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Animazioni ipnotiche, al confine tra realtà e fantasia: è questa la cifra stilistica di Oscar Pettersson, 3D motion artist di Stoccolma che partecipa al progetto “What’s in a lamp?” con una serie inedita di coinvolgenti loop infiniti.

Prendendo ispirazione dalle storie che hanno portato all’ideazione e creazione di alcuni dei modelli più amati della collezione, Oscar Pettersson ha dato vita alle lampade, raccontandone il design attraverso affascinanti video a ciclo infinito.

È così che il cuore luminoso della lampada Satellight di Eugeni Quitllet diventa un frammento di luce che fluttua, alla ricerca della libertà. Le Soleil di Garcia Jimenez gira su sé stessa, mentre mantiene magicamente in equilibrio una biglia di metallo, lungo il bordo di una delle sue inconfondibili fasce irregolari. In un altro video, è Magneto di Giulio Iachetti ad interagire con la sua caratteristica sfera magnetica, quasi a ricordare un incantatore di serpenti che ipnotizza il suo cobra, mentre un gruppo di Twiggy di Marc Sadler danzano, in una graziosa coreografia che mette in evidenza la flessibilità del suo stelo. Il dondolio ritmico di un pendolo fatto di lampade a sospensione Aplomb di Lucidi e Pevere incanta e culla, mentre una serie di sfere di luce volano nello spazio come molecole e, scontrandosi, si fondono a creare la forma organica e irregolare di Gregg (design: L+R Palomba).

Vuoi scoprire di più sulla creatività di questo talentuoso artista? Non perdere la nostra esclusiva intervista.

Raccontaci l’inizio della tua carriera come artista: come sei entrato nell’arte digitale e cosa ti motiva a creare?

Studiavo in una scuola chiamata Hyper Island quando ho capito che l’animazione era un ambito nel quale volevo eccellere. Ho iniziato come animatore 2D ma poi ho iniziato a orientarmi sempre di più verso il 3D, ed ora sono un animatore 3D da ormai 7 anni. La sensazione che provi quando stai lavorando su qualcosa e ti rendi conto che ne sta risultando qualcosa di buono è impagabile. È quella sensazione che mi motiva a creare, creare e creare, finché non creo finalmente qualcosa di buono. In poche parole: creare qualcosa di bello, mi fa sentire bene.

 

Le tue animazioni in loop sono allo stesso tempo delicate e ipnotiche. Qual è il processo creativo dietro le tue opere d’arte?

Il mio processo è iterativo. Creo svariate veloci animazioni in 3D, mettendo a terra diversi concept e idee. Poi ne scelgo un paio e ci rilavoro finché qualcosa di interessante inizia ad emergere.
Di solito si può identificare un “problema visuale” a cui corrisponderà necessariamente una “soluzione visuale”. Se si riesce a identificare il problema, allora si può creare una soluzione… una soluzione che sia bella da guardare! c’è un problema visivo e una soluzione visiva. Se riesco a trovare un problema, posso creare una soluzione – una soluzione che è bella da guardare. Penso che dietro ad ogni problema si nasconda sempre un concetto interessante che va scoperto.

 

Come hai sviluppato il tuo stile distintivo scegliendo di rappresentare queste situazioni surreali che superano i confini di ciò che è fisicamente possibile?

Il mio stile nasce da quello che mi piace creare. E ogni opera che creo, mi aiuta a capire sempre di più la direzione in cui voglio continuare a creare. Il timing perfetto esiste raramente nel mondo reale, quindi io lo creo per i miei spettatori, perché apprezzino e godano della perfezione, a ripetizione, all’infinito.

 

Parlando delle tue fonti di ispirazione: il tuo lavoro implica un approccio creativo e la capacità di guardare la realtà da una prospettiva diversa e originale. Come ci riesci?

Traggo molta ispirazione dall’ingegneria e dalla meccanica. Poi combino quella complessità con la semplicità e cerco di rappresentare delle contraddizioni, che so, l’abbracciare un cactus, rendere il metallo morbido o delle piume pesanti. Durante tutto il processo sono sempre aperto a tornare indietro, ripetere, modificare il procedimento in ogni modo possibile e in ogni momento. Questa modalità, di solito, porta a trovare prospettive nuove, diverse, creative.

 

Cosa ti ha ispirato nel progetto “What’s in a lamp?” con Foscarini?

Il design dei prodotti è incredibile, ho solo dovuto trovare un modo interessante per rappresentare le loro storie e caratteristiche distintive attraverso l’animazione. Il buon design è sempre fonte di ispirazione per un animatore.

 

Qual è la tua animazione preferita della serie e perché?

Dal punto di vista dell’animazione, mi piace Magneto e dal punto di vista estetico sceglierei il video rosso con Twiggy.

 

Cos’è per te la creatività?

La creatività? È trovare soluzioni interessanti a problemi interessanti.

Segui il progetto “What’s in a lamp?” sul canale Instagram ufficiale @foscarinilamps
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Ironico e giocoso, capace di guardare dove gli altri non guardano: vi presentiamo Noma Bar, protagonista del secondo capitolo del progetto “What’s in a lamp?”. Nelle sue illustrazioni si è ispirato alle lampade più iconiche di Foscarini e le ha rese protagoniste di immagini minimaliste che, attraverso un uso sapiente del negative space, celano storie ed emozioni che vengono svelate non appena si guarda più attentamente ai dettagli.

Noma Bar è senza dubbio uno degli illustratori più innovativi della scena internazionale contemporanea. Di origini israeliane, vive e lavora a Londra ed è conosciuto a livello internazionale per il suo stile originale, che si colloca all’incrocio tra illustrazione, arte e graphic design. Pochi colori, linee semplici e un perfetto equilibrio formale raccontano storie, nascondendole nei dettagli. Osservando le sue opere si apprezza sempre un’insolita svolta creativa: la mente è portata a notare elementi secondari, che l’occhio non coglie immediatamente. Sono illustrazioni che richiedono un momento di attenzione in più, perché lo sguardo non è tutto e c’è qualcosa che va al di là: la chiave è vedere ciò che gli altri non vedono, guardare dove gli altri non stanno guardando. Le sue opere sono apparse in molte riviste, copertine e pubblicazioni, tra cui The New Yorker, The New York Times, The Economist, Internazionale, Wallpaper*, Esquire e The Guardian, solo per citarne alcune.

In questa serie per il progetto “What’s in a lamp?” – che trasforma il feed Instagram @foscarinilamps in una galleria d’arte virtuale, uno spazio aperto ad esponenti noti ed emergenti nel mondo delle arti visive, ispirati dalle collezioni Foscarini – le nostre lampade più iconiche diventano personaggi all’interno dell’universo creativo di Noma. Attraverso un abile uso della tecnica del “negative space” le lampade sono protagoniste in sei immagini minimaliste che, ad osservarle da vicino, rivelano molteplici livelli di interpretazione, storie, sensazioni. Espressioni artistiche complesse, ma di una sorprendente semplicità, un tratto comune tra l’approccio dell’artista e quello di Foscarini: liberare l’essenziale per emozionare e catturare lo sguardo.

In questa intervista, Noma Bar ci racconta qualcosa in più della sua arte e della collaborazione con Foscarini.

Raccontaci l’inizio della tua carriera come artista. Come hai cominciato? Hai sempre saputo che era questo, quello che volevi fare?

Diventare un artista era il mio sogno d’infanzia. Ho disegnato fin da quando mi ricordi, da bambino stavo sempre a disegnare, fare lavoretti, sperimentare con l’arte e la manualità. Mi divertivo a ritrarre le persone intorno a me, i miei familiari, i vicini, gli amici… È sempre stato molto chiaro nella mia mente che questo era ciò che mi piaceva e volevo fare nella mia vita adulta.
Ho studiato Graphic Design e mi sono laureato alla Bezalel Academy of Arts and Design nel 2000. Subito dopo la laurea mi sono trasferito a Londra ed ho iniziato a inviare cartoline con le mie illustrazioni ad alcuni editori. In questo modo ho ottenuto poco dopo il mio primo incarico.

 

Come descrivi il tuo lavoro, che si colloca all’incrocio tra illustrazione e graphic design? Una volta hai definito la tua arte “brief illuminations” (“illuminazioni sintetizzate”), puoi dirci di più a riguardo?

Definirei il mio lavoro “Graphic Art” perché l’estetica è grafica, ma l’essenza è più vicina all’arte e all’illustrazione. I miei progetti personali invece li considero semplicemente “art” e quando mi viene chiesto di creare un’opera sulla base di una specifica storia o brief, allora preferisco il termine “illustrazione”.
“Brief illuminations” è il mio modo di distillare e semplificare questioni complesse con un semplice disegno.

 

In questo progetto le lampade Foscarini fanno parte di una serie che indaga il ruolo delle lampade nel trasformare uno “spazio” facendolo diventare la tua casa. Ci sono oggetti che ti fanno sentire a casa, ovunque tu sia?

Mio padre era un boscaiolo e durante la mia infanzia usava questa cartolina come lettera di accompagnamento. Mi è sempre piaciuta questa immagine e la dualità grafica del tronco d’albero e delle gambe del bambino.
Questa cartolina è sulla mia scrivania e mi fa sicuramente sentire a casa.

Parlando delle tue fonti di ispirazione, hai detto una volta “Guardo dove molte persone non guardano”. Come hai iniziato a vedere le cose da una prospettiva diversa?

Non penso che possa essere identificato un unico momento, è un’evoluzione che diventa un approccio alla vita, una costante ricerca per scoprire lo straordinario nell’ordinario.
Prendiamo la cucina come metafora: in tal caso si tratta di cercare di scoprire nuovi sapori usando l’alimentazione quotidiana che ci è familiare. Non saprei spiegare come succede.

 

Nelle tue opere ci sono concetti complessi, resi con una sorprendente semplicità. Foscarini ha un approccio simile al design del prodotto, mirando a liberare l’essenziale e arrivare dritto al cuore. Qual è il processo creativo per sviluppare le tue illustrazioni minimali?

Quando inizio a lavorare su un brief specifico, la prima sensazione che provo è come se dovessi entrare in un negozio di dolciumi per scegliere una sola caramella. Cerco di raccogliere le idee innanzitutto ad Highgate woods (proprio di fronte al mio studio), mi siedo in mezzo al bosco, leggo, faccio schizzi delle mie idee. Poi rientro in studio e disegno a computer le idee migliori.

 

Qual è il tuo soggetto preferito da disegnare?

Questa è una domanda facile: disegno continuamente le persone e i volti in cui mi imbatto.

 

Il tuo lavoro implica molta creatività. Come fai a mantenerla fresca?

Sono costantemente alla ricerca di creatività, di nuove idee. Cammino molto e trascorro, ogni giorno, diverse ore immerso nella natura, osservo come il bosco si trasforma quotidianamente e nel ciclo delle stagioni. Ogni giorno si assomiglia, ma ogni giorno è diverso e sono queste piccole differenze quelle in cui focalizzo la mia attenzione.

 

Cosa ti ha ispirato in questo progetto con Foscarini? Quali sono le illustrazioni che ti piacciono di più e perché?

Amo le silhouette belle e senza tempo, è stata una fortuna avere le meravigliose silhouette iconiche di Foscarini con cui lavorare. Il confronto con Foscarini è iniziato parlando di “casa tua”, che mi ha ispirato a trovare situazioni familiari, intime, quotidiane – dentro e fuori casa – in cui le lampade Foscarini si integravano magnificamente.

 

Qual è/sono l’illustrazione/le illustrazioni che ti piacciono di più in questa serie e perché?

Il cane Lumiere è probabilmente la mia preferita. Penso che sorprenda voi (così come sorprende me) rendersi conto che il corpo di “Lumiere” diventa il naso di un cagnolino, la base della lampada la sua bocca e la luce che produce il pelo del muso.

 

Cos’è per te la creatività?

Qualche volta mi è stato chiesto di illustrare la Creatività. L’immagine che preferisco per descriverla è questa che ho creato: un’oca con la testa infilata nella sabbia, che simboleggia l’ignorare, ma allo stesso tempo, la testa dell’oca spunta fuori e guarda – a significare l’importanza del non essere completamente fuori dal mondo. Succedono così tante cose, emergono continuamente nuove tendenze, ed io mi sento un po’ come questa oca: metto la testa nella sabbia per ignorare le rapide trasformazioni del gusto visivo, ma in realtà, la seconda testa dell’oca, mi ricorda di rimanere sintonizzato e tenere sempre fuori le antenne.

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Writer, illustratore, tatuatore: l’universo visivo di Luca Font si compone di media eterogenei, accomunati da uno stile distintivo che denota uno spiccato gusto per l’astrazione, il design grafico e la tipografia. Nella serie di illustrazioni realizzate per il progetto “What’s in a lamp?” di Foscarini, Font racconta visivamente il ruolo della luce e delle lampade Foscarini nel definire e conferire personalità ad un ambiente.

Luca Font è uno degli artisti parte del progetto “What’s in a lamp?”, che trasforma il feed del canale Instagram @foscarinilamps in un luogo virtuale che dà voce ad esponenti noti o emergenti del mondo delle arti visive, che sono invitati a lasciarsi ispirare e “giocare” con le lampade Foscarini, ognuna caratterizzata da stili, materiali, designer diversi tra loro.

Writer, illustratore, tatuatore: Luca Font, nato a Bergamo nel 1977, vive tra Milano e New York, la metropoli culla del Graffitismo, ed è proprio la passione per i graffiti che ne segna gli esordi come artista. Da treni e muri, ai tatuaggi, alla carta, all’arte digitale: l’universo visivo di Luca Font si compone di media eterogenei, accomunati da uno stile trasversale e distintivo che denota uno spiccato gusto per l’astrazione, il design grafico e la tipografia. Ciò che caratterizza la sua produzione consiste in una costante ricerca della sintesi visiva, oltre ad un tratto grafico che fonda minimalismo ed espressività.

Nella serie di illustrazioni realizzate per Foscarini, Font racconta visivamente il ruolo della luce e delle lampade Foscarini nel definire e conferire personalità ad un ambiente, sia di notte – quando accese – sia di giorno – quando spente. Sei illustrazioni compongono una sorta di ciclo circadiano in cui la casa sviluppa una propria personalità tramite illusione pareidolitica.

Raccontaci com’è iniziata la tua carriera di artista, da dove è partito tutto? Hai sempre saputo che volevi fare questo nella vita?

Ho cominciato a disegnare da piccolo e mi sono dedicato fin da adolescente ai graffiti, che per molti anni sono stati il mio principale output creativo. Non ho mai ricevuto un’educazione artistica formale e non avevo di certo considerato la possibilità di vivere disegnando fino a quando mi si è presentata quasi per caso l’occasione di imparare a tatuare, che ho afferrato al volo. Nel 2008 ho lasciato il mondo della comunicazione senza pensarci due volte ed è cambiato tutto.

 

Il tuo segno grafico è molto visibile, riconoscibile e distintivo. Come descriveresti il tuo stile e come si è evoluto, grazie alle esperienze che hai avuto?

Sono cresciuto circondato dalle grafiche dei videogiochi prima e delle tavole da skate poi, mia madre insegnava storia dell’arte ma ho sempre preferito quelle illustrazioni così potenti ed evocative alle pale d’altare del Mantegna. Questo ha con tutta probabilità contribuito all’approccio sempre molto grafico che ho sviluppato con i graffiti e poi con tutto il resto. Sintesi, leggibilità e impatto visivo immediato sono gli obiettivi che mi pongo ogni volta che disegno qualcosa, che sia un tatuaggio grande un palmo o un muro lungo trenta metri, e per quanto lavori su molti media diversi tra di loro cerco sempre di utilizzare un linguaggio formale che renda coerente la mia produzione.

 

In questo progetto hai indagato il ruolo delle lampade Foscarini nel trasformare lo spazio – notte e giorno, sia quando accese, sia quando spente. Ci racconti qualcosa di più dell’ispirazione dietro a questa serie?

La parte più interessante del lavorare con un cliente è la possibilità di parlare e soprattutto di ascoltare, cosa fondamentale per trovare nuove angolazioni e nuovi punti di vista. Dal confronto con Foscarini è emersa fin dall’inizio l’importanza della luce in relazione agli spazi: luce non solo notturna, che è ovviamente artificiale e prodotta dalle lampade, ma anche diurna, all’interno della quale le lampade trovano una dimensione diversa in quanto oggetti di design. Ecco allora che la luce (o meglio le luci) e le lampade Foscarini diventano due elementi che, in modi diversi a seconda dell’orario, contribuiscono a definire la personalità della casa, che è a sua volta un riflesso della personalità di chi la arreda e la abita.

 

Ci sono oggetti che ti fanno sentire a casa, ovunque tu sia?

Ho viaggiato costantemente negli ultimi dieci anni e quello che ogni volta mi fa sentire un po’ più vicino a casa sono le macchina fotografiche che porto sempre con me. In un certo senso fanno da ponte tra i posti dove sono e quello in cui tornerò portando con me un pezzo di ogni viaggio.

 

Cosa ne pensi di Foscarini? Com’è stato lavorare con l’azienda su questo progetto?

Mi sono sentito in sintonia fin da subito perché la filosofia che muove l’azienda ruota intorno ai concetti di individualità e personalizzazione, che sono gli stessi sui quali si basa il mio lavoro. Ogni singolo pezzo è un progetto a se stante, non credo nelle soluzioni standard perché sono convinto della necessità di un costante sforzo di aggiornamento e ricerca sia estetica che concettuale.

 

Quali sono le tue fonti di ispirazione e come coltivi la tua creatività?

Le mie fonti di ispirazione sono molto variegate, spesso quasi casuali. Mi affido alla ricerca ma anche alla quotidianità della vita di tutti i giorni: siamo così abituati ad essere circondati da stimoli visivi che in genere non prestiamo attenzione a ciò che vediamo, mentre nella maggior parte dei casi la cosa migliore da fare per trovare l’idea giusta è alzarsi dal foglio da disegno e andare a farsi un giro senza una meta guardandosi intorno.

 

Qual è il tuo processo creativo?

Dipende molto da cosa devo fare. Spesso elaboro le idee lasciandole sedimentare in background mentre faccio tutt’altro, poi traccio delle bozze molto approssimative su carta che passo successivamente ad elaborare in digitale per poi, eventualmente, riversarle di nuovo su carta o tela. Capita sempre più spesso di lavorare per supporti esclusivamente digitali, ma produrre artwork fisici rimane sempre l’output che preferisco.

 

Qual è la tua cosa preferita da disegnare?

Senza dubbio architetture e oggetti spigolosi.

 

Qual è/sono l’illustrazione/le illustrazioni che ti piacciono di più in questa serie e perché?

In realtà mi sono divertito non tanto con una singola illustrazione quanto con il fatto di aver avuto la possibilità di creare, sfruttando i sei soggetti distribuiti su due righe, una serie simmetrica che racconta il ciclo del giorno e della notte. La narrazione è un aspetto fondamentale di qualsiasi opera visiva e l’estetica non dovrebbe mai essere fine a se stessa.

 

Cos’è per te la creatività?

Per quanto mi riguarda è senza dubbio un processo organico che è impossibile separare dalla vita di tutti i giorni.

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La nascita della lampada-scultura Orbital ha rappresentato per Foscarini non solo l’inizio della collaborazione con Ferruccio Laviani, ma anche una dichiarazione d’intenti: abbiamo abbandonato per la prima volta il vetro soffiato di Murano, abbracciando il pensiero che oggi ci porta a gestire più di venti tecnologie diverse.

Se dovessi raccontare la collaborazione con Foscarini con un aggettivo, quale sceglieresti?

Ne userei due: proficua e libera. La prima parola ha un sapore pecuniario ma non va intesa in questo senso, o meglio non solo. Il fatto che quasi tutte le lampade che ho disegnato per Foscarini siano ancora a catalogo è un’ottima notizia sia per il mio studio che per l’azienda.
Ma la definisco proficua soprattutto perché aver disegnato oggetti che, a distanza di 30 anni, la gente ancora apprezza è un enorme sollievo per un progettista: è la conferma che quello che fa ha un senso.
C’è poi il tema della libertà creativa. Foscarini mi ha permesso di muovermi con estrema indipendenza espressiva dal prodotto agli spazi, senza mai imporre paletti di nessun tipo. È cosa veramente rara e preziosa.

 

Come mai, secondo te, siete arrivati a questa libertà espressiva e creativa?

Penso sia parte del modo di essere delle persone coinvolte. Se un progettista si guadagna la sua fiducia, Foscarini risponde lasciando una libertà di espressione totale. Sono coscienti del fatto che è il modo migliore di ottenere il massimo dalla collaborazione, per entrambe le parti. Ovviamente una volta constatato che al lavoro “di pancia” segue poi anche quello “di testa”. Nel mio caso Orbital è stata la scommessa iniziale: una lampada dall’estetica così connotata sarebbe piaciuta? Avrebbe resistito al test del tempo? La risposta del pubblico è stata affermativa e, da quel momento, il nostro sodalizio è sempre stato all’insegna della massima libertà.

Cosa significa questa libertà per un designer?

Dà la possibilità di sondare diverse sfaccettature del possibile. Per una persona come me, che non si è mai identificato in uno stile o un particolare tipo di gusto ma si innamora periodicamente di sapori, atmosfere, decori sempre diversi, questa libertà è fondamentale perché mi permette di esprimermi. Non ho pretese artistiche e sono ben conscio che quello che faccio è produzione: oggetti di serie che devono avere una funzione ben chiara e assolverla al meglio. Di fianco a queste considerazioni razionali, però, quello che mi agita nell’atto creativo è il desiderio. La voglia, quasi incontenibile, di dar vita a un oggetto che non c’è: qualcosa che vorrei avere come parte della mia vita.

Come sono questi oggetti che desideri e quindi progetti?

Non ho una risposta dal punto di vista dello stile: faccio cose sempre diverse perché mi sento sempre diverso e riempio i miei spazi fisici e mentali con presenze che variano nel tempo e riflettono questi paesaggi personali. Mi affascina però tutto quello che crea un legame con le persone e tra le persone. Alle cose che progetto quindi do sempre un carattere: quello che a mio avviso riflette al meglio il mio modo di interpretare lo spirito del tempo. A volte dell’attimo. Questo è molto più vero per una lampada piuttosto che per un altro elemento d’arredo perché una lampada decorativa si sceglie per un’affinità, per quello che dice a noi e di noi. È l’inizio di un dialogo ideale tra il designer e l’acquirente. Se poi quella lampada continua a parlare alla gente anche dopo 30 anni vuol dire che quella conversazione è rilevante e ancora riesce a dire qualcosa di significativo.

L’evento per il trentennale di Orbital è stato anche occasione di presentare ufficialmente il nuovo progetto fotografico NOTTURNO LAVIANI, con una mostra dedicata a Foscarini Spazio Monforte. In questo progetto Gianluca Vassallo interpreta le lampade che Laviani ha disegnato per Foscarini in una narrazione che procede per episodi, con quattordici scatti in cui le luci abitano spazi alieni.

Scopri di più su Notturno Laviani

Cosa provi davanti all’interpretazione che Gianluca Vassallo ha fatto delle tue lampade?

La sensazione di un cerchio che si chiude. Perché Gianluca racconta una sua idea di luce usando gli oggetti che ho disegnato come sottili ma significative presenze. Ed è lo stesso che accade quando una persona decide di mettersi in casa una mia lampada. Davanti a Notturno provo dunque quella stessa grande emozione che provo quando qualcuno si impossessa di un mio progetto e lo rende partecipe della sua esistenza: la sensazione è quella – bellissima – di aver fatto qualcosa che ha un senso e una rilevanza per gli altri.

 

Qual è lo scatto che più ti rappresenta?

Senz’altro quello della Orbital in esterno: il cavalcavia con il manifesto stracciato del circo. Perché io sono così: tutto e il contrario di tutto.

E-Book

30 Years of Orbital
— Foscarini Design stories
Creativity & Freedom

Scarica l’esclusivo e-book Foscarini Design stories — 30 years of Orbital e scopri di più sulla collaborazione tra Foscarini e Laviani. Una collaborazione proficua, nata da un’affinità elettiva, che si è sviluppata in tre decenni come un percorso di crescita comune.

Vuoi dare un’occhiata?

Ci sono molti modi di celebrare una collaborazione che dura da 30 anni. Noi abbiamo scelto di soffiare sul fuoco della creatività, con lo sguardo dell’artista-fotografo Gianluca Vassallo sulle lampade-scultura di Ferruccio Laviani.

Con Notturno Laviani, Gianluca Vassallo ha interpretato le lampade-scultura che Ferruccio Laviani ha disegnato per Foscarini dal 1992 a oggi. Il risultato è un progetto che racconta un’idea di luce italiana nata nella mente dell’artista ascoltando una canzone e sviluppata nella sua doppia veste intimista e pubblica.

È una narrazione che procede per episodi. Quattordici scatti in cui le lampade abitano spazi alieni: non location ma ambienti significali in cui la distanza tra oggetto e contesto moltiplica il senso e stimola a cercare interpretazioni personali intorno a quell’immaginario di luce che appartiene a tutti noi ma che ognuno vede, ogni giorno, con i propri occhi.

Foscarini Design stories
— 30 years of Orbital

Il progetto Notturno Laviani è parte di un e-book dedicato alla collaborazione proficua tra Foscarini e Ferruccio Laviani. Nata da un’affinità elettiva, si è sviluppata in tre decenni come un percorso di crescita comune.

Uno scenografico e lussureggiante Giardino dell’Eden dove si svelano le nuove luci come inediti oggetti del desiderio: l’esperienza immersiva di Foscarini alla Milano Design Week 2022.

In occasione del Fuori Salone 2022, le novità 2022 di Foscarini si svelano nell’affascinante allestimento ideato da Ferruccio Laviani che ridisegna e trasforma il piano superiore di Foscarini Spazio Monforte in un giardino dell’Eden. De-Light Garden – il nome evocativo scelto per l’installazione – è un percorso immersivo che ricrea un lussureggiante giardino dove si svelano le novità 2022 di Foscarini: la lampada a sospensione Tonda dello stesso Laviani e la lampada da tavolo Bridge di Francesco Meda, inediti oggetti del desiderio per appassionati di design. Come lo racconta lo stesso designer, De-Light Garden gioca infatti sul tema della tentazione e del desiderio rileggendo la scena di Adamo ed Eva intenti a cogliere il frutto proibito:

“Deliziare ovvero dare piacere, e perché no, anche agli occhi e al tatto. De-light è dedicato a quel sottile filo che lega tutti noi all’impulso volitivo di possedere qualcosa e alla tentazione che proviamo nel desiderarlo. Ed è proprio alla tentazione e al piacere che ci dà la luce, in tutte le sue forme, che mi sono ispirato per l’allestimento di Foscarini Spazio Monforte; varcata la soglia ci si trova immersi nel Giardino dell’Eden dove assistiamo, come cristallizzata, alla scena di Adamo ed Eva intenti a cogliere il frutto dall’albero del Bene e del Male, in un contesto che sembra scaturire da un’incisione di Dürer. Con questo setup volevo dire che ‘cadere in tentazione’ di tanto in tanto è bello e che design e luce possono a loro volta diventare un oggetto del desiderio”.

FERRUCCIO LAVIANI
/ DESIGNER

Al piano inferiore dello showroom, prosegue la presentazione delle novità di prodotto, con NILE di Rodolfo Dordoni e CHIAROSCURA di Alberto e Francesco Meda. Proposte capaci, nel loro essere così diverse tra loro, di affermare insieme, ognuna con la propria identità, la visione sempre pioneristica di Foscarini e la sua capacità di riscrivere costantemente le regole del gioco.

A confermare ulteriormente l’anima più sperimentale e innovativa di Foscarini ampio spazio è dedicato al lavoro di ricerca che il brand sta conducendo a quattro mani con Andrea Anastasio sul tema della ceramica e dell’interazione con la luce: Battiti.

Nel progetto Battiti la luce viene impiegata non per illuminare ma per costruire. Come fosse un materiale: che realizza effetti, sottolinea forme, imbastisce ombre. 

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C’è un nuovo grattacielo in città ed è fatto di luce! In occasione del NYCxDESIGN festival 2022 Foscarini omaggia New York e il suo inconfondibile skyline con il progetto fotografico “The city of light.”

Foscarini sceglie ancora una volta l’arte della fotografia per raccontarsi e raccontare i suoi prodotti e, in occasione della Design Week 2022 di New York, presenta “The City of Light”, inedito progetto fotografico di Gianluca Vassallo e Francesco Mannironi in cui protagonista è Uptown, scultorea lampada da terra di Ferruccio Laviani che è un omaggio, a partire dal nome, al più iconografico degli skyline, quello di Manhattan.

Lampada-scultura, grattacielo di luce dalla presenza assertiva e d’impatto, Uptown è una composizione di tre corpi in lastre di vetro temperato e colorato in serigrafia nei toni primari del giallo, del rosso e del blu che, sovrapposti, danno vita a nuove intense sfumature di colore.
Espressione dell’attitudine sperimentale di Foscarini, Uptown è interpretata in una versione totalmente fuori scala, inserita all’interno di alcuni tra gli angoli più riconoscibili della città: Greenpoint, Wall Street, Broadway, Midtown….

Negli scatti fotografici emerge l’identità peculiare di Uptown che va individuata nella trasparenza, fil rouge che ha guidato ogni scelta nello sviluppo del progetto, come il taglio molato a 45° che rende impercettibile il punto d’incontro delle lastre di vetro. Ciò che non si vede, e che pare non esserci, è stato nascosto intenzionalmente: resta un’impressione di semplicità, che rende immediato e di facile lettura un oggetto di grande complessità.
Suggestiva già da spenta, Uptown diventa protagonista assoluta dello spazio quando è accesa. La fonte luminosa a LED con dimmer è nascosta nella base: quando la lampada si illumina, le lastre si caricano di colore e la luce viene proiettata verso l’alto. Uptown è una lampada ad alto tasso di personalità, che con carisma si allontana dal consueto e definisce l’ambiente circostante con la sua presenza dal carattere deciso.

Dopo la selezione da parte dell’ADI Design Index 2021 per concorrere al Premio Compasso d’Oro, la primavera 2022 segna un nuovo significativo capitolo per VITE, il progetto multimediale di Foscarini che a partire dal mese di maggio sarà distribuito da Corraini nei migliori bookshop e librerie di tutto il mondo.

Corraini e Foscarini ancora una volta insieme con VITE, racconto per immagini, video e parole, che esplora il diverso senso di casa, il rapporto con la luce, la relazione tra la vita in casa e lo spazio esterno. L’editore – che con il marchio di illuminazione decorativa condivide l’attitudine alla sperimentazione e alla continua ricerca e con cui già collabora per il book-zine Inventario – distribuirà ora anche il libro VITE di Foscarini nei migliori bookshop e librerie del proprio network.

VITE è un affascinante progetto editoriale con cui Foscarini parla di luce partendo non dalle proprie lampade – chi le disegna, sviluppa o produce – ma dalle persone che vivono negli spazi che le lampade illuminano.

Presentato nel 2020 e selezionato da ADI Design Index 2021, VITE è un viaggio che ci porta tra città del Nord, Sud, Est e Ovest, all’interno di ambienti veri, a incontrare persone reali – accompagnati dall’artista, fotografo e videomaker Gianluca Vassallo e dallo scrittore Flavio Soriga. Al centro dell’obiettivo e della narrazione sono le persone, mentre lo sguardo viene lasciato libero di aggirarsi in ambienti personali, veri e pertanto anche imperfetti, molto lontani dalla comunicazione tipica del mondo del design in cui Foscarini opera, che spesso teme l’imperfezione, quella che caratterizza la vita. Con il progetto VITE non vediamo più̀ set fotografici, ma case vissute, quotidiane, che ci raccontano da vicino le storie delle persone che le abitano.

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Plena dalla luna prende il nome, la forma e una luce che fa innamorare. Lampada a sospensione dal fascino unico, è protagonista di un allestimento a Foscarini Spazio Monforte, curato da Ferruccio Laviani, che gioca con la luce e i suoi riflessi.

Spazio alla luce: l’installazione milanese racconta al meglio il registro creativo di Plena e la sintesi tra forma e funzione, tra prestazione e poesia che la identifica. La lampada a sospensione disegnata da Eugenio Gargioni e Guillaume Albouy, grande nelle dimensioni ma dalla presenza dinamica e leggera, ha una doppia illuminazione: riflessa sul piano sottostante e diffusa verso il soffitto.

Plena è una culla che contiene una fonte luminosa che, come l’essenziale, è invisibile agli occhi. Capace di illuminare completamente una stanza pur mantenendosi morbida e avvolgente, è perfetta collocata sopra un tavolo, dove non abbaglia mai.
Il tessuto – un telo doppio in speciale PVC con alta riflettività della luce, frutto della costante ricerca sui materiali di Foscarini – è magico: restituisce la forma come se fosse pieno, eppure non necessità di armature, di muscolarità̀, è un gesto perfettamente naturale. L’immagine cambia a seconda della prospettiva da cui viene vista e la sua linea arcuata trasmette una sensazione di levità e di volo. Plena appare come una vela nell’atto di prendere il vento.

 

“Il setup dedicato a Plena mi è stato ispirato dalla lampada stessa osservandola, cercando di capirla ed interpretarla. Anche se la forma è l’aspetto più immediato che la identifica, cercare di raccontarne la qualità della luce – ed in questo la sua unicità – è stato per me l’obiettivo principale. Proprio come nei giorni di plenilunio la Luna risplende nella sua massima bellezza, anche in Plena la luce indiretta ne esalta il disegno, legandola ancor più al termine da cui prende il nome, ovvero Louksna, dalla radice Leuk: Luce o Luce Riflessa. Ed è proprio questo ‘Incantesimo’ che ho voluto raccontare attraverso un allestimento essenziale, dove mostrare la faccia nascosta della luna piena (‘Plena’) attraverso l’utilizzo di semplici specchi circolari che fluttuano come altri satelliti nello spazio vuoto. Un vezzo, un gesto quasi vanitoso, nell’ammirarsi e farsi ammirare, senza mai svelare fino in fondo il lato magico che la contraddistingue”.

FERRUCCIO LAVIANI
/ DESIGNER

Scopri di più su Plena, lampada a sospensione disegnata da Eugenio Gargioni e Guillaume Albouy.

Scopri Plena

Il Premio Compasso d’Oro è il più antico e autorevole premio mondiale del settore del design. Istituito nel 1954, su proposta di Giò Ponti, ha lo scopo di mettere in evidenza il valore e la qualità dei prodotti del design italiano.

Dal 1958 ADI, l’Associazione per il Disegno Industriale, ne cura l’organizzazione, garantendone imparzialità e integrità – assegnandolo sulla base di una preselezione effettuata da una commissione di esperti, designer, critici, storici, giornalisti – con l’obiettivo di promuove e riconoscere la qualità e l’innovazione della ricerca, della cultura materiale e del progetto italiani.

Tutti gli oggetti premiati entrano a far parte della Collezione Storica del Premio Compasso d’Oro ADI, dichiarata dal Ministero dei Beni Culturali come bene nazionale “di eccezionale interesse artistico e storico”.

Più volte, nel corso degli anni, Foscarini è stata selezionata dall’Osservatorio Permanente del Design – l’organismo ADI che, grazie a commissioni di esperti, valuta la produzione italiana nelle varie categorie merceologiche – ottenendo due Compassi D’Oro e sette Menzioni d’Onore, a testimonianza del costante impegno dell’azienda nella ricerca, nella proposta di nuove forme e significati, non solo nel prodotto, ma anche nel modo di raccontarsi.

2001: Il Compasso d’Oro a Mite e Tite

Scopri Mite e Tite

Frutto di oltre due anni di ricerche, la lampada da terra Mite è prodotta dal 2000. Concepita da Marc Sadler, utilizza un diffusore alto 185 cm, a pianta circolare che si sagoma allargandosi verso l’alto, realizzato in tessuto di vetro con avvolto un filo in carbonio per la versione nera, in Kevlar® per la versione gialla.
La ricerca sul materiale è partita dall’esplorazione delle possibili tecnologie del rowing, che si basa sull’avvolgimento di fili attorno a un corpo pieno. Una tecnologia normalmente utilizzata per la produzione di canne da pesca e remi per le imbarcazioni da competizione, e già utilizzata da Marc Sadler per la realizzazione di mazze da golf. In anteprima assoluta Foscarini ha applicato questa tecnica al settore dell’illuminazione e ne ha brevettato l’invenzione. Il tessuto di vetro viene tagliato come un vestito, avvolto ad uno stampo con una resina polimerizzata e il filo, e successivamente viene fatto cuocere in forno. In questo modo, il filo crea un’originale decorazione e conferisce al materiale spiccate caratteristiche di flessibilità e solidità, leggerezza e resistenza e la struttura è al contempo corpo portante e illuminante.
La giuria del Compasso d’oro-ADI 2001 assegnando il premio a Mite e alla sospensione Tite lo ha così motivato:

“Innovazione tecnologica nell’utilizzo di un materiale appositamente progettato, facilità di manutenzione e pulizia, leggerezza e conformazione caratterizzano un oggetto di grande semplicità e dal design essenziale per espressività estetica nella risposta funzionale”.

Le lampade Mite e Tite sono conservate presso l’ADI Design Museum di Milano e sono inserite nella collezione di design del Centre Pompidou di Parigi.

2011: Menzione d’onore per l’installazione “Infinity”

Infinity – un gigantesco caleidoscopio progettato da Vicente Garcia Jimenez che moltiplicava all’infinito le immagini della collezione Foscarini – ha accolto al suo interno e affascinato i visitatori del Fuorisalone 2009, negli spazi di Superstudio Più a Milano, coinvolgendoli in un’esperienza multisensoriale fuori dal comune fatta di coreografie di luce, con video realizzati da Massimo Gardone e musiche originali di Francesco Morosini. L’installazione è stata selezionata nell’ADI Design Index 2010 e premiata nel 2011 con una Menzione d’Onore in occasione del XXII Compasso d’Oro, quale riconoscimento alla comunicazione fortemente innovativa di Foscarini.

2014: Il Compasso d’Oro al progetto editoriale Inventario

Scopri Inventario

Tra libro e rivista, Inventario è un progetto editoriale diretto da Beppe Finessi, promosso e sostenuto da Foscarini, che esplora le migliori produzioni della creatività internazionale, attraverso un racconto sul progetto condotto da molteplici punti di vista.
Inventario getta uno sguardo illuminato e libero sulla scena del design, dell’architettura e dell’arte. Un approccio unico e inconfondibile che è stato riconosciuto e premiato con Il Compasso d’Oro ADI nella sua XIII edizione, con questa motivazione della giuria: “per la capacità di sintetizzare argomenti culturalmente elevati con leggerezza, illustrandoli con una forte identità visiva e qualità del prodotto editoriale”.
Con la direzione artistica di Artemio Croatto/Designwork, edito da Corraini Edizioni, Inventario è disponibile nei migliori book-shop e librerie di tutto il mondo e può essere acquistato anche online.

“Inventario non parla di Foscarini perché abbiamo voluto dar vita a un progetto che fosse completamente libero e quindi credibile nella sua autonomia. Inventario è portavoce dei nostri valori, guarda avanti con occhi attenti e curiosi e con il piacere di praticare i territori dell’innovazione, come è nello spirito Foscarini”.

CARLO URBINATI
/ PRESIDENTE FOSCARINI

2014: Una pioggia di Riconoscimenti

L’impegno e l’innovazione di Foscarini, laboratorio sperimentale e creativo all’insegna dell’eccellenza, sono stati premiati nell’edizione 2014 del Compasso d’Oro con molteplici riconoscimenti. Oltre al Compasso d’Oro assegnato ad Inventario, in occasione della XIII edizione del prestigioso premio, Foscarini ha ricevuto Menzioni d’Onore per i prodotti Aplomb (design: Lucidi e Pevere), Behive (design: Werner Aisslinger), Binic (design: Ionna Vautrin), Colibrì (design: Odoardo Fioravanti) e Magneto (design: Giulio Iacchetti).

2020: Menzione d’Onore per Satellight

Scopri Satellight

La giuria internazionale della XXVI edizione del Premio Compasso d’Oro ADI ha conferito alla lampada disegnata da Eugeni Quitllet la menzione d’onore. Rilevante è l’utilizzo innovativo del vetro soffiato e del cristallo che rende Satellight un oggetto semplice e di immediata lettura, ma anche inedito e profondo nella sua poetica leggerezza.
La lampada ha un design caratterizzato da un globo luminoso sospeso, che ricorda la luna nel cielo notturno o una sfera di luce trattenuta da un drappo trasparente e impalpabile. Il diffusore, grazie alla finitura satinata, appare come una presenza materica sospesa nel nulla, anche quando la lampada è spenta.

 

 

Nello showroom Spazio Soho Foscarini racconta una visione incentrata sull’uomo: la mostra fotografica VITE porta all’interno di case vissute, quotidiane, e fa scoprire le storie delle persone che le abitano, accompagnati dalle lampade che illuminano la scena.

Scopri di più sul progetto VITE

VITE rappresenta un cambiamento di visione, una diversa prospettiva, un’evoluzione nel modo in cui Foscarini rappresenta e racconta le proprie collezioni.
Il progetto VITE nasce dalla volontà di mettere al centro le persone, rendendole il fulcro centrale della narrativa sul design. Il progetto parla di luce partendo non dalla lampada – chi la disegna, la sviluppa o la produce – ma da chi la vive all’interno del proprio spazio più intimo: la casa.

Con una mostra presso il flagship store di New York, Foscarini racconta questa visione incentrata sull’uomo: Spazio Soho diventa un ambiente per esplorare le immagini fotografiche del progetto, accompagnati dalle lampade che illuminano la scena. Tra i prodotti in mostra: Lumiere di Rodolfo Dordoni, Gregg di Ludovica+Roberto Palomba, MITE Anniversario e Twiggy di Marc Sadler, Plena di Eugenio Gargioni e Guillaume Albouy, Sun – Light of Love di Tord Boontje, Caboche di Patricia Urquiola ed Eliana Gerotto, Aplomb di Lucidi Pevere e Spokes di Garcia Cumini.

I visitatori sono accompagnati in un un viaggio all’interno di case reali – tra Copenhagen, New York, Napoli, Shanghai e Venezia – fotografate dall’artista Gianluca Vassallo e narrate dallo scrittore Flavio Soriga. Al centro dell’obbiettivo e della narrazione le persone, mentre lo sguardo viene lasciato libero di aggirarsi in ambienti intimi, veri e pertanto anche imperfetti. Non più le abitazioni controllatissime, ma artefatte e “irraggiungibili” di tanti set fotografici, ma case vissute, quotidiane, che ci raccontano da vicino le storie delle persone che le abitano.
La mostra VITE mette in evidenza il cambiamento di prospettiva di Foscarini nel mostrare le proprie luci in una dimensione più intima e privata, all’interno di spazi in cui le lampade sono inserite in modo molto naturale come parte dell’esperienza di persone reali nelle proprie case.

“Ogni volta che si è aperta la porta a una delle vite che ho fotografato negli ultimi mesi, ho inseguito una domenica di quarant’anni fa, che esiste dentro di me. Ho cercato la meraviglia di quella luce particolare che ho sperimentato all’età di sei anni, in una casa completamente nuova, con l’odore della vernice fresca ad accoglierci e il suono che arrivava dal piano di sopra. Che era semplicemente la luce che ho immaginato attraversare la vita di chiunque fosse che viveva lassù.”

GIANLUCA VASSALLO
/ AUTORE

Il progetto VITE sarà in mostra fino a maggio 2022 presso lo showroom Foscarini Spazio Soho di New York e visitabile 24 ore su 24 da qualsiasi luogo del mondo grazie ad un Tour Virtuale.
Visita lo showroom virtuale

Tra diapositive e foto d’epoca, questo progetto fotografico di Massimo Gardone per Foscarini ci trasporta in un viaggio nel tempo, grazie a una lampada e alla sua luce.

“È sempre solo un’intuizione”: il progetto fotografico sviluppato da Massimo Gardone per Foscarini nasce da un’intuizione e prende forma dal suo sguardo poetico: è così che Birdie Easy, Troag e Bump si inseriscono in location e ambientazioni leggendarie.
Frammenti in bianco e nero, strappati al tempo, con tutta la loro poesia e il loro fascino, trovano nuova vita grazie a una sovrapposizione – virtuale e virtuosa – di immagini, di diapositive che creano un ritaglio di colore grazie a un tocco luminoso: quello delle lampade Foscarini che, nell’interpretazione del fotografo e con il suo sguardo poetico, trasporta ad oggi location del passato, mostrando in modo inedito l’anima ‘contract’ di questi modelli della collezione.

“Quando Foscarini mi chiese di interpretare le location per le nuove Birdie, nacque l’idea di inserire le lampade in setting d’epoca, magari ispirati a vecchi film. La miccia era innescata. Ma è stato quando immaginai di vedere lo sguardo di Joan Holloway, dalla serie Mad Man, nella ragazza seduta sulla poltrona al decimo piano del Rossiya Hotel di Mosca, ritratta in uno scatto del 1966, che capii che l’atmosfera di quei preziosi bianchi e neri era quella giusta: il nostro racconto parte da qui, attingendo alle foto di un importante archivio di immagini.”

MASSIMO GARDONE
/ FOTOGRAFO

Nel lavoro di Massimo Gardone sfilano così, in successione, le immagini dell’archivio storico Bridgeman Images, che ci portano nella New York di inizio secolo, passando – mentre trascorrono gli anni – nella lounge dell’hotel Knickerbocker, nella veranda del Park Avenue Hotel o nella lounge del White Hotel, arrivando poi a Londra, nella reading room dell’YMCA, e, nel 1937, in una camera del Copley Plaza Hotel di Boston, fino a concedersi, alla metà degli anni ’80, una sosta nella Suite dell’Oriental Hotel di Bangkok.
Sul bianco e nero d’epoca sembra essere appoggiata una diapositiva 6×6, con uno scatto delle lampade Foscarini immaginate in quello stesso luogo.

“Magicamente, in quel piccolo quadrato, la luce illumina la scena, i colori si fanno spazio tra i grigi, l’alchimia tra analogico e digitale è compiuta. Ogni immagine è un film, ogni immagine ci fa volare altrove.”

MASSIMO GARDONE
/ FOTOGRAFO

Un’intensa personalità e atmosfere dominate da nuances autunnali caratterizzano l’allestimento progettato da Ferruccio Laviani per lo showroom milanese di Foscarini. Un’ambientazione che evoca il mondo minerale e fa da sfondo a una selezione di lampade iconiche.

Un mondo minerale raccontato attraverso cumuli di sabbia che, declinati in una coordinata palette cromatica, abbracciano e incorniciano alcuni dei best-sellers della collezione Foscarini nel nuovo inaspettato allestimento di Ferruccio Laviani per Foscarini Spazio Monforte.
Atmosfere dove predominano nuance minerali che al calare della sera si arricchiscono dei riflessi delle luci. Un concept intimo e delicato che caratterizza il piano superiore e le vetrine dello showroom milanese.
Foscarini Spazio Monforte assume così una intensa personalità che fa da sfondo ideale ad una selezione delle proposte del catalogo Foscarini, luci da sospensione e da tavolo che emergono da cumuli di sabbia colorata, appoggiate su volumi cilindrici bianchi opaco.

“L’Autunno è di tutte le stagioni probabilmente la più intima, quella in cui la natura ci dà un’altra immagine di sé stessa attraverso uno spettro cromatico totalmente inusuale. Questo mondo e questa palette di nuance mi attrae da sempre ed è stata il filo conduttore di questo nuovo allestimento di Foscarini Spazio Monforte. Un mondo minerale raccontato attraverso cumuli di sabbia declinati dal Terracotta al Terre di Siena, che fanno da sfondo sino ad abbracciarli ad alcuni dei più noti pezzi del catalogo Foscarini, illuminando i colori di una stagione che profuma di sottobosco e muschio con la loro presenza formale”.

FERRUCCIO LAVIANI
/ ARCHITETTO

Protagoniste della prima vetrina su Corso Monforte sono le disinvolte e colorate Binic di Ionna Vautrin, piccole luci da tavolo capaci di suscitare immediata simpatia per le loro forme giocose. Accanto occupano la scena le luci a sospensione e da tavolo Rituals di Ludovica + Roberto Palomba, caratterizzate dalla particolare lavorazione del vetro soffiato percorso da lievi increspature che creano un’illuminazione calda e vibrante, presentate vicino alle lampade da tavolo Buds di Rodolfo Dordoni, una raffinata collezione in cui il vetro soffiato è protagonista assoluto, accostato ad una base trasparente che ne valorizza la purezza formale. A catturare l’attenzione è anche la scenografica lampada a sospensione Big Bang di Vicente Garcia Jimenez ed Enrico Franzolini e la dinamica e leggera Plena di Eugenio Gargioni e Guillaume Albouy, una luce di speciale fascino e interesse capace di illuminare completamente una stanza pur mantenendosi morbida e avvolgente.
Il richiamo ad un mondo minerale si riflette nel delicato accostamento cromatico delle sospensioni in cemento Aplomb e Aplomb Large di Lucidi Pevere, un modello che unisce raffinatezza e matericità proiettando un fascio di luce concentrato verso il basso.
A completare il racconto, la purezza di Gregg e la grazia seducente di Gem, entrambe firmate Palomba, mentre le luci da terra Mite e Mite Anniversario di Marc Sadler, novità 2021 che ha celebrato i vent’anni dal Compasso d’Oro per Mite, sono protagoniste della vetrina laterale che affaccia su Via Santa Cecilia.

Mite è la lampada che ha segnato l’inizio dell’ormai storica collaborazione tra Foscarini e Marc Sadler: un progetto che sovverte gli schemi assecondando quelli che il designer definisce “picchi di irragionevolezza”, l’attitudine che permette di esplorare tutte le potenzialità di un materiale e di una tecnologia.

Nel 2001 Mite è stata premiata con il Compasso d’Oro ADI, il più autorevole premio mondiale di design, insieme alla versione da sospensione Tite. Sono trascorsi vent’anni da allora, e riteniamo che questo evento, come il carattere iconico e senza tempo di Mite, meriti una celebrazione adeguata. Nasce così Mite Anniversario, che fa evolvere il concetto originale di Mite attraverso ulteriori sperimentazioni e variazioni. In questa importante occasione abbiamo intervistato Marc Sadler e fatto un’interessante chiacchierata su Mite, Tite e sul design legato all’illuminazione.

 

COME È INIZIATA LA COLLABORAZIONE CON FOSCARINI PER LA LAMPADA MITE?

MS — “Ho conosciuto Foscarini in un periodo in cui abitavo a Venezia e Mite è stato il primo progetto sviluppato insieme. Per me Foscarini era una piccola azienda che faceva vetro ed era una realtà lontana da ciò che facevo io. Un giorno, per caso su un vaporetto, ho conosciuto uno dei soci. Parlando del nostro lavoro e di ciò che facevamo, mi riferì di un tema sul quale stavano riflettendo. Mi chiese di pensare a un progetto che avesse il sapore incerto del vetro – quell’aspetto artigianale che è impossibile da controllare e che fa sì che ogni oggetto abbia la sua personalità – ma che si potesse produrre industrialmente, con una visione più integrata. Ci siamo lasciati salutandoci, promettendogli di pensarci.”

 

QUAL È STATA L’IDEA PRINCIPALE CHE HA DATO IL VIA A QUESTO PROGETTO?

MS — “Stavo andando a Taiwan per un progetto di racchette da tennis e di mazze da golf per un’azienda che lavorava la fibra di vetro e la fibra di carbonio. Quello è un mondo per cui i prodotti hanno grandi numeri, non pochi esemplari. La racchetta, quando la si produce, quando esce dagli stampi, è bellissima; poi le persone che la lavorano cominciano a pulirla, a rifinirla, a verniciarla, a ricoprirla di vari elementi grafici e così pian piano perde parte del fascino della fase produttiva. Alla fine hai un oggetto che è carico di segni che nascondono la vera struttura e il prodotto finale risulta per me sempre meno interessante del prodotto nella fase iniziale. Per il mio lavoro di progettista preferisco il prodotto allo stato grezzo, a monte delle finiture, quando è ancora un oggetto “mitico”, bellissimo, perché la materia vibra. Proprio guardando questi pezzi in controluce si vedevano le fibre, e ho notato come la luce trapassava la materia. Mi sono preso un po’ di questi campioni e li ho portati a Venezia. Appena tornato ho chiamato Foscarini e ho detto loro che stavo pensando ad un modo di usare questo materiale. Anche se la fibra di vetro, fatta di pezze di materiale ha dei limiti nelle sue incertezze di lavorazione, io pensavo a un oggetto da produrre industrialmente. Proporlo a loro era un po’ un azzardo perché ci volevano grosse quantità di produzione per giustificarne l’uso e non era un materiale troppo versatile e adattabile. Se fossimo però riusciti a tenerlo in quell’affascinante stato materico, sarebbe stata una bellissima occasione di applicarlo a un progetto di illuminazione.”

COME È STATA LA FASE DI RICERCA E SVILUPPO?

MS — “Abbiamo suonato a tanti campanelli di fornitori che usavano gli stessi materiali e le stesse tecniche per produrre vasche per i vini o attrezzi sportivi, ma purtroppo non si sono resi disponibili a collaborare per questa ricerca sperimentale. Non perdendoci però d’animo, abbiamo continuato a cercare, fino a trovare un imprenditore che lavorava questo materiale anche per le sue ricerche personali (si era costruito un deltaplano a motore). Lui si è appassionato al progetto e si è subito reso disponibile. Aveva un’azienda che produce canne da pesca straordinarie e molto particolari, ma ha deciso di lanciarsi con noi nel mondo della luce. Ci mandava dei campioni di prove che faceva in autonomia, chiedendoci pareri su nuove resine e nuovi filati. Il design è fatto di persone che agiscono e interagiscono insieme. Questa è una magia tutta italiana. Spesso in aziende nel resto del mondo aspettano che arrivi il designer che, come un supereroe, ti consegni tutto già pronto, chiavi in mano. Ma non funziona così: per fare dei progetti veramente innovativi serve un confronto continuo in cui si trovano i problemi e si risolvono insieme. A me piace lavorare così.”

 

SONO STATI SVILUPPATI MODELLI E PROTOTIPI DI STUDIO?

MS — “Il primo modello era fatto con uno stampo chiuso tradizionale, poi ci è venuto in mente di provare un’altra tecnica – il “rowing” – che si basa sull’avvolgimento di fili attorno a un corpo pieno. Osservando i fili che si potevano usare, ho trovato delle matasse considerate difettate, in cui il filo non era perfettamente lineare, ma risultava un po’ vibrato. Questo tipo di filo è diventato poi quello impiegato nella produzione finale. Le fibre non sono tutte regolari: noi abbiamo voluto valorizzare questo “difetto” che lo ha trasformato in una qualità sempre unica. Abbiamo voluto spogliarci del senso di tecnicità e abbiamo voluto portare il valore della manualità e un sapore materico caldo, come si sa fare in Italia. In un prototipo iniziale avevo troncato la sommità con un taglio a 45 gradi inserendo un faro di automobile. Se rivedo oggi quel primo prototipo mi disturba un po’, ma è assolutamente normale perché rappresenta l’inizio di un lungo percorso di ricerca. Per arrivare a un prodotto semplice, bisogna lavorare molto. All’inizio il mio segno era troppo forte, quasi violento. Foscarini è stata brava a mediarlo, ed è giusto così, questo è il design. È il giusto equilibrio tra le parti in campo per fare insieme un’opera comune. Solo lavorando con Foscarini, che sa trattare la luce, che sa dare quel sapore alle trasparenze e quel calore alla matericità, abbiamo fatto sì che il prodotto raggiungesse la sua giusta proporzione e autenticità. Siamo riusciti a ottenere un oggetto molto più netto, pulito, per cui la cosa importante è la luce che produce, la trasparenza del corpo e la vibrazione che si visualizza nel disegno. Non un oggetto che urla, ma un elemento dolce che entra nelle case.”

 

QUALI SONO LE SFIDE SPECIFICHE DI UN PROGETTO CON LA LUCE?

MS — “Dopo questa lampada e dopo questo approccio ai materiali compositi, mi sono un po’ ritrovato l’etichetta del designer che fa lampade con materiali ricercati. Questo non mi disturba, anzi, è ciò che insieme a Foscarini amiamo fare. Quindi oggi se trovo nelle mie ricerche qualcosa di interessante o di non ancora utilizzato per il mondo della luce, Foscarini è l’azienda con la quale potrei avere il miglior potenziale per sviluppare qualcosa di originale e innovativo.”

 

QUALI SONO GLI ASPETTI PIÙ SIGNIFICATIVI DELLA TECNOLOGIA LUMINOSA IMPIEGATI PER QUESTO PROGETTO?

MS — “La tecnologia luminosa in 20 anni è evoluta moltissimo, per cui ora utilizziamo il LED. Rispetto alla tecnologia del passato, è un po’ come pensare alla differenza che c’è tra un motore a iniezione elettronica e uno a carburatore. Anche con il carburatore si potevano ottenere ottimi risultati, ma serviva un genio che sapeva ascoltare il motore e poi regolava tutto manualmente. Per Mite è successa un po’ la stessa cosa. Nella prima versione avevamo messo una lampadina piuttosto lunga posizionata ad una certa altezza. Per chiudere il fusto abbiamo modellato una lastra circolare di metallo cromato con certi angoli che abbiamo sperimentato con diverse inclinazioni, per riflettere la luce diretta verso l’alto ma anche per far scendere la luce nel corpo della lampada, permettendo alla luce di lambire il materiale retro-illuminandolo. Ovviamente quella tecnologia poneva dei limiti alla libertà di azione, mentre oggi con i LED possiamo portare l’effetto luminoso esattamente dove vogliamo.”

 

COM’È CAMBIATO IL LAVORO DI PROGETTISTA IN QUESTO PRIMO VENTENNIO DEL NUOVO MILLENNIO?

MS — “Io sono felice oggi con il mio lavoro perché mi sembra di essere ritornato negli anni ‘70, quando l’imprenditore contava molto e metteva sul tavolo delle intenzioni chiare fatte di obiettivi, un programma di tempi, il giusto denaro e – sapendo di aver lavorato bene fino a quel punto – aveva l’intenzione di voler andare dove non era mai andato. Sarà questo periodo molto duro della pandemia, sarà che comincio a far fatica a lavorare con le grandi aziende multinazionali come quelle orientali, ma penso che sia tornato il momento di rimettersi a lavorare direttamente con degli imprenditori in prima persona.”

QUANTO È IMPORTANTE IL “TRASFERIMENTO TECNOLOGICO” NELLE RICERCHE DI DESIGN?

MS — “È fondamentale. Il mio lavoro si potrebbe vedere come il principio dei vasi comunicanti. Prendo una cosa da una parte, la “tiro” e la porto in un’altra parte per vedere cosa succede. L’ho sempre fatto per tutta la vita. Nel mio studio c’è un’officina dove con le mie mani posso costruire o riparare qualunque cosa e questo mi aiuta molto. Non è il concetto di sapere dove sta lo “sky’s limit”, però penso molto prima di dire di no a qualcosa, perché spesso ci sono già delle soluzioni altrove e quindi basta capire come trasferirle.”

 

QUESTA LAMPADA È FATTA DI UN “TESSUTO” (TECNOLOGICO) AUTOPORTANTE: CHE IDEA RELAZIONA IL TESSILE CON IL DESIGN DELLA LUCE?

MS — “In Mite l’importanza del tessuto è data dal vantaggio di poter avere una trama che fa vibrare la luce quando passa dal corpo e non è stato semplice trovare il giusto tessuto. Ma con il tessuto, nelle sue infinite variabili, si possono sempre fare cose meravigliose con la luce e infatti con Foscarini stiamo continuando a sperimentare e sviluppare nuovi progetti.”

 

COSA SIGNIFICA IL NOME MITE E LA SUA VARIANTE DA SOSPENSIONE TITE?

MS — “Il nome deriva da un gioco verbale in francese che mia madre mi aveva insegnato da bambino, per ricordarmi la differenza tra le conformazioni calcaree nelle caverne, divise in quelle che salgono dal basso, le stalagmiti, e quelle che scendono dall’alto, le stalattiti. Da qui l’idea del nome. Anche se inizialmente pensavo alla logica della forma che si assottiglia allontanandosi dal pavimento o dal soffitto – quindi i nomi delle due lampade dovrebbero essere invertiti – questa logica funziona bene comunque anche per assonanza tipologica: la (stalag)MITE è appoggiata a pavimento e la (stalag)TITE pende dal soffitto.”

Era il 1990 quando Foscarini presentò una lampada di vetro soffiato, caratterizzata dall’abbinamento con un treppiede di alluminio, nata dall’incontro con il designer Rodolfo Dordoni che rileggeva con un nuovo spirito la classica tipologia dell’abat-jour. Quella lampada si chiamava Lumiere.

Scopri Lumiere

Quando e come nasce il progetto Lumiere (la scintilla, chi erano gli attori iniziali, i fautori)?

Stiamo parlando di diversi anni fa, per cui ricordare chi fossero gli attori richiede uno sforzo di memoria che alla mia età forse non è così semplice.
Quello che posso dire è il contesto in cui è nata Lumiere. Era un periodo nel quale avevo iniziato a lavorare con Foscarini su una sorta di cambiamento dell’azienda. Mi avevano chiamato per una regia generale, che poteva essere una specie di direzione artistica della nuova collezione, perché la loro intenzione era di cambiare l’impostazione dell’azienda.
Foscarini era una azienda pseudomuranese, nel senso che risiedeva a Murano ma aveva una mentalità non esclusivamente muranese. Abbiamo iniziato a lavorare su questo concetto: conservare l’identità dell’azienda (l’identità delle origini dell’azienda, quindi Murano-Vetro) ma differenziandoci rispetto all’atteggiamento delle altre aziende muranesi (cioè fornace-vetro soffiato) cercando di aggiungere al prodotto dei dettagli tecnologici che lo caratterizzassero, e rendessero Foscarini più un’azienda di “illuminazione” che di “vetro soffiato”. Questo concetto era la linea-guida per la Foscarini del futuro, all’epoca.

 

Dove viene partorita Lumiere? E cosa ha portato alla sua forma-funzione (i paletti progettuali, i materiali vetro soffiato e alluminio)?

Sulla base della linea-guida di cui ho appena parlato, abbiamo iniziato a immaginare e disegnare prodotti durante degli incontri. A uno di questi incontri, credo fossimo ancora nella vecchia sede di Murano, ho fatto uno schizzo su un foglietto, un disegno davvero piccolo su un foglio di carta che sarà stato 2×4cm: questo cappello di vetro con un treppiedi, tanto per far capire l’idea di associare vetro e fusione, e allora la fusione di alluminio era un argomento molto contemporaneo, nuovo.
Quindi l’idea di questo piccolo treppiedi con la fusione e il vetro esprimeva, più che il disegno di una lampada, un concetto più generale: “come mettere insieme due elementi che fossero la caratteristica dei prodotti futuri dell’azienda”. Questa fu, in pratica, l’intuizione.

 

Un momento che ricorda più di altri quando si parla di Lumiere (un colloquio con la committenza, una prova in azienda, il primo prototipo).

Beh, sicuramente il momento in cui Alessandro Vecchiato e Carlo Urbinati dimostrarono attenzione per il mio schizzo, per l’intuizione. Ricordo che Sandro diede un occhio al disegno e disse: “Bella, dovremmo farla”. In quello schizzo è stato subito intravisto il prodotto. E anch’io pensavo che quel disegno potesse diventare un prodotto vero e proprio. Da lì è nata Lumiere.

 

Viviamo in una società “brucia&getta”. Cosa si prova ad avere progettato un successo che dura da 25 anni?

Erano decisamente momenti differenti. Prima, quando si progettava, le considerazioni che le aziende facevano erano anche in termini di investimento, e di ammortamento nel tempo dell’investimento. Quindi le cose che si disegnavano erano più ponderate.
Adesso non è che siano cambiate le aziende, è cambiato il mercato, è cambiato l’atteggiamento delconsumatore, che è diventato più “volubile”. Il consumatore di oggi è abituato da altri settori merceologici (vedi moda e tecnologia) a non desiderare cose “durature”. Quindi anche le aspettative che le aziende hanno nei confronti del prodotto sono sicuramente più brevi. Quando succede che un prodotto (come Lumiere) vive per così tanto tempo in termini di vendibilità, vuol dire che è autosufficiente. Si tratta cioè di un prodotto che non ha badato necessariamente alle tendenze, al momento. E proprio per questo, in qualche modo, attira. E stimola piacere. Sia in chi l’acquista sia in chi l’ha progettato.
Personalmente mi fa piacere che Lumiere sia un “segno” che ha ancora una sua riconoscibilità e una sua attrattiva!

 

In che modo questo contesto ha “lasciato il segno”, se lo ha fatto, sulla pelle e nella mente di Rodolfo Dordoni, uomo e architetto?

Penso a due momenti importanti che hanno segnato il mio lavoro. Il primo è l’incontro con Giulio Cappellini, che è stato mio compagno di Università. In seguito, sono stato io suo compagno di lavoro, nel senso che una volta finita l’Università mi ha chiesto di lavorare in azienda con lui. Grazie a questo incontro ho potuto conoscere il mondo del design “da dentro”. Per 10 anni ho lavorato e conosciuto il settore dell’arredamento in tutti i suoi aspetti. La mia è quindi un’impostazione che conosce “nella pratica” tutta la filiera del prodotto design.
Questo porta direttamente al secondo dei miei momenti importanti.
Grazie a questa “pratica”, a questa mia conoscenza sul campo, quando le aziende si rivolgono a me sanno che non è solo un prodotto ciò che stanno chiedendo, ma un ragionamento. E spesso capita che questo ragionamento porti a costruire con le aziende dei rapporti che diventano lunghi confronti, lunghe conversazioni. Queste chiacchierate aiutano a conoscere l’azienda. E la conoscenza dell’azienda è una parte fondamentale nell’analisi del progetto. Mi piace lavorare, e in questo sono un po’ viziato, con persone con cui condivido una sorta di similitudine d’intenti e di obiettivi da raggiungere. Così si ha la possibilità di crescere insieme.

 

Anni ’90: “googlando” compaiono le Spice Girls, i Take That e il Jovanotti di “È qui la festa?”, ma anche “Nevermind” dei Nirvana e il brano degli Underworld che faceva da colonna sonora al fi lm Trainspotting, “Born Slippy”. Se pensa ai suoi anni ’90 cosa le viene in mente?

Gli anni Novanta sono stati per me l’inizio di una progressiva incomprensione tecnologica. Vale a dire che tutto quello che è successo dall’LP musicale in poi, tecnologicamente parlando, io ho cominciato a non capirlo più. Mi sono ritrovato spesso a pensare che, quando ero ragazzo, criticavo spesso mio padre che consideravo tecnologicamente inadeguato. Bene, il suo essere inadeguato rispetto a me era minimo, se penso alla mia “inadeguatezza tecnologica” rispetto ai miei nipoti, per esempio. Diciamo che negli anni Novanta ha avuto inizio il mio “isolamento tecnologico”!

 

Cos’è rimasto immutato per Rodolfo Dordoni progettista?

Il disegno. Lo schizzo. Il tratto.

La collezione d’autore ‘The Light Bulb Series’ nata dalla collaborazione tra Foscarini e James Wines / SITE è protagonista dell’installazione “REVERSE ROOM”, presentata in occasione della Milano Design Week 2018 presso Foscarini Spazio Brera: una “black box” capovolta ed inclinata che ribalta la percezione dello spazio e mette in discussione la nostra risposta all’ambiente e alle convenzioni.

Composta da alcuni pezzi attentamente selezionati, a tiratura limitata e numerata, “The Light Bulb Series” è una collezione d’autore, preziosa per la storia che racconta e il pensiero che veicola. Parte da una riflessione sulla lampadina come archetipo, con la sua tipica forma a bulbo, nata dalla funzione e condizionata dalla tecnologia disponibile all’epoca, ma rimasta tale nei decenni, nonostante l’evoluzione tecnica consenta oggi di adottare qualsiasi forma si desideri.
Wines declina questa riflessione con esplorazioni che si muovono intorno ai temi principali che hanno guidato la sua ricerca architettonica, basata sulla risposta all’ambiente circostante e ad un’azione su di esso. Sono l’inversione, lo scioglimento, la natura, tutti quegli stati di “difetto architettonico” che consentono di ripensare la realtà, dandole forma e dissolvendone, allo stesso tempo, i confini.

Tutti i pezzi che compongono la serie sono presentati presso Foscarini Spazio Brera in “Reverse Room”, una speciale installazione firmata dallo stesso James Wines con la figlia Susan Wines, progettata per sottolineare le caratteristiche di surreale inversione di queste variazioni sul tema. In una stanza dalle pareti scure, capovolta ed inclinata, con tavoli e sedie monocolore, le lampade a sospensione sbucano dal pavimento mentre quelle da tavolo occhieggiano dal soffitto, rimettendo in discussione la nostra percezione degli spazi e la nostra risposta agli stimoli ambientali e alle convenzioni.

“Questa serie nasce dall’idea di stravolgere il design classico delle lampadine a incandescenza, un’idea che propone una riflessione critica sulle forme per nulla iconiche delle moderne lampade a LED. Il concept, realizzato da Foscarini, nasce da un lavoro sulla spontanea identificazione da parte delle persone con forme e funzioni di oggetti comuni. In questo caso, le lampadine si fondono, evolvono, si crepano, si infrangono, si fulminano, ribaltando così qualsiasi aspettativa.”

JAMES WINES
/ ARCHITETTO E DESIGNER

La storia della collaborazione tra Foscarini e James Wines si snoda nell’arco di quasi una trentina d’anni, attraverso alcune tappe significative, in una naturale convergenza delle rispettive poetiche. Le radici di questo rapporto risalgono al 1991, con “Table Light / Wall light”, la prima opera realizzata da Foscarini con il gruppo SITE di Wines per le aree culturali della mostra veronese “Abitare il tempo”, in quegli anni curate da Marva Griffin. Diversi anni dopo, le strade di Foscarini e di SITE si incrociano di nuovo grazie ad un ampio articolo monografico su Inventario (rivista-libro diretta da Beppe Finessi, promossa e sostenuta da Foscarini), scritto da Michele Calzavara e dedicato ai lavori del gruppo. Nasce da qui la volontà di Foscarini di riprendere il progetto, trasformandolo in una collezione in piccola serie, fatta di lampade e oggetti.

“È sempre un privilegio, per un’azienda incentrata sul progetto, incrociare la propria storia con il percorso concettuale e artistico di creativi che le sono intrinsecamente affini. È questo il caso di Foscarini e James Wines.”

CARLO URBINATI
/ PRESIDENTE FOSCARINI

“The Light Bulb Series” è una collezione d’autore che nasce da una riflessione sulla lampadina come archetipo, con la sua tipica forma a bulbo, declinata in una serie di sorprendenti provocazioni.

“Un’idea che propone una riflessione critica sulle forme per nulla iconiche delle moderne lampade a LED”. James Wines declina questa riflessione muovendosi intorno ai temi principali che hanno guidato la sua ricerca architettonica. Sono l’inversione, lo scioglimento, la natura, tutti quegli stati di “difetto architettonico” che consentono di ripensare la realtà, dandole forma e dissolvendone, allo stesso tempo, i confini. Una tensione verso la sperimentazione, il fare meglio ma anche fare diversamente, che anima da sempre anche Foscarini.

Composta da alcuni pezzi attentamente selezionati, a tiratura limitata e numerata, “The Light Bulb Series” comprende cinque differenti declinazioni dell’icona rappresentata dalla lampadina. È accompagnata da una monografia dedicata al lavoro dello studio SITE che ci invita a pensare un mondo del progetto e quindi del possibile, in cui è sempre immaginabile fare luce in un altro modo.

/ Black Light
Un portalampada che emana luce, mentre la lampadina rimane nera e “buia”: un’inversione pura delle funzioni e delle parti.

/ Candle Light
Candela su lampadina: un cortocircuito tra modi ed effetti diversi di fare luce, due storie illuminotecniche alla fiamma e al tungsteno che si fondono insieme e formano un nuovo oggetto ambiguo e paradossale.

/ Melting Light
Come durante una fusione, un bulbo è immortalato in un fotogramma intermedio tra forma e liquefazione, rimane sospeso in uno stato transitorio, diventa l’icona evanescente di un fantasma.

/ Plant Light
Un bulbo invaso dalla natura, ciottoli e terra, può scomparire come lampada e trasformarsi in terrario, oppure in bulbo-vaso per la pianta che lo colonizza.

/ White Light
È la matrice, l’icona di base ancora intatta di un oggetto diventato archetipo dell’illuminazione.

Tutti i pezzi che compongono la serie sono presentati da Foscarini in “Reverse Room”, una speciale installazione itinerante firmata dallo stesso James Wines con la figlia Susan Wines, progettata per sottolineare le caratteristiche di surreale inversione di queste variazioni sul tema.

Scopri di più sull’installazione Reverse Room

In occasione dell’edizione 2017 dei Brera Design Days, Foscarini presenta un’installazione di MAESTRIE, l’ampio progetto che mette in luce il sapere artigiano alla base della realizzazione di alcune delle icone Foscarini.

A Foscarini Spazio Brera una grande installazione firmata da Peter Bottazzi, scenografo e progettista poliedrico, già collaboratore di registi come Peter Greenaway, Moni Ovadia e Robert Wilson e curatore degli allestimenti per le mostre di Steve Mc Curry, punta a ricreare in modo coinvolgente ed emozionale il sapere e il lavoro artigianale alla base di alcuni dei modelli iconici dell’azienda.

“Ho provato a dipanare e stratificare materiali, immagini, movimento, luci, proiezioni, prodotti e rumori, coreografando in maniera poco ortodossa migliaia di stimoli”

PETER BOTTAZZI
/ SCENOGRAFO E PROGETTISTA

Una grande struttura lunga 12 metri, invade lo spazio di Foscarini Spazio Brera per condividere suggestioni e frammenti di verità attraverso immagini dei volti e delle mani degli artigiani che danno forma, con il loro lavoro, a idee e progetti. Le fotografie sono state scattate da Gianluca Vassallo all’interno delle piccole aziende artigianali dove nascono lampade come la Mite e la Twiggy di Marc Sadler, l’Aplomb di Lucidi e Pevere, la Rituals e la Tartan di Ludovica e Roberto Palomba, la Lumiere di Rodolfo Dordoni.

Il visitatore viene accolto da un maxi-schermo su cui scorrono suggestive immagini di produzione, ammassi di stimoli e preziosi ritagli di sapere, in un racconto che è al tempo stesso messa in scena e processo rituale per celebrare la saggezza e la sapienza delle mani. Il fotografo Gianluca Vassallo si è fatto portavoce e veicolo, addentrandosi all’interno di fucine e androni ricolmi di vita e calore, tra mani e materiali, barattoli e fatiche, per restituirci quanto terreno e pesante sia sempre il percorso che porta a tradurre e concretizzare un’idea.

“MAESTRIE mette in luce il sapere artigiano da cui nascono tanti oggetti straordinari del design italiano e alcune delle nostre lampade più amate, che costituisce una parte essenziale del DNA di Foscarini. Per tanti anni ci siamo focalizzati sul prodotto finale, sull’impatto estetico ed emotivo che poteva suscitare trascurando però il ‘come’ si otteneva questo risultato. Volevo trovare il modo di trasferire l’emozione che provo ogni volta, quando vado a visitare gli artigiani che realizzano le nostre lampade. Rimango sempre affascinato dalle cose straordinarie che si possono fare e dal fatto che spesso ci si dimentica di quanto siano attraenti, di quanto siano importanti”

CARLO URBINATI
/ PRESIDENTE FOSCARINI

Maestrie è il racconto di una dimensione finora nascosta: il sapere artigiano che sta alla base della realizzazione di alcuni dei modelli più amati di Foscarini.

Scopri il progetto Maestrie

Un’inedita mostra fotografica di UMassimo Gardone. Scatti capaci di offrire nuove prospettive sulla collezione, con gigantografie che portano in primo piano i volumi del prodotto e accolgono i visitatori della Biennale come grandi architetture.

Visioni che evocano un mondo senza tempo, quasi fantascientifico. La ruota panoramica di Londra o il museo Guggenheim. Cisterne d’acqua, enormi tralicci elettrici o i grattacieli di Shanghai. Monumental proietta uno sguardo inedito sulle lampade della collezione Foscarini, trasformandole in una visione di universi alternativi. Grandi strutture architettoniche sotto un cielo senza tempo.
Dall’immaginario di Massimo Gardone, una collezione di scatti fotografici che interpreta in maniera originale alcuni prodotti di Foscarini, presentata in anteprima presso l’Arsenale in occasione della 14^ Mostra Internazionale di Architettura di Venezia.

 

“Ho giocato col fatto che queste lampade si stanno trasformando in architetture, ispirandomi ad Irving Penn o alle atmosfere del film Metropolis di Fritz Lang, ai bianchi e neri. I cieli grigi – che fanno riferimento al mondo dei grigi di Sugimoto – diventano quasi una pelle di queste strutture: le lampade non sono ritagliate e messe nel cielo, ma sono affondate, moltiplicate, fanno parte dell’universo, di questi mondi immaginari e sospesi.”

MASSIMO GARDONE
/ FOTOGRAFO

A raccontare i valori del brand e soprattutto gli scenari, le atmosfere e le suggestioni che intende suscitare attraverso le sue lampade, Foscarini si affida per il Fuori Salone 2007 a una videoinstallazione dal contenuto fortemente emozionale. Ecco la scenografia attraverso la diretta narrazione da parte degli autori, Vittorio Locatelli e Carlo Ninchi.

/ Etna. Esterno. Alba.

Dal buio alla luce. Un paesaggio all’alba scarno e primordiale, senza colore, di terra nera e lava. Una calma apparente, un silenzio rotto solo dal vento e dagli uccelli, un senso di pace. Ma il paesaggio ancora fuma, si sente ribollire al suo interno. La terra mobile respira. La luce cresce e nettamente divide il bianco dell’aria dal nero della terra. Un paesaggio antico, della memoria e del sogno. Un paesaggio interiore in silenzioso movimento. Una figura e il paesaggio. Non dentro il paesaggio, ma a fianco. Lo sta pensando o sognando o ricordando. Una figura cruda come il paesaggio, dalla pelle bianchissima e i capelli neri. Orientale, bellissima e fredda, con gli occhi sottili che nascondono pensieri ed emozioni. Affiorano memorie che possiamo intuire ma non comprendere. Raccontano frammenti di storie che ancora hanno come tema la luce e lo spazio.

/ Hong Kong, Man Mo Temple, Interno, Sera

Una storia lontana, un tempio buddista dal soffitto ricoperto di spirali votive fumanti. La luce è scomposta in un pulviscolo di vapori, lo spazio è indefinito, mobile, caleidoscopico, dai movimenti concentrici e spiraliformi. Una luce dello spirito.

/ Catania, Palazzo Biscari, Interno, Giorno

Poi un’altra storia che s’incastra con questa, un altro spazio e un’altra luce. Un palazzo barocco incrostato di decorazioni sensuali e voluttuose come solo nei palazzi siciliani. Con quel qualcosa di decadente, sfatto e al tempo stesso magnifico. Qui la luce è frantumata dai giganteschi lampadari in vetro veneziano, amplificata dagli specchi, sciolta nelle volute degli stucchi e degli arredi. La musica è dolce, romantica e struggente, ma come può esserlo una musica di ragazzi moderni, roca, sporca, dissonante. Una canzone inquieta e serena. Parla della terra, ma è fatta di frammenti e memorie scomposte. Cresce con la vertigine degli spazi, instabile. Poi, inaspettatamente, torna tersa e serena, mentre la figura e il paesaggio trovano una sovrapposizione, un’identificazione. Il paesaggio è la figura. La figura è il paesaggio. Si chiude il cerchio.

/ Etna. Esterno. Giorno

E quando il paesaggio/figura esplode, lentamente, dolcemente, non è il vulcano a lanciare i lapilli nell’aria, ma è l’immagine stessa che si frantuma, si disintegra lentamente, vola nello spazio vuoto in un tempo lunghissimo sospeso. Prima e dopo, nello spazio reale della proiezione, stanno lampadari organici e materici che pulsano di luce intermittente. Corpi primordiali che danno forma alla luce, prima che oggetti di design e strumenti illuminanti, spettatori della costruzione e della distruzione che ciclicamente si inscena intorno a loro. Testimoni silenziosi e stabili, portatori di luce, nella vertigine.

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