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Sogni ad occhi aperti: la quotidianità magica e surreale di Mattia Riami

12/09/2024
min read

Nelle illustrazioni di Mattia Riami per il progetto editoriale “What’s in a lamp?” le lampade Foscarini si trasformano in elementi magici che con un tocco di surrealismo e fantasia sovvertono la prospettiva, portando stupore e meraviglia nella vita di tutti i giorni.

Scopri di più su “What’s in a lamp?”

Fin da bambino, Mattia Riami ha mostrato un’innata passione per il disegno e le arti figurative, perfezionando la sua tecnica durante gli studi alla Scuola d’Arte di Venezia e allo IED di Milano. Le sue opere si distinguono per un tratto “veloce, nichilista e nervoso”, accompagnato da un uso raffinato del colore che evoca le palette calde e nostalgiche delle pubblicità vintage degli anni quaranta e cinquanta.

Nella sua serie per il progetto editoriale di Foscarini “What’s in a lamp?” – in cui artisti, designer e creativi sono chiamati a interpretare la luce attraverso le lampade Foscarini – Mattia Riami esplora la vita quotidiana attraverso sei illustrazioni che raccontano scene di ordinaria familiarità. C’è sempre, però, un dettaglio inaspettato che ribalta la prospettiva: le lampade Foscarini si trasformano in altro – nuvole, astronavi, trombe – e diventano l’elemento di svolta che rende l’ordinario straordinario, creando un’atmosfera di libertà e spensieratezza che invita a riscoprire il mondo con occhi nuovi.

“Volevo trasmettere un senso di quotidianità e trasformare, attraverso il gioco, le lampade in oggetti diversi da ciò che sono. Mi sono lasciato ispirare dalle loro forme e ho cercato di tornare bambino! Ci ho visto delle nuvole, un’astronave, una tromba, una mazza da baseball e molto altro ancora, avrei potuto continuare questo gioco all’infinito.”

Mattia Riami
/ Artista

Visioni familiari e oniriche allo stesso tempo, che rivelano in modo inaspettato e originale il potere trasformativo delle lampade Foscarini. Oggetti che vanno oltre la semplice funzione, raccontano storie di vita e interpretano desideri ed emozioni, trasformando ogni spazio in un ambiente che riflette la personalità di chi le sceglie.

Scopri la serie completa di Mattia Riami per “What’s in a lamp?” su Instagram @foscarinilamps e approfondisci la sua visione artistica nella nostra intervista.

Com’è iniziata la tua avventura artistica? Hai sempre saputo che l’arte sarebbe stata il tuo percorso?

Sì, sono stato molto fortunato in questo; ho sempre disegnato, fin da bambino. Disegnavo senza sapere che sarebbe diventato il mio lavoro, il mio modo di stare al mondo ed esprimermi, semplicemente disegnavo. Disegnavo i personaggi della Disney, copiavo le figure dei libri illustrati e realizzavo i miei prototipi di libri, pinzando con la graffettatrice una decina di fogli A4 bianchi in cui avevo impostato la mia storia. Più crescevo, più prendevo consapevolezza che potesse diventare una cosa seria, e così ho dedicato i miei studi alle arti visive, trasformando quei giochi nel mio lavoro.

 

Cosa ti motiva a creare e da dove nasce la tua ispirazione: dalla curiosità, dalla ricerca di significato o dall’espressione visiva pura?

Devo dire che l’espressione visiva pura mi attira e condiziona moltissimo. Nella vita di tutti i giorni sono catturato da molti stimoli visivi; disegni, illustrazioni, quadri o manifesti e chi più ne ha più ne metta, e ciò influisce sul desiderio di disegnare semplicemente per esprimere delle forme e colori che nascono dentro di me. In fase progettuale, però, tutte queste forme prendono significato e mi piace quindi costruire una storia alla base di ogni progetto, come ho fatto per “What’s in a Lamp?”.

 

Il tuo tratto grafico è riconoscibile e distintivo. Come descriveresti il tuo stile e come si è evoluto nel tempo?

Lo descriverei con alcune delle parole di altri in cui mi ritrovo molto e che lo hanno descritto per me: “Un segno veloce, nichilista e nervoso.” Confermo, ho sempre un rapporto molto fisico con il mio lavoro, che sia su carta o con pennelli digitali. Utilizzo energeticamente le matite sul foglio, a volte arrivando a forarlo per errore, o a temere di rovinare lo schermo. Mi piace si percepisca il tragitto che la mia mano ha compiuto per tracciare quella linea e sento una forza misteriosa che mi spinge a tracciarla esattamente così o a colorare in quel modo. Sono stato condizionato sicuramente anche dai miei professori dello IED di Milano, penso che il mio approccio sia sempre stato di questo tipo, ma si è affinato nel tempo grazie allo studio e alla ricerca.

 

In questa serie hai descritto scene di familiare quotidianità, soprattutto domestiche, dove le lampade diventano un elemento di svolta che in modo quasi magico trasforma la percezione della scena, dando vita a nuove interpretazioni, inaspettate e surreali. Puoi raccontarci di più sull’ispirazione dietro questo lavoro?

Certamente, è stata la parte più bella! Volevo trasmettere un senso di quotidianità e trasformare, attraverso il gioco, le lampade in oggetti diversi da ciò che sono, come se i protagonisti delle illustrazioni si sorprendessero a scoprire che quella lampada ricorda un altro oggetto o un altro utilizzo. Come facevamo da bambini, quando prendendo il tubo della carta da cucina finita lo utilizzavamo come cannocchiale o come megafono. Per fare ciò mi sono lasciato ispirare dalle forme delle lampade e ho cercato di tornare bambino! Ecco, quindi, che ci ho visto delle nuvole, un’astronave, una tromba, una mazza da baseball e molto altro ancora; avrei potuto continuare questo gioco all’infinito.

 

Quali sono le illustrazioni che preferisci in questa serie e perché?

La mia preferita in assoluto è NUEE, perché penso che il connubio tra surreale e realtà che cercavo lì sia riuscito alla perfezione. Amo molto anche MITE per lo stesso motivo e LE SOLEIL per l’atmosfera di libertà e spensieratezza.

È sorprendente come, con pochi tratti, le tue illustrazioni riescano a raccontare intere storie, vite, situazioni ed emozioni. Puoi approfondire l’aspetto narrativo del tuo processo creativo?

Istintivamente utilizzo sempre la figura umana nel mio lavoro; è raro che realizzi un paesaggio senza persone o soggetti diversi. L’essere umano diventa quindi protagonista delle mie opere e i suoi sentimenti sono le fondamenta da cui parto per raccontare. Attraverso i protagonisti possiamo leggere e intuire ciò che sta succedendo, quale sia la storia, la situazione e gli avvenimenti che la caratterizzano. Penso all’illustrazione per la lampada TOBIA, in cui vediamo una coppia che si è appena trasferita ed inizia a disfare i pacchi, con la gioia e l’emozione di una nuova casa, con la lampada che viene presa e usata a mo’ di tromba per l’euforia del momento. Ma potrebbe benissimo non essere un trasloco, ma semplici nuovi acquisti per la casa; l’atmosfera è la stessa e lo spettatore vede ciò che più si avvicina alla sua esperienza.

 

Cosa ti incuriosisce maggiormente nella realtà che ti circonda?

È difficile rispondere; sicuramente la natura, che vorrei conoscere ed esplorare di più, la forma delle piante, delle foglie e dei fiori, le nuvole, sono vere architetture o opere di design naturali. Poi sono sempre incuriosito ed attratto da tutta la comunicazione visiva in generale: il mio occhio cade sempre su manifesti, copertine di libri e tutto ciò che è visivo. Scatto molte foto col cellulare come promemoria per poi andarmi a studiare con calma ciò che mi ha catturato.

 

Come descriveresti il tuo rapporto con il colore nel lavoro da illustratore? Cosa ha guidato la scelta dei colori in questa serie per “What’s in a lamp?”

Il mio rapporto con il colore è rinato negli ultimi anni. Tempo fa, dopo i miei studi, disegnavo soprattutto in bianco e nero, aggiungendo di tanto in tanto pochi tocchi di colore. Sicuramente l’influenza delle moltissime illustrazioni colorate che vedevo attorno a me ha acceso il desiderio di colorare anche le mie. Penso di essere stato condizionato anche dallo splendido lavoro di Jean-Charles de Castelbajac, maestro assoluto, che è stato mio direttore artistico per più di due anni. Impazzisco per le vecchie pubblicità illustrate degli anni ’50; ho sempre amato lo stile di quell’epoca, anche degli anni ’40, ed ho sempre guardato film in bianco e nero di quel periodo. Amo le mani che fumano sigarette bianche, gli abiti, i cappelli, la moda di quei tempi, tutto. Questo ha condizionato il mio modo di disegnare i personaggi, sia maschili che femminili, ovviamente in chiave attuale e moderna, ma con un tocco di quel passato. La palette colori che ho utilizzato per “What’s in a lamp?” si rifà a quelle vecchie pubblicità; ho studiato delle tonalità che restituissero anche un certo calore.

 

Oltre alle fonti di ispirazione di cui ci hai parlato, ci sono dei maestri che hanno influenzato più di altri la tua visione artistica?

Parlando di grandi maestri, penso ad Egon Schiele, Picasso e Jean-Michel Basquiat soprattutto, anche Keith Haring, che è uno dei miei miti assoluti per la sua personalità più che per lo stile, per arrivare ad artisti più contemporanei come Marlene Dumas. Mi hanno influenzato molto però anche i fumetti, specialmente le graphic novel, e illustratori come Adelchi Galloni, che è stato mio insegnante allo IED di Milano.

 

Hai una ritualità nel disegnare? Segui particolari abitudini o processi quando lavori alle tue illustrazioni?

Il mio metodo consiste in una ricerca iniziale e riflessione su quello che vuole essere la finalità del progetto. In questo modo nascono le primissime idee che scrivo o abbozzo velocissime a penna su diari che tengo, davvero schizzi quasi incomprensibili, solo per mettere giù l’idea. Poi passo a delle bozze più elaborate ed infine al definitivo. La storia la costruisco nelle prime due fasi.

 

Cos’è per te la creatività?

Penso sia la capacità di vedere il mondo in modo diverso, di immaginare possibilità oltre il comune e di trasformare idee astratte in realtà tangibili. È un processo dinamico che coinvolge l’intuizione, l’ispirazione e l’espressione personale, ma talvolta è anche disciplina e costante impegno per migliorarsi; non sempre è facile!

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