciuta questa immagine e la dualità grafica del tronco d’albero e delle gambe del bambino.
Questa cartolina è sulla mia scrivania e mi fa sicuramente sentire a casa.

Parlando delle tue fonti di ispirazione, hai detto una volta “Guardo dove molte persone non guardano”. Come hai iniziato a vedere le cose da una prospettiva diversa?

Non penso che possa essere identificato un unico momento, è un’evoluzione che diventa un approccio alla vita, una costante ricerca per scoprire lo straordinario nell’ordinario.
Prendiamo la cucina come metafora: in tal caso si tratta di cercare di scoprire nuovi sapori usando l’alimentazione quotidiana che ci è familiare. Non saprei spiegare come succede.

 

Nelle tue opere ci sono concetti complessi, resi con una sorprendente semplicità. Foscarini ha un approccio simile al design del prodotto, mirando a liberare l’essenziale e arrivare dritto al cuore. Qual è il processo creativo per sviluppare le tue illustrazioni minimali?

Quando inizio a lavorare su un brief specifico, la prima sensazione che provo è come se dovessi entrare in un negozio di dolciumi per scegliere una sola caramella. Cerco di raccogliere le idee innanzitutto ad Highgate woods (proprio di fronte al mio studio), mi siedo in mezzo al bosco, leggo, faccio schizzi delle mie idee. Poi rientro in studio e disegno a computer le idee migliori.

 

Qual è il tuo soggetto preferito da disegnare?

Questa è una domanda facile: disegno continuamente le persone e i volti in cui mi imbatto.

 

Il tuo lavoro implica molta creatività. Come fai a mantenerla fresca?

Sono costantemente alla ricerca di creatività, di nuove idee. Cammino molto e trascorro, ogni giorno, diverse ore immerso nella natura, osservo come il bosco si trasforma quotidianamente e nel ciclo delle stagioni. Ogni giorno si assomiglia, ma ogni giorno è diverso e sono queste piccole differenze quelle in cui focalizzo la mia attenzione.

 

Cosa ti ha ispirato in questo progetto con Foscarini? Quali sono le illustrazioni che ti piacciono di più e perché?

Amo le silhouette belle e senza tempo, è stata una fortuna avere le meravigliose silhouette iconiche di Foscarini con cui lavorare. Il confronto con Foscarini è iniziato parlando di “casa tua”, che mi ha ispirato a trovare situazioni familiari, intime, quotidiane – dentro e fuori casa – in cui le lampade Foscarini si integravano magnificamente.

 

Qual è/sono l’illustrazione/le illustrazioni che ti piacciono di più in questa serie e perché?

Il cane Lumiere è probabilmente la mia preferita. Penso che sorprenda voi (così come sorprende me) rendersi conto che il corpo di “Lumiere” diventa il naso di un cagnolino, la base della lampada la sua bocca e la luce che produce il pelo del muso.

 

Cos’è per te la creatività?

Qualche volta mi è stato chiesto di illustrare la Creatività. L’immagine che preferisco per descriverla è questa che ho creato: un’oca con la testa infilata nella sabbia, che simboleggia l’ignorare, ma allo stesso tempo, la testa dell’oca spunta fuori e guarda – a significare l’importanza del non essere completamente fuori dal mondo. Succedono così tante cose, emergono continuamente nuove tendenze, ed io mi sento un po’ come questa oca: metto la testa nella sabbia per ignorare le rapide trasformazioni del gusto visivo, ma in realtà, la seconda testa dell’oca, mi ricorda di rimanere sintonizzato e tenere sempre fuori le antenne.

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Spazio alla creatività nella nuova social strategy di Foscarini: Instagram diventa un palcoscenico in cui energia, libertà creativa e ricerca sono protagoniste. What’s in a lamp? è un progetto di storytelling per immagini, animazioni e video che prende forma in uno spazio artistico contemporaneo, seguendo come filo narrativo conduttore il brand Foscarini, la sua essenza, le sue ispirazioni e le sue collezioni.

Sempre alla ricerca di soluzioni originali e distintive – non solo nell’ambito del prodotto, ma anche nel modo di raccontarsi – Foscarini ripensa le convenzioni comunicative nei social media tipiche del settore ed evolve in modo inedito e distintivo il proprio storytelling, trasformando il feed del canale Instagram @foscarinilamps in un luogo virtuale che dà voce ad esponenti noti o emergenti del mondo delle arti visive, con l’obiettivo di regalare bellezza, divertimento, stupore.

Un progetto caleidoscopico in cui artisti e content creator internazionali di diversa estrazione – dall’arte digitale alla fotografia, dall’illustrazione alla motion art – sono invitati a lasciarsi ispirare e “giocare” con le lampade Foscarini, ognuna caratterizzata da stili, materiali, designer diversi tra loro.

“Foscarini è un’azienda che vive di idee, di curiosità, di voglia di sperimentarci e di sperimentare. Cercavamo una strada più distintiva, più nostra, per raccontarci sui canali social – una soluzione nuova che, confrontandosi con i limiti e le caratteristiche del mezzo, ci permettesse di dare spazio alla creatività, raccogliere stimoli e metterli in relazione, scambiando conoscenze e combinando esperienze. Questo nuovo progetto digitale darà spazio a contenuti originali che, attraverso suggestioni visive in cui la nostra luce è protagonista, ci faranno scoprire la potenza delle idee”

CARLO URBINATI,
/ Presidente e fondatore di Foscarini

Apre la scena Luca Font – poliedrico artista italiano – con una serie inedita di illustrazioni di ispirazione modernista dai tratti geometrici e vivaci, seguito dal noto illustratore israeliano Noma Bar – maestro del Negative Space. E poi: Federico Babina, Oscar Pettersson, Maja Wronska, Kevin Lucbert, Alessandra Bruni, Luccico, Stefano Colferai, Fausto Gilberti e tanti altri artisti. Voci, stili e interpretazioni uniche per raccontare pensieri, sensazioni ed emozioni suscitate dalle lampade Foscarini, per sottolinearne le forme, l’idea alla base del loro concept o l’effetto che queste producono in uno spazio. Un calendario denso di visioni inconsuete sul tema della luce; un percorso creativo espressione di una riflessione sul ruolo che giocano le lampade Foscarini nel trasformare e definire un’idea personale di casa.

Segui il progetto sul canale Instagram ufficiale @foscarinilamps e lasciati trasportare dalla magia e dalle suggestioni delle diverse interpretazioni creative.

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Writer, illustratore, tatuatore: l’universo visivo di Luca Font si compone di media eterogenei, accomunati da uno stile distintivo che denota uno spiccato gusto per l’astrazione, il design grafico e la tipografia. Nella serie di illustrazioni realizzate per il progetto “What’s in a lamp?” di Foscarini, Font racconta visivamente il ruolo della luce e delle lampade Foscarini nel definire e conferire personalità ad un ambiente.

Luca Font è uno degli artisti parte del progetto “What’s in a lamp?”, che trasforma il feed del canale Instagram @foscarinilamps in un luogo virtuale che dà voce ad esponenti noti o emergenti del mondo delle arti visive, che sono invitati a lasciarsi ispirare e “giocare” con le lampade Foscarini, ognuna caratterizzata da stili, materiali, designer diversi tra loro.

Writer, illustratore, tatuatore: Luca Font, nato a Bergamo nel 1977, vive tra Milano e New York, la metropoli culla del Graffitismo, ed è proprio la passione per i graffiti che ne segna gli esordi come artista. Da treni e muri, ai tatuaggi, alla carta, all’arte digitale: l’universo visivo di Luca Font si compone di media eterogenei, accomunati da uno stile trasversale e distintivo che denota uno spiccato gusto per l’astrazione, il design grafico e la tipografia. Ciò che caratterizza la sua produzione consiste in una costante ricerca della sintesi visiva, oltre ad un tratto grafico che fonda minimalismo ed espressività.

Nella serie di illustrazioni realizzate per Foscarini, Font racconta visivamente il ruolo della luce e delle lampade Foscarini nel definire e conferire personalità ad un ambiente, sia di notte – quando accese – sia di giorno – quando spente. Sei illustrazioni compongono una sorta di ciclo circadiano in cui la casa sviluppa una propria personalità tramite illusione pareidolitica.

Raccontaci com’è iniziata la tua carriera di artista, da dove è partito tutto? Hai sempre saputo che volevi fare questo nella vita?

Ho cominciato a disegnare da piccolo e mi sono dedicato fin da adolescente ai graffiti, che per molti anni sono stati il mio principale output creativo. Non ho mai ricevuto un’educazione artistica formale e non avevo di certo considerato la possibilità di vivere disegnando fino a quando mi si è presentata quasi per caso l’occasione di imparare a tatuare, che ho afferrato al volo. Nel 2008 ho lasciato il mondo della comunicazione senza pensarci due volte ed è cambiato tutto.

 

Il tuo segno grafico è molto visibile, riconoscibile e distintivo. Come descriveresti il tuo stile e come si è evoluto, grazie alle esperienze che hai avuto?

Sono cresciuto circondato dalle grafiche dei videogiochi prima e delle tavole da skate poi, mia madre insegnava storia dell’arte ma ho sempre preferito quelle illustrazioni così potenti ed evocative alle pale d’altare del Mantegna. Questo ha con tutta probabilità contribuito all’approccio sempre molto grafico che ho sviluppato con i graffiti e poi con tutto il resto. Sintesi, leggibilità e impatto visivo immediato sono gli obiettivi che mi pongo ogni volta che disegno qualcosa, che sia un tatuaggio grande un palmo o un muro lungo trenta metri, e per quanto lavori su molti media diversi tra di loro cerco sempre di utilizzare un linguaggio formale che renda coerente la mia produzione.

 

In questo progetto hai indagato il ruolo delle lampade Foscarini nel trasformare lo spazio – notte e giorno, sia quando accese, sia quando spente. Ci racconti qualcosa di più dell’ispirazione dietro a questa serie?

La parte più interessante del lavorare con un cliente è la possibilità di parlare e soprattutto di ascoltare, cosa fondamentale per trovare nuove angolazioni e nuovi punti di vista. Dal confronto con Foscarini è emersa fin dall’inizio l’importanza della luce in relazione agli spazi: luce non solo notturna, che è ovviamente artificiale e prodotta dalle lampade, ma anche diurna, all’interno della quale le lampade trovano una dimensione diversa in quanto oggetti di design. Ecco allora che la luce (o meglio le luci) e le lampade Foscarini diventano due elementi che, in modi diversi a seconda dell’orario, contribuiscono a definire la personalità della casa, che è a sua volta un riflesso della personalità di chi la arreda e la abita.

 

Ci sono oggetti che ti fanno sentire a casa, ovunque tu sia?

Ho viaggiato costantemente negli ultimi dieci anni e quello che ogni volta mi fa sentire un po’ più vicino a casa sono le macchina fotografiche che porto sempre con me. In un certo senso fanno da ponte tra i posti dove sono e quello in cui tornerò portando con me un pezzo di ogni viaggio.

 

Cosa ne pensi di Foscarini? Com’è stato lavorare con l’azienda su questo progetto?

Mi sono sentito in sintonia fin da subito perché la filosofia che muove l’azienda ruota intorno ai concetti di individualità e personalizzazione, che sono gli stessi sui quali si basa il mio lavoro. Ogni singolo pezzo è un progetto a se stante, non credo nelle soluzioni standard perché sono convinto della necessità di un costante sforzo di aggiornamento e ricerca sia estetica che concettuale.

 

Quali sono le tue fonti di ispirazione e come coltivi la tua creatività?

Le mie fonti di ispirazione sono molto variegate, spesso quasi casuali. Mi affido alla ricerca ma anche alla quotidianità della vita di tutti i giorni: siamo così abituati ad essere circondati da stimoli visivi che in genere non prestiamo attenzione a ciò che vediamo, mentre nella maggior parte dei casi la cosa migliore da fare per trovare l’idea giusta è alzarsi dal foglio da disegno e andare a farsi un giro senza una meta guardandosi intorno.

 

Qual è il tuo processo creativo?

Dipende molto da cosa devo fare. Spesso elaboro le idee lasciandole sedimentare in background mentre faccio tutt’altro, poi traccio delle bozze molto approssimative su carta che passo successivamente ad elaborare in digitale per poi, eventualmente, riversarle di nuovo su carta o tela. Capita sempre più spesso di lavorare per supporti esclusivamente digitali, ma produrre artwork fisici rimane sempre l’output che preferisco.

 

Qual è la tua cosa preferita da disegnare?

Senza dubbio architetture e oggetti spigolosi.

 

Qual è/sono l’illustrazione/le illustrazioni che ti piacciono di più in questa serie e perché?

In realtà mi sono divertito non tanto con una singola illustrazione quanto con il fatto di aver avuto la possibilità di creare, sfruttando i sei soggetti distribuiti su due righe, una serie simmetrica che racconta il ciclo del giorno e della notte. La narrazione è un aspetto fondamentale di qualsiasi opera visiva e l’estetica non dovrebbe mai essere fine a se stessa.

 

Cos’è per te la creatività?

Per quanto mi riguarda è senza dubbio un processo organico che è impossibile separare dalla vita di tutti i giorni.

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Diretto da Gianluca Vassallo, prodotto da Foscarini e White Box Studio, il film racconta l’icona dell’architettura radicale e fondatore del gruppo SITE James Wines, indagando lo stretto rapporto tra l’artista e l’individuo, tra la figura pubblica dell’architetto Wines e quella più intima e privata dell’uomo James.

Dopo aver trascorso la sua vita immaginando un mondo in cui tutto è decostruito, ironico, capovolto, audace e colto, Wines si trova di fronte a come “il mondo” lo vede, in una storia collettiva sull’artista-architetto, che diventa anche un film sull’impatto del pensiero laterale nella comunità, negli individui, nei processi di cambiamento che attraversano il mondo.

La storia della collaborazione tra Foscarini e James Wines si sviluppa in quasi 30 anni. Le sue radici risalgono al 1991, con Table Light / Wall Light, il primo pezzo realizzato da Foscarini con il gruppo SITE di Wines. Alcuni anni dopo, i percorsi di Foscarini e SITE si incrociano nuovamente, grazie ad un ampio profilo pubblicato su Inventario (il book-zine lanciato da Foscarini nel 2010 come forma originale e indipendente per indagare il mondo della creatività e della cultura del design).
Nasce così l’idea di Foscarini di rilanciare il primo progetto, trasformandolo in edizioni di lampade e oggetti: The Light Bulb Series è una collezione d’autore che nasce da una riflessione sulla lampadina come archetipo, con la sua tipica forma a bulbo, declinata in una serie di sorprendenti provocazioni.

Oggi Foscarini, con il suo spirito libero, lascia completamente la scena a Vassallo e a Wines, maestro dell’architettura contemporanea e di rottura.

“Indagare la profondità umana, a questo a mio avviso serve il cinema; a questo, ancora di più, il cinema di documentazione. Sarebbe stato facile scovare dell’ottimo materiale d’archivio, accoppiarvi un’intervista e servire al pubblico l’ennesima celebrazione di un artista e della sua opera. Ma il compito di chi, come me, nella produzione di senso – cinematica o fotografica che sia – porta le sue inquietudini, le curiosità, uno sguarda sul mondo che cerca di chiarirsi, di fronte ad una personalità come quella di Wines, non può che cercare la complessità dell’uomo che alimenta la grazia del genio, non può che indagare la profondità, le idiosincrasie, le paure, il caos di James, più che la gloria di Wines.”

Gianluca Vassallo
/ regista del film

Girato tra New York NY, Watertown MN, Washington DC, Miami, Stone Ridge NY e Roma tra l’ottobre 2021 e il febbraio 2022, il film è stato selezionato dai curatori del Milano Design Film Festival 2022, l’appuntamento annuale che da dieci anni utilizza il cinema per avvicinare il grande pubblico ai concetti più contemporanei di design e architettura, visti da prospettive non convenzionali.

Ci sono molti modi di celebrare una collaborazione che dura da 30 anni. Noi abbiamo scelto di soffiare sul fuoco della creatività, con lo sguardo dell’artista-fotografo Gianluca Vassallo sulle lampade-scultura di Ferruccio Laviani.

Con Notturno Laviani, Gianluca Vassallo ha interpretato le lampade-scultura che Ferruccio Laviani ha disegnato per Foscarini dal 1992 a oggi. Il risultato è un progetto che racconta un’idea di luce italiana nata nella mente dell’artista ascoltando una canzone e sviluppata nella sua doppia veste intimista e pubblica.

È una narrazione che procede per episodi. Quattordici scatti in cui le lampade abitano spazi alieni: non location ma ambienti significali in cui la distanza tra oggetto e contesto moltiplica il senso e stimola a cercare interpretazioni personali intorno a quell’immaginario di luce che appartiene a tutti noi ma che ognuno vede, ogni giorno, con i propri occhi.

Foscarini Design stories
— 30 years of Orbital

Il progetto Notturno Laviani è parte di un e-book dedicato alla collaborazione proficua tra Foscarini e Ferruccio Laviani. Nata da un’affinità elettiva, si è sviluppata in tre decenni come un percorso di crescita comune.

C’è un nuovo grattacielo in città ed è fatto di luce! In occasione del NYCxDESIGN festival 2022 Foscarini omaggia New York e il suo inconfondibile skyline con il progetto fotografico “The city of light.”

Foscarini sceglie ancora una volta l’arte della fotografia per raccontarsi e raccontare i suoi prodotti e, in occasione della Design Week 2022 di New York, presenta “The City of Light”, inedito progetto fotografico di Gianluca Vassallo e Francesco Mannironi in cui protagonista è Uptown, scultorea lampada da terra di Ferruccio Laviani che è un omaggio, a partire dal nome, al più iconografico degli skyline, quello di Manhattan.

Lampada-scultura, grattacielo di luce dalla presenza assertiva e d’impatto, Uptown è una composizione di tre corpi in lastre di vetro temperato e colorato in serigrafia nei toni primari del giallo, del rosso e del blu che, sovrapposti, danno vita a nuove intense sfumature di colore.
Espressione dell’attitudine sperimentale di Foscarini, Uptown è interpretata in una versione totalmente fuori scala, inserita all’interno di alcuni tra gli angoli più riconoscibili della città: Greenpoint, Wall Street, Broadway, Midtown….

Negli scatti fotografici emerge l’identità peculiare di Uptown che va individuata nella trasparenza, fil rouge che ha guidato ogni scelta nello sviluppo del progetto, come il taglio molato a 45° che rende impercettibile il punto d’incontro delle lastre di vetro. Ciò che non si vede, e che pare non esserci, è stato nascosto intenzionalmente: resta un’impressione di semplicità, che rende immediato e di facile lettura un oggetto di grande complessità.
Suggestiva già da spenta, Uptown diventa protagonista assoluta dello spazio quando è accesa. La fonte luminosa a LED con dimmer è nascosta nella base: quando la lampada si illumina, le lastre si caricano di colore e la luce viene proiettata verso l’alto. Uptown è una lampada ad alto tasso di personalità, che con carisma si allontana dal consueto e definisce l’ambiente circostante con la sua presenza dal carattere deciso.

Dopo la selezione da parte dell’ADI Design Index 2021 per concorrere al Premio Compasso d’Oro, la primavera 2022 segna un nuovo significativo capitolo per VITE, il progetto multimediale di Foscarini che a partire dal mese di maggio sarà distribuito da Corraini nei migliori bookshop e librerie di tutto il mondo.

Corraini e Foscarini ancora una volta insieme con VITE, racconto per immagini, video e parole, che esplora il diverso senso di casa, il rapporto con la luce, la relazione tra la vita in casa e lo spazio esterno. L’editore – che con il marchio di illuminazione decorativa condivide l’attitudine alla sperimentazione e alla continua ricerca e con cui già collabora per il book-zine Inventario – distribuirà ora anche il libro VITE di Foscarini nei migliori bookshop e librerie del proprio network.

VITE è un affascinante progetto editoriale con cui Foscarini parla di luce partendo non dalle proprie lampade – chi le disegna, sviluppa o produce – ma dalle persone che vivono negli spazi che le lampade illuminano.

Presentato nel 2020 e selezionato da ADI Design Index 2021, VITE è un viaggio che ci porta tra città del Nord, Sud, Est e Ovest, all’interno di ambienti veri, a incontrare persone reali – accompagnati dall’artista, fotografo e videomaker Gianluca Vassallo e dallo scrittore Flavio Soriga. Al centro dell’obiettivo e della narrazione sono le persone, mentre lo sguardo viene lasciato libero di aggirarsi in ambienti personali, veri e pertanto anche imperfetti, molto lontani dalla comunicazione tipica del mondo del design in cui Foscarini opera, che spesso teme l’imperfezione, quella che caratterizza la vita. Con il progetto VITE non vediamo più̀ set fotografici, ma case vissute, quotidiane, che ci raccontano da vicino le storie delle persone che le abitano.

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Nello showroom Spazio Soho Foscarini racconta una visione incentrata sull’uomo: la mostra fotografica VITE porta all’interno di case vissute, quotidiane, e fa scoprire le storie delle persone che le abitano, accompagnati dalle lampade che illuminano la scena.

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VITE rappresenta un cambiamento di visione, una diversa prospettiva, un’evoluzione nel modo in cui Foscarini rappresenta e racconta le proprie collezioni.
Il progetto VITE nasce dalla volontà di mettere al centro le persone, rendendole il fulcro centrale della narrativa sul design. Il progetto parla di luce partendo non dalla lampada – chi la disegna, la sviluppa o la produce – ma da chi la vive all’interno del proprio spazio più intimo: la casa.

Con una mostra presso il flagship store di New York, Foscarini racconta questa visione incentrata sull’uomo: Spazio Soho diventa un ambiente per esplorare le immagini fotografiche del progetto, accompagnati dalle lampade che illuminano la scena. Tra i prodotti in mostra: Lumiere di Rodolfo Dordoni, Gregg di Ludovica+Roberto Palomba, MITE Anniversario e Twiggy di Marc Sadler, Plena di Eugenio Gargioni e Guillaume Albouy, Sun – Light of Love di Tord Boontje, Caboche di Patricia Urquiola ed Eliana Gerotto, Aplomb di Lucidi Pevere e Spokes di Garcia Cumini.

I visitatori sono accompagnati in un un viaggio all’interno di case reali – tra Copenhagen, New York, Napoli, Shanghai e Venezia – fotografate dall’artista Gianluca Vassallo e narrate dallo scrittore Flavio Soriga. Al centro dell’obbiettivo e della narrazione le persone, mentre lo sguardo viene lasciato libero di aggirarsi in ambienti intimi, veri e pertanto anche imperfetti. Non più le abitazioni controllatissime, ma artefatte e “irraggiungibili” di tanti set fotografici, ma case vissute, quotidiane, che ci raccontano da vicino le storie delle persone che le abitano.
La mostra VITE mette in evidenza il cambiamento di prospettiva di Foscarini nel mostrare le proprie luci in una dimensione più intima e privata, all’interno di spazi in cui le lampade sono inserite in modo molto naturale come parte dell’esperienza di persone reali nelle proprie case.

“Ogni volta che si è aperta la porta a una delle vite che ho fotografato negli ultimi mesi, ho inseguito una domenica di quarant’anni fa, che esiste dentro di me. Ho cercato la meraviglia di quella luce particolare che ho sperimentato all’età di sei anni, in una casa completamente nuova, con l’odore della vernice fresca ad accoglierci e il suono che arrivava dal piano di sopra. Che era semplicemente la luce che ho immaginato attraversare la vita di chiunque fosse che viveva lassù.”

GIANLUCA VASSALLO
/ AUTORE

Il progetto VITE sarà in mostra fino a maggio 2022 presso lo showroom Foscarini Spazio Soho di New York e visitabile 24 ore su 24 da qualsiasi luogo del mondo grazie ad un Tour Virtuale.
Visita lo showroom virtuale

Tra diapositive e foto d’epoca, questo progetto fotografico di Massimo Gardone per Foscarini ci trasporta in un viaggio nel tempo, grazie a una lampada e alla sua luce.

“È sempre solo un’intuizione”: il progetto fotografico sviluppato da Massimo Gardone per Foscarini nasce da un’intuizione e prende forma dal suo sguardo poetico: è così che Birdie Easy, Troag e Bump si inseriscono in location e ambientazioni leggendarie.
Frammenti in bianco e nero, strappati al tempo, con tutta la loro poesia e il loro fascino, trovano nuova vita grazie a una sovrapposizione – virtuale e virtuosa – di immagini, di diapositive che creano un ritaglio di colore grazie a un tocco luminoso: quello delle lampade Foscarini che, nell’interpretazione del fotografo e con il suo sguardo poetico, trasporta ad oggi location del passato, mostrando in modo inedito l’anima ‘contract’ di questi modelli della collezione.

“Quando Foscarini mi chiese di interpretare le location per le nuove Birdie, nacque l’idea di inserire le lampade in setting d’epoca, magari ispirati a vecchi film. La miccia era innescata. Ma è stato quando immaginai di vedere lo sguardo di Joan Holloway, dalla serie Mad Man, nella ragazza seduta sulla poltrona al decimo piano del Rossiya Hotel di Mosca, ritratta in uno scatto del 1966, che capii che l’atmosfera di quei preziosi bianchi e neri era quella giusta: il nostro racconto parte da qui, attingendo alle foto di un importante archivio di immagini.”

MASSIMO GARDONE
/ FOTOGRAFO

Nel lavoro di Massimo Gardone sfilano così, in successione, le immagini dell’archivio storico Bridgeman Images, che ci portano nella New York di inizio secolo, passando – mentre trascorrono gli anni – nella lounge dell’hotel Knickerbocker, nella veranda del Park Avenue Hotel o nella lounge del White Hotel, arrivando poi a Londra, nella reading room dell’YMCA, e, nel 1937, in una camera del Copley Plaza Hotel di Boston, fino a concedersi, alla metà degli anni ’80, una sosta nella Suite dell’Oriental Hotel di Bangkok.
Sul bianco e nero d’epoca sembra essere appoggiata una diapositiva 6×6, con uno scatto delle lampade Foscarini immaginate in quello stesso luogo.

“Magicamente, in quel piccolo quadrato, la luce illumina la scena, i colori si fanno spazio tra i grigi, l’alchimia tra analogico e digitale è compiuta. Ogni immagine è un film, ogni immagine ci fa volare altrove.”

MASSIMO GARDONE
/ FOTOGRAFO

In occasione dell’edizione 2017 dei Brera Design Days, Foscarini presenta un’installazione di MAESTRIE, l’ampio progetto che mette in luce il sapere artigiano alla base della realizzazione di alcune delle icone Foscarini.

A Foscarini Spazio Brera una grande installazione firmata da Peter Bottazzi, scenografo e progettista poliedrico, già collaboratore di registi come Peter Greenaway, Moni Ovadia e Robert Wilson e curatore degli allestimenti per le mostre di Steve Mc Curry, punta a ricreare in modo coinvolgente ed emozionale il sapere e il lavoro artigianale alla base di alcuni dei modelli iconici dell’azienda.

“Ho provato a dipanare e stratificare materiali, immagini, movimento, luci, proiezioni, prodotti e rumori, coreografando in maniera poco ortodossa migliaia di stimoli”

PETER BOTTAZZI
/ SCENOGRAFO E PROGETTISTA

Una grande struttura lunga 12 metri, invade lo spazio di Foscarini Spazio Brera per condividere suggestioni e frammenti di verità attraverso immagini dei volti e delle mani degli artigiani che danno forma, con il loro lavoro, a idee e progetti. Le fotografie sono state scattate da Gianluca Vassallo all’interno delle piccole aziende artigianali dove nascono lampade come la Mite e la Twiggy di Marc Sadler, l’Aplomb di Lucidi e Pevere, la Rituals e la Tartan di Ludovica e Roberto Palomba, la Lumiere di Rodolfo Dordoni.

Il visitatore viene accolto da un maxi-schermo su cui scorrono suggestive immagini di produzione, ammassi di stimoli e preziosi ritagli di sapere, in un racconto che è al tempo stesso messa in scena e processo rituale per celebrare la saggezza e la sapienza delle mani. Il fotografo Gianluca Vassallo si è fatto portavoce e veicolo, addentrandosi all’interno di fucine e androni ricolmi di vita e calore, tra mani e materiali, barattoli e fatiche, per restituirci quanto terreno e pesante sia sempre il percorso che porta a tradurre e concretizzare un’idea.

“MAESTRIE mette in luce il sapere artigiano da cui nascono tanti oggetti straordinari del design italiano e alcune delle nostre lampade più amate, che costituisce una parte essenziale del DNA di Foscarini. Per tanti anni ci siamo focalizzati sul prodotto finale, sull’impatto estetico ed emotivo che poteva suscitare trascurando però il ‘come’ si otteneva questo risultato. Volevo trovare il modo di trasferire l’emozione che provo ogni volta, quando vado a visitare gli artigiani che realizzano le nostre lampade. Rimango sempre affascinato dalle cose straordinarie che si possono fare e dal fatto che spesso ci si dimentica di quanto siano attraenti, di quanto siano importanti”

CARLO URBINATI
/ PRESIDENTE FOSCARINI

Maestrie è il racconto di una dimensione finora nascosta: il sapere artigiano che sta alla base della realizzazione di alcuni dei modelli più amati di Foscarini.

Scopri il progetto Maestrie

Un progetto fotografico di Gianluca Vassallo per Foscarini porta alcune lampade nelle strade di Stoccolma, Milano, New York.

Nasce in occasione della partecipazione alla Stockholm Furniture Fair del 2017 il progetto fotografico itinerante “Postcards of Light” per il quale Foscarini ha chiesto all’artista Gianluca Vassallo di portare il design nelle strade per raccontare in modo diverso la propria presenza nelle capitali del design attraverso alcuni dei modelli più amati.
Le lampade si trasformano così in protagoniste e testimoni dei frammenti di vita che ogni passante porta con sé.

 

“Una cartolina per testimoniare la gioia d’esserci stati, sul mondo, d’esserci stati nel cuore, con l’intimo desiderio che qualcuno, a qualunque latitudine, qualcuno che con me sta condividendo ora e adesso la fortuna d’essere al mondo, possa sentire la grazia con cui provo ad attraversarlo, accompagnato in ciascuno di questi viaggi dalla luce del mondo e da quella che Foscarini prova ad aggiungere, dalla luce che fanno gli uomini e da quella che Foscarini gli dona. Con la speranza che anche uno solo, tra quanti passano leggeri sul presente, senta il desiderio di scrivere sul dorso di queste immagini: grazie per avermi dato luce.”

GIANLUCA VASSALLO
/ ARTISTA

Un progetto d’arte firmato da Gianluca Vassallo che documenta fotograficamente la sottile relazione che si può instaurare tra due estranei quando vengono invitati a guardarsi negli occhi sotto l’arco di Twiggy.

Più di 120 scatti per più di 120 incontri fra persone, fino ad allora sconosciute, sotto l’arco della lampada Twice as Twiggy. La lampada iconica, firmata Marc Sadler e proposta in versione gigante, diventa protagonista degli spazi pubblici di una New York City in bianco e nero dal fascino decisamente senza tempo. definendo un’area leggibile che al contempo è confine di una possibilità.

L’artista Gianluca Vassallo ha costituito e immortalato delle piccole comunità temporanee creando arte attraverso un espermento sociale. Ha invitato dei passanti, sconosciuti, a guardarsi gli occhi per un minuto, sotto l’abbraccio di luce della Twice as Twiggy tra Soho, Central Park, Coney Island e Chelesa, cercando di rendere visibile il filo sottile che unisce due persone, seppure estranee l’un l’altra fino a quel momento e dunque, metaforicamente, a mettere in luce la prossimità di ciascuno, all’umanità tutta.

Un’inedita mostra fotografica di UMassimo Gardone. Scatti capaci di offrire nuove prospettive sulla collezione, con gigantografie che portano in primo piano i volumi del prodotto e accolgono i visitatori della Biennale come grandi architetture.

Visioni che evocano un mondo senza tempo, quasi fantascientifico. La ruota panoramica di Londra o il museo Guggenheim. Cisterne d’acqua, enormi tralicci elettrici o i grattacieli di Shanghai. Monumental proietta uno sguardo inedito sulle lampade della collezione Foscarini, trasformandole in una visione di universi alternativi. Grandi strutture architettoniche sotto un cielo senza tempo.
Dall’immaginario di Massimo Gardone, una collezione di scatti fotografici che interpreta in maniera originale alcuni prodotti di Foscarini, presentata in anteprima presso l’Arsenale in occasione della 14^ Mostra Internazionale di Architettura di Venezia.

 

“Ho giocato col fatto che queste lampade si stanno trasformando in architetture, ispirandomi ad Irving Penn o alle atmosfere del film Metropolis di Fritz Lang, ai bianchi e neri. I cieli grigi – che fanno riferimento al mondo dei grigi di Sugimoto – diventano quasi una pelle di queste strutture: le lampade non sono ritagliate e messe nel cielo, ma sono affondate, moltiplicate, fanno parte dell’universo, di questi mondi immaginari e sospesi.”

MASSIMO GARDONE
/ FOTOGRAFO

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