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Mattia Cimadoro e Giuseppe Mauro guidano ora Dordoni Studio, la loro prima sfida in questa nuova fase è stata, nel campo dell’illuminazione, la progettazione di Etoile: un progetto in cui rivivono la leggerezza eterea e la sobria ma decisa eleganza che hanno sempre caratterizzato le creazioni del maestro, unite a una luce d’atmosfera discreta e sofisticata.

Vi eravate mai cimentati nella progettazione di uno chandelier?

«Mai. E un po’ di timore c’era nell’affrontare una sfida del genere, perché lo chandelier non è un tema semplice. Una lampada da tavolo può avere una presenza più discreta e circoscritta, mentre uno chandelier è quasi sempre il protagonista dello spazio. La sfida era grande, ma proprio per questo anche stimolante».

Come l’avete affrontata?

«Abbiamo scelto di proseguire il percorso intrapreso con Foscarini negli ultimi anni, con lampade come Fleur e Chapeau, lavorando sulla trasparenza e sulla leggerezza ed eliminando il superfluo. La nostra prima sfida è stata capire se fosse possibile trasferire quelle intuizioni su una lampada così importante.
Noi cerchiamo sempre di portare avanti un pensiero, una visione della luce e del design nel solco degli insegnamenti di Rodolfo. Non potevamo che partire da lì e cercare di ottenere uno chandelier etereo, una presenza che galleggia nello spazio e diffonde la luce con morbidezza, dal carattere discreto e trasversale».

Come è nata ETOILE?

«Siamo partiti dal classico lampadario muranese, in cui il vetro è l’elemento decorativo principale e la struttura si organizza a raggiera attorno a uno stelo.
Abbiamo lavorato per sottrazione: prima eliminando lo scheletro centrale, poi i bracci che sorreggono i punti luce. Infine, pur mantenendo il vetro come materiale fondamentale, abbiamo eliminato qualsiasi decorazione superflua.
L’obiettivo era preservare la ricchezza insita in questa tipologia di lampada, ma esprimendola in un linguaggio più contemporaneo, costruendo il progetto non attraverso la decorazione, ma il gioco dei volumi».

 

Come si elimina il corpo centrale mantenendo però l’effetto chandelier?

«Il vuoto centrale di ETOILE è, in realtà, apparente. Al suo interno si cela un cilindro di Pyrex trasparente quasi impercettibile, che funge da struttura portante dell’intera composizione. Da questo nucleo si diramano piccoli cilindri che sostengono i moduli illuminanti – lampadine accolte in diffusori in vetro semicilindrico – disposti su tre livelli nella versione Grande, e unico nella Ronde.
Il cilindro accoglie anche i cavi elettrici a vista, lasciati liberi di muoversi, quasi a reinterpretare il decoro dei bracci in una forma estremamente stilizzata e minimale.
Nelle lampade muranesi tradizionali, l’elemento centrale è il fulcro decorativo, impreziosito da steli, catene e dettagli ornamentali. Qui, invece, lo sguardo incontra un vuoto essenziale, attraversato solo dai cavi che distribuiscono l’elettricità a ogni punto luminoso, trasformando l’assenza in una presenza sottile e dinamica».

 

Come avete costruito i moduli illuminanti?

«L’intero progetto ruota attorno alla figura del cilindro. Il modulo illuminante è composto da una lampadina e un diffusore in vetro soffiato a sezione cilindrica.
Nella Grande Etoile le porzioni di vetro variano nei diversi livelli: nei piani superiore e inferiore corrispondono a due terzi di un cilindro, mentre al livello intermedio – che definisce anche il profilo più esterno del volume – assumono la forma di mezze circonferenze, le medesime che compongono la Etoile Ronde.
Il vetro utilizzato per il diffusore è acidato, privo di decorazioni o lavorazioni particolari, e si distingue esclusivamente per la sua essenziale geometria».

In che modo ETOILE rimane legato alla tradizione?

«L’estetica complessiva è rigorosa e industriale nel disegno, ma con un richiamo sottile alla tradizione. Il vetro acidato del diffusore evoca l’artigianalità muranese, mantenendo un filo conduttore con le lampade che abbiamo sempre progettato per Foscarini.
L’impatto visivo del lampadario non deriva dal decoro – che è volutamente assente – ma dalla sua composizione: un equilibrio di pieni e vuoti che, pur utilizzando un linguaggio contemporaneo, richiama l’immaginario dello chandelier».,

 

Come è cambiata ETOILE nel passaggio dal concept al prodotto?

«L’idea iniziale era creare una struttura di vetro completamente autosostenuta. Tuttavia, le peculiarità del vetro soffiato ci hanno indirizzati, insieme a Foscarini – il cui contributo è stato fondamentale nello sviluppo del progetto – verso l’utilizzo di un cilindro centrale in Pyrex, un vetro industriale, più resistente e strutturalmente affidabile, che funge da elemento di sostegno.
Questa scelta è anche un fil rouge con le più recenti lampade disegnate per l’Azienda: Chapeau ha uno stelo in Pyrex, e Fleur utilizza lo stesso materiale».

 

Quindi ETOILE è realizzata con due tipologie di vetro diverse?

«Esatto. Il Pyrex, scelto per la struttura portante, mentre per i diffusori abbiamo optato per il vetro soffiato, apprezzato per la sua qualità estetica.
L’acidatura conferisce una texture setosa e permette alla luce di diffondersi in modo morbido e discreto, creando un’atmosfera rarefatta».

 

Che tipo di luce offre ETOILE?

«Non si tratta di una luce diretta o invasiva. Le lampadine consigliate hanno una finitura argentata sul fronte, una scelta che ha una doppia funzione: da un lato, garantisce un’estetica coerente con la lampada, dall’altro, orienta la luce verso il vetro, permettendo al diffusore di assorbirla e redistribuirla in modo armonioso e avvolgente.
Il vetro non è quindi solo un elemento di schermatura, ma diventa il vero protagonista, come se generasse la luce invece di limitarsi a diffonderla.

 

C’è più Venezia o più Milano in ETOILE?

«Il punto di partenza è sicuramente veneziano. Ma il disegno a cui siamo arrivati, profondamente studiato, si ispira senza dubbio all’eleganza essenziale della Milano della metà del secolo scorso.»

Luce che non è solo funzione, ma presenza, carattere, espressione.

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Dopo l’interpretazione del luminator che ha dato vita a Chiaroscura, Alberto e Francesco Meda tornano a reinterpretare un classico della luce per Foscarini, lo chandelier.

Dopo l’interpretazione della storica Luminator disegnata da Pietro Chiesa nel 1933, che ha dato vita a Chiaroscura, Alberto e Francesco Meda tornano a reinterpretare un classico della luce per Foscarini, lo chandelier. Lo fanno lavorando, ancora una volta, con estrusi di alluminio e integrando l’elemento luminoso all’interno del corpo stesso della lampada, concedendosi anche un divertissement decorativo ottenuto impeccabilmente grazie al gioco di incastri tra la fonte luminosa e il sostegno.

Perché, secondo voi, Foscarini vi ha chiesto di collaborare a questo progetto?

«Sicuramente Foscarini cercava una pluralità di mani e sguardi da impegnare sul tema della sperimentazione intorno al tema dello chandelier. Rispetto agli altri designer ingaggiati (Francesca Lanzavecchia e Dordoni Studio, ndr), la nostra forza penso sia insita nella ricerca di innovazione a partire dal dialogo tra materiali e tecnologie, interpretando in chiave contemporanea la tradizione senza stravolgerla nella sua essenza».

 

Da progettisti, qual era l’interesse in questo progetto?

«Ci piace lavorare su tipologie rimaste immutate nel tempo. Lo abbiamo fatto con Chiaroscura, e lo stesso vale per lo chandelier, un oggetto studiato e reinterpretato infinite volte, ma sempre con un approccio basato sul decoro e sulla molteplicità delle fonti luminose. Noi, invece, abbiamo scelto di affrontare la sfida da una prospettiva opposta».

 

Quale?

«Siamo partiti chiedendoci cioè dove ci avrebbe portati la tecnologia per l’illuminazione contemporanea, cioè i LED che offrono nuove opportunità che permettono di lavorare sulla qualità della luce e sulla sua distribuzione. Ci siamo chiesti, all’interno della tipologia del lampadario importante e centro stanza quale fosse la forma più essenziale che i LED permettevano di ottenere. Ne è uscita l’idea del braccio, con una striscia di LED, che è stato il punto di partenza del progetto».

Qual è la chiave di lettura per cogliere la portata innovativa di ASTERIA?

«La forza progettuale di ASTERIA sta nell’integrazione intima tra struttura e luce.
Come accennato, alla base del progetto c’è il braccio, un estruso di alluminio con una sezione a V, caratterizzato da un lato corto verticale e uno lungo che si estende orizzontalmente, curvandosi. La luce viene emessa da una striscia LED incassata nella parte superiore del braccio e coperta da una pellicola trasparente, che straborda in modo impercettibile sui lati e permette alla luce di fuoriuscire leggermente. Questo dettaglio rende la fonte luminosa percepibile anche a chi osserva il braccio dal basso o lateralmente.
Il braccio, che funge sia da struttura che da diffusore, è collegato a un cilindro centrale verticale. Sei braccia formano un livello dello chandelier, con un massimo di tre livelli sovrapposti in modo sfasato.
Quando acceso, ASTERIA emette luce in più direzioni: verso l’alto, in modo radiale grazie alla sovrapposizione dei livelli, e con una sottile linea luminosa quasi grafica dove il LED fuoriesce leggermente da ogni singolo braccio. Inoltre, se posizionato sopra un tavolo, fornisce anche luce diretta, grazie a un’ulteriore fonte luminosa posta nella parte inferiore del cilindro centrale».

 

Raccontato così sembra un lampadario modulare. È così?

«Sì, ogni livello può esistere indipendentemente come lampada a sospensione. La modularità quindi c’è anche se, per mantenere una certa coerenza progettuale, le diverse configurazioni saranno proposte dall’azienda, nell’offerta di una certa varietà estetica e funzionale».

Come siete arrivati a una ridefinizione così essenziale del lampadario?
«Cercavamo un’evoluzione del concetto. Abbiamo lavorato sul braccio come elemento centrale, integrando la luce nella struttura. Inizialmente volevamo creare una struttura più rigida e lineare, ma ci siamo resi conto che risultava troppo fredda. Abbiamo quindi introdotto curvature e una disposizione più dinamica dei bracci per rendere il progetto più armonioso e contemporaneo».

 

Nello sviluppo del progetto, insieme a Foscarini, c’è stata un’evoluzione significativa rispetto al concept iniziale?

«Sì, soprattutto nell’idea di “spettinare” la composizione per evitare un’estetica troppo rigida. Questo è stato un contributo dell’azienda, che ha voluto dare maggiore dinamismo all’oggetto».

 

Come si capisce quando un progetto ha trovato il giusto equilibrio tra rigore e morbidezza?

«È un processo di affinamento continuo. All’inizio c’è sempre un rischio, ma man mano che si ricevono feedback dalla sperimentazione, si inizia a percepire se la soluzione funziona. Per questo l’affinità tra designer e azienda è così importante».

 

Cosa definisce la contemporaneità oggi?

«Vuol dire fare cose semplici – cioè risolte – dal punto di vista costruttivo e in cui le tecniche o le tecnologie che sono state utilizzate per ottenere quel risultato non sono esibite. Significa creare quindi oggetti meno connotati che, proprio per questo, possono durare di più nel tempo perché non soggetti alle mode».

 

Le mode però ci sono. È un problema?

«Sì, il rischio è un’omologazione eccessiva. Decenni fa l’elemento distintivo delle imprese italiane era la capacità di evolvere, mettere a punto pezzetti di conoscenza che poi altri ereditavano e portavano avanti. Oggi questa cosa è rarissima e la conseguenza è che quello che viene presentato alle fiere come novità è tutto molto uguale: quando qualcosa funziona commercialmente diventa subito un template da ripetere con o senza varianti. Lo stesso accade con i classici, riproposti all’infinito perché sono sicuri e commercialmente efficaci».

 

La mancanza di innovazione e il passatismo è un problema solo per gli appassionati di design?

«Noi pensiamo che diventerà un problema per le aziende. Soprattutto quelle piccole o giovani – che non hanno un heritage a cui attingere e copiano le forme e il flair dei classici invece di inventare qualcosa di personale e significativo. Quando il mercato sarà saturo, avranno un problema».

 

Alberto, hai detto che il design aggiunge un pezzo di conoscenza al preesistente. Come si fa a perseguire questo obiettivo?

«Bisogna essere curiosi degli sviluppi scientifici e tecnologici, senza cadere nella celebrazione della tecnologia fine a se stessa. Il design deve saper cogliere il valore innovativo della tecnologia e trasformarlo in un vantaggio funzionale ed estetico. Per esempio, tornando al tema dei classici rivisitati, è un esercizio che ha senso se si aggiunge al progetto originale quello che viene dalla ricerca in materiali più sostenibili, un settore in cui vedo che – effettivamente – molte aziende sono impegnate».

 

Cosa vedete nel futuro dell’illuminazione?

«Gli OLED potrebbero rappresentare una vera rivoluzione. Si tratta di sorgenti luminose puntiformi che, sebbene ancora relativamente costose, offrono grandi possibilità per i designer grazie alla loro capacità di emettere luce da una superficie piatta. Questa superficie può persino essere flessibile, simile a un tessuto, aprendo scenari inediti e variegati che meritano senza dubbio di essere esplorati».

Luce che non è solo funzione, ma presenza, carattere, espressione.

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Francesca Lanzavecchia sa esattamente cosa vuole: progettare oggetti che non lasciano indifferenti. Non si tratta solo di estetica, ma di quell’intensa risonanza emotiva che i suoi progetti devono saper evocare.

Per lei, il design è innanzitutto risoluzione di conflitti, un concetto che racchiude più sfumature. Significa creare oggetti di affezione, ideare soluzioni che favoriscano un rapporto empatico tra le persone e le cose, affinché queste vengano curate e valorizzate nel tempo. Significa rispettare la diversità dei corpi, inserire sottili dissonanze visive che generano connessione emotiva e trasformare gli oggetti in metafore, invitando a guardare oltre l’apparenza.
Tutti questi principi trovano espressione in Allumette e Tilia, i due chandelier che ha progettato per Foscarini.

Cosa pensi che cercasse Foscarini chiedendoti di collaborare a questo progetto?

«Con Foscarini ci siamo avvicinati in occasione del Salone del Mobile e l’interesse è stato immediato e reciproco. Da parte loro, credo volessero capire come il mio approccio – la costante ricerca di stupore e meraviglia nel quotidiano – potesse dialogare con il loro linguaggio. Da parte mia, mi ha sempre affascinato la loro visione del design, non come mera industria, ma come una fabbrica di sogni, capace di comunicare umanità attraverso i progetti, sempre arricchiti da una sottile sfumatura surreale.
Dentro questa complessità ho colto l’opportunità di esplorare nuovi modi di interpretare la luce e di lavorare a un progetto che non fosse fine a se stesso. Non a caso, già dal primo briefing, la dualità tra leggerezza e presenza, ordine e disordine, è emersa come un tema chiave».

 

È raro, per una designer oggi, trovare questo genere di visione?

«A livello di storytelling, questa visione sembra condivisa da molti, ma è raro trovare un’azienda che la applichi in modo autentico e sistematico dall’interno – non solo come strategia di comunicazione, ma come principio fondante del progetto, fin dalla sua origine.
Oggi c’è un forte bisogno di leggerezza e di nuove narrazioni, ma senza un approccio genuino e strutturato, come quello di Foscarini, queste tensioni difficilmente si trasformano in progetti concreti che arrivano sul mercato. Più spesso, vediamo prodotti guidati dalle esigenze del marketing, a cui vengono sovrapposte narrazioni di esplorazione che, in realtà, non è mai avvenuta».

 

I due chandelier a confronto…

«In comune hanno il fatto di non essere prodotti singoli. Entrambi sono centro-stanza importanti ma abitano lo spazio con leggerezza, trovando un equilibrio sottile tra tecnologia, espressione e poesia. Infine sia Allumette che Tilia sono stati pensati per fare luce in modo evocativo e trasformare ogni ambiente in un luogo più intimo, vivo e vibrante».

 

Dal punto di vista del punto di partenza del progetto, però, sono due sistemi molto diversi.

«Allumette è costruito sul bilanciamento tra opposti – pieni e vuoti, presenze e trasparenze: l’ho progettato seguendo un approccio “ingegneristico” che esalta struttura, tensione geometrica e asimmetrie. Mentre Tilia si ispira alla crescita spontanea e alla fluidità delle forme naturali ed è una rappresentazione plastica delle invisibili regole che portano le strutture naturali a crescere nello spazio: i delta dei fiumi, le venature delle foglie, le formazioni coralline».

 

Perché hai seguito due direzioni così diverse?
«Indago sempre più strade. Mi piace coinvolgere scienza, tecnologia e fisica senza rinunciare a creare oggetti familiari, intuitivi, quasi delle epifanie visive e tattili.
Con Allumette, il punto di partenza era la scomposizione di uno chandelier nelle sue parti essenziali: ho lavorato su elementi tecnologici, triangolazioni, equilibri irregolari, cercando di trasformare un oggetto complesso in una struttura che giocasse con il contrasto tra tensione e leggerezza.
Con Tilia, invece, ho voluto esplorare un’idea di crescita più organica, ispirata ai processi naturali: ramificazioni, geometrie frattali, strutture reticolari. Ho cercato di codificarle e trasformarle in un sistema di luce che potesse espandersi nello spazio come un albero allunga i suoi rami verso il sole».

Vediamoli uno per uno. Qual è l’essenza di Allumette?

«È una famiglia di chandelier piuttosto che un singolo oggetto, costellazioni centro-stanza che bilanciano opposti: leggerezza e presenza, geometrie rigide e linee morbide. Allumette è stata pensata come una coreografia, una presenza che cambia a seconda dell’angolo da cui la guardi. La sua asimmetria è una delle chiavi di lettura più importanti, così come il bilanciamento tra trasparenze e pieni, tra la rigidità del metallo e la morbidezza del cavo che richiama i classici chandelier veneziani. C’è poi un momento magico quando la luce l’attraversa e la trasfigura completamente. La fonte luminosa è costituita da tubi in metacrilato trasparente, fissati ai bracci. La luce a LED scorre al loro interno per fuoriuscire dalle estremità, graffiate e coniche, trasformando elementi eterei in presenze vibranti, come fiammelle sospese nello spazio.
Ne emerge un senso di scoperta, un’esperienza simile a una madeleine proustiana: un oggetto che trasmette un’intima familiarità, pur essendo del tutto inedito.».

 

Parlando di familiarità, a prima vista Allumette sembra dovere molto al 2097 di Sarfatti. Anche se poi il gioco di asimmetrie la allontana da questo archetipo. Hai cercato appositamente questo gioco di citazioni?

«Il lampadario di Sarfatti è stato emblematico e di grande ispirazione per questo progetto. Non tanto nelle forme quanto nella sua capacità di esprimere al meglio il ruolo della tecnologia, rendendola per la prima volta esplicita: le lampadine lasciate nude e crude, la presenza del cavo. Mi affascinava anche la tensione del progetto a conquistare lo spazio intorno a un fulcro centrale.
Da qui in poi, però, per Allumette ho seguito un’ispirazione diversa, costruita sull’idea della fonte luminosa originale, cioè la candela, e la triangolazione di bracci che, avendo geometrie e lunghezze variabili, permettono di disassare il baricentro».

 

Il momento dell’accensione è cruciale, dicevi. Come l’hai progettato?

«Volevo creare una nuvola di luce intorno al tavolo. Per questo la simmetria era cruciale: un oggetto simmetrico avrebbe generato una sfera di luce, mentre io volevo una nuvola luminosa, con una luce calda e naturale. L’idea di base era sfruttare la magia della riflessione in un tubo trasparente, con la luce che viene spinta in alto e poi scende, riflessa. Quindi si diffonde tutto intorno, senza essere puntuale o diretta solo verso il soffitto. Nel momento dell’accensione, ogni elemento trasparente prende vita e tutto l’equilibrio dell’oggetto cambia».

 

Quando capisci che sei arrivata alla soluzione giusta per un progetto?

«Di solito porto avanti tanti progetti contemporaneamente. Arrivo all’incontro col cliente con cinque idee, poi le scremo poco prima della presentazione per scegliere quella che mi convince di più. Mi affido molto al 3D per testare velocemente le idee e alla ricerca storica: per Allumette, ho studiato i primi chandelier come portacandele e ho scomposto ogni elemento per ricostruirlo in chiave contemporanea. È un processo di lateral thinking: unire conoscenze tecniche e suggestioni personali per dare forma a qualcosa di nuovo».

 

Qual è stato il ruolo di Foscarini nello sviluppo del progetto?

«Questo progetto è stata una danza bellissima. I momenti più eccitanti sono quello iniziale, in cui non si sa nulla, e quello in cui si inizia a progettare a più mani. Ci sono state sfide tecniche – di cui io, neofita della luce, non ero al corrente – con un impatto formale che abbiamo dovuto gestire. Foscarini ha lavorato su questi aspetti con estrema cura, bilanciando ingegneria e visione progettuale».

 

Parliamo ora di Tilia

«Con Tilia – che come dicevo nasce dallo studio dei principi matematici e fisici, come la sequenza di Fibonacci o le strutture frattali, in ambiente naturale – ho cercato di creare un sistema luminoso che seguisse quelle logiche: un’illuminazione che non fosse rigida, ma sembrasse espandersi nello spazio con la stessa naturalezza di un organismo vivente. Proporremo due diverse configurazioni, una struttura più compatta e verticale e una più ampia e scenografica, mantenendo sempre un equilibrio tra leggerezza e presenza scenica.
La luce che emana è morbida, calda, avvolgente. I diffusori in vetro borosilicato sabbiato opalino, infatti, creano una luminosità soffusa, quasi eterea, come una nuvola luminosa sospesa nello spazio».

 

Come si toglie l’allure tecnica a un oggetto ispirato da regole della fisica?

«Ho lavorato sulla sensibilità materica. Invece di essere nascosti, i raccordi diventano piccoli elementi gioiello, i diffusori sono in vetro sabbiato ed emettono una luce morbida e avvolgente. Volevo che lo chandelier risultasse una presenza quasi spontanea, come se fosse sempre esistita, ma che allo stesso tempo svelasse, a un’osservazione più attenta, tutta la sua complessità costruttiva. Tilia è un progetto che parla di crescita e adattabilità, portando con sé un senso di leggerezza, meraviglia e armonia naturale».

 

Come si è evoluto il concept?

«Parlando con Matteo Urbinati, design coordinator e direttore marketing di Foscarini (ndr.), è emersa una fascinazione comune per le strutture naturali e le loro regole di crescita. Da lì ho approfondito il tema della ramificazione, studiando come definire una nuova “specie botanica” luminosa, con una logica di sviluppo propria».

 

Dissonanze e asimmetrie sono sempre presenti nel tuo lavoro. Perché sono importanti?

«Viviamo in un mondo di oggetti perfetti, mentre noi esseri umani siamo imperfetti e diversi. Un oggetto asimmetrico può risultare più vicino a noi, più umano. Non tutte le aziende accettano prodotti asimmetrici, perché sono più difficili da gestire a livello produttivo e potrebbero incontrare meno il favore del pubblico. Ma credo che la bellezza risieda in questa imperfezione».

 

Il design oggi dovrebbe avvicinarsi alle persone. Lo si dice da sempre eppure sembra ancora una conquista…

«È vero, il design lo dice da sempre e penso che provi anche da sempre a farlo ma spesso si scontra con esigenze di mercato, tendenze e mode, che portano gli oggetti altrove rispetto ai desiderata dei progettisti. A volte mi trovo addirittura a non dichiarare apertamente le scelte inclusive: ad esempio, potrei alzare un divano di 3 cm senza dirlo all’azienda, sapendo che così sarà più facile per un anziano alzarsi. Il design deve essere sensibile ai corpi e alla realtà».

“Il design è una soluzione dei confitti, quindi accresce”: sono tue parole. È un approccio che si può applicare anche nel quotidiano?

«Il design spinge chi lo pratica a riflettere sulle cose, a costruire su quanto esiste per migliorarlo, a cercare di dare un apporto positivo alle situazioni, a trovare un dialogo tra opposti. Sono qualità che, applicate alla vita di tutti i giorni, possono davvero fare la differenza. Per non parlare dell’altra cosa meravigliosa del design e cioè che ci rende bambini per sempre, aprendoci gli occhi e insegnandoci a cogliere la meraviglia intorno a noi. E se non è questa la chiave per stare bene non so cos’altro potrebbe esserlo».

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Doppio appuntamento con Foscarini alla Milano Design Week 2025: a Euroluce in Fiera Milano e nel nostro Showroom Spazio Monforte.

Dall’8 al 13 aprile 2025, Foscarini torna alla Milano Design Week con una doppia presenza tra Euroluce in Fiera Milano Rho (HALL 4, BOOTH C03 – C05) e il Fuorisalone nel nostro showroom Spazio Monforte. Due esperienze, curate da Ferruccio Laviani, che esplorano in modi diversi l’innovazione nella luce attraverso installazioni creative e nuovi progetti di lampade, frutto della collaborazione con diversi designer, alcuni già parte del nostro percorso e altri alla loro prima esperienza con Foscarini.

Il nostro showroom Spazio Monforte ospiterà “CAOS PERFETTO – Scratched Stories of Light”, un’installazione site-specific realizzata dall’artista Bennet Pimpinella, e una mostra dedicata al progetto editoriale “What’s in a lamp?”, che coinvolge artisti e content creator internazionali chiamati a reinterpretare, con il loro stile unico, pensieri, sensazioni ed emozioni suscitate dalle lampade Foscarini.

Registrati qui per visitare CAOS PERFETTO – Scratched Stories of Light, la mostra What’s in a lamp? e scoprire in anteprima i nostri nuovi progetti.

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In occasione della Milano Design Week 2024, una video installazione di Francesco Meneghini racconta la nuova versione SPOKES AMBIENT della lampada firmata da Garcia/Cumini.

Un tunnel scenografico che cattura lo sguardo, una coreografia di video, musica e luce mette in evidenza l’innovativa caratteristica di Spokes Ambient rispetto al progetto originale: la gestione personale dell’effetto luminoso.
Grazie alle due fonti LED indipendenti e dimmerabili, con Spokes Ambient è ora possibile modulare l’illuminazione in base alle proprie esigenze e preferenze: la sorgente diretta verso l’alto illumina l’ambiente con luce riflessa, quella verso il basso illumina il piano di lavoro. Volumi leggeri che contengono la luce e proiettano un caleidoscopio di luci e ombre.

“Osserviamo un flusso di paesaggi che sfidano l’ordinario, una sequenza di scenari desertici, ritmata dall’onda lenta di orizzonti in ascensore che sembrano quasi respirare. Nell’incrocio di queste immagini che si compenetrano, il visitatore viaggia ascoltando la pulsazione di un cosmo inedito. Questa è luce che trasforma, che racconta, che invita a perdersi in un’espansione silenziosa. Foscarini, con questa installazione, non illumina solamente, ma suona una melodia visiva per gli occhi.”

FRANCESCO MENEGHINI
/ Regista e Video Maker

“Per qualcuno può essere semplicemente fare luce. Foscarini 1983/2023” è la monografia edita da Corraini Edizioni che celebra i primi 40 di Foscarini, presentata in anteprima alla Milano Design Week 2024.

Il design, come lo intendiamo noi e chi lavora con noi, è dare senso alle cose attraverso il confronto, imparando senza sosta per realizzare non un’altra lampada ma quella particolare luce: che parla alle persone e le fa sentire a casa. Ogni azienda ha il suo modo di stare al mondo; il nostro ci porta a lavorare sulla complessità progettuale, perché fare impresa significhi fare cultura del progetto e produrre lampade cariche di senso, per aggiungere un capitolo, un paragrafo o semplicemente una frase alla lunga storia del design.
Nel volume “Per qualcuno può essere semplicemente fare luce. Foscarini 1983/2023” si raccontano le storie, le idee, i prodotti, con cui abbiamo accompagnato l’evoluzione del design della luce in questi primi 40 anni.

La monografia, a cura di Alberto Bassi e Ali Filippini ed edita da Corraini, è composta di sei percorsi tematici ciascuno comprensivo di un approfondimento critico e una selezione di lampade, con un regesto dell’intera produzione. Un volume di 320 pagine arricchito dagli autorevoli contributi di Aurelio Magistà, giornalista, autore e docente universitario; Gian Paolo Lazzer, sociologo e docente universitario, Beppe Mirisola, scrittore e Veronica Tabaglio, ricercatrice; Stefano Micelli, economista e docente universitario; Massimo Curzi, architetto e Beppe Finessi, architetto, ricercatore, critico, direttore di Inventario.

Testimonianze e ricordi per condividere e descrivere i valori e le specificità di Foscarini; dati e immagini che sottolineano il percorso compiuto, esaminando l’impatto nel sistema design italiano, con uno sguardo sempre proiettato al futuro in linea con la filosofia aziendale.

“Sono passati quarant’anni, ma quando accendiamo una nuova lampada è sempre come la prima volta. Perché c’è qualcosa di magico nell’attimo in cui un’idea, diventata un oggetto che illumina, mostra la sua luce. È il fascino ancestrale della nascita della luce – materiale immateriale che plasma il nostro mondo – che ci fa dire, ancora dopo quarant’anni, che la lampada più importante è sempre la prossima. E ci spinge a continuare a coltivare quei corti circuiti umani con progettisti, artisti, artigiani senza i quali nessun nostro progetto prenderebbe forma”.

Carlo Urbinati
/ Fondatore e Presidente Foscarini

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Design, arte e sperimentazioni artigiane: Foscarini presenta HABITUS, nuovo progetto di ricerca che prende forma in una mostra e racconta il privilegio di una assoluta libertà creativa.

Registrati qui per visitare la mostra

In occasione della Milano Design Week 2024, Foscarini presenta presso Foscarini Spazio Monforte un nuovo e audace progetto di sperimentazione tra arte, design e illuminazione. Nel solco di quanto presentato con Battiti nel 2022, HABITUS è un intervento di pura ricerca che si muove nello spazio delle possibilità tra idea e prodotto, in cui Foscarini si confronta liberamente con la creatività, regalandosi ancora una volta la possibilità di esplorare diverse direzioni nel mondo della luce, senza preoccuparsi dei limiti naturalmente imposti da una produzione di serie.

La ricerca di HABITUS, in collaborazione con l’artista e designer Andrea Anastasio abbraccia i territori dell’alta sartoria e del ricamo di Arun Jothi e Natalie Frost, creativi di Amal che realizzano – in India e a Roma – le raffinate e spesso audaci decorazioni degli abiti per la haute couture. Perline, paillettes, strisce di PET tagliato al laser sono i materiali con cui Foscarini si è confrontata per osservare le reazioni della luce quando la curiosità di Anastasio la associa alle loro texture cangianti e imprevedibili.

“Per un’azienda, concedersi il tempo per riflettere, intessere connessioni e tentare incursioni creative in altri mondi è un grande privilegio. Ma anche una scelta per noi naturale: spingerci oltre la nostra zona di comfort è parte di chi siamo.”

CARLO URBINATI
/ PRESIDENTE E FONDATORE FOSCARINI

I pezzi che compongono la mostra HABITUS, visitabile presso Foscarini Spazio Monforte dal 16 al 30 Aprile 2024, non sono lampade e sono realizzati da un artista unendo il know-how di un’azienda e il saper fare di un atelier.

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Un’installazione immersiva a Foscarini Spazio Monforte e uno stand colorato ed essenziale ad Euroluce: due destinazioni da non perdere alla Milano Design Week 2023 per scoprire le nuove collezioni Foscarini. Nuove idee di luce che mettono al centro la libertà progettuale del marchio, nel segno della sperimentazione.

Collaborazioni storiche che si riconfermano accanto ad altre inedite che nascono, focus sul prodotto e sulle possibilità espressive offerte anche da nuovi materiali e tecniche di lavorazione, alla ricerca costante della soluzione migliore che valorizzi l’idea progettuale. Alla Milano Design Week 2023 Foscarini presenta le nuove collezioni nella cornice totalmente rinnovata di Euroluce (pad.11 – stand 106) e al FuoriSalone presso Foscarini Spazio Monforte, entrambi con allestimento a firma di Ferruccio Laviani. Due “vestiti” differenti che rappresentano la varietà di caratteri e significati del brand Foscarini.

/ (IM)POSSIBLE NATURES: un giardino selvaggio a Foscarini Spazio Monforte

L’installazione (IM)POSSIBLE NATURES – progettata da Ferruccio Laviani – è una tappa da non perdere alla Milano Design Week 2023. Un giardino selvaggio e inaspettato – fatto di graminacee, erbe e piante incolte – prende il sopravvento. Un invito a prendere una pausa dalla frenesia della Design Week, immergendosi in un paesaggio che è allo stesso tempo fisico e mentale. I visitatori sono invitati a partecipare attivamente, lasciandosi cullare dall’immaginazione, e a farsi trasportare verso una dimensione onirica. Al centro, la nuova lampada Fregio di Andrea Anastasio. Tutto intorno, il verde.
Al piano inferiore dello showroom, prosegue il racconto delle collezioni Foscarini, in un allestimento che porta a scoprire le novità 2023 in preview e tutti i prodotti presentati dal 2019 ad oggi.

/ EUROLUCE 2023 — Hall 11 Stand 106

Euroluce torna con un layout espositivo rivoluzionato che vede una completa ridefinizione dello spazio fieristico e dei suoi flussi. Un circuito fluido che si ispira alla struttura urbanistica e porta nei padiglioni della fiera elementi tipici degli spazi cittadini. Una città ideale dove troveranno collocazione, oltre agli stand, una serie di ambienti pubblici destinati ad ospitare contenuti culturali interdisciplinari ed esperienziali, mostre, talk, workshop e installazioni.
Foscarini presenterà le novità di prodotto in uno stand progettato da Ferruccio Laviani. Colorato, essenziale, funzionale: il layout è orientato ad esaltare la leggibilità dei nuovi modelli.

HALL 11 | STAND 106
18— 23 Aprile 2023
H 9.30/18.30

 

Non solo prodotto: Foscarini partecipa al palinsesto delle attività di approfondimento del Salone del Mobile 2023 con uno speciale workshop che indaga la luce, il design italiano e il sapere artigiano alla base della realizzazione di alcuni dei prodotti più amati della collezione.

Workshop | Shedding Light on Mastery
Exploring the Art and Craftsmanship of Foscarini
HALL 15 | Area Workshop
20 Aprile 2023 H 16:00

/ PRODUCT NEWS

Il racconto che l’azienda porta al suo pubblico con le novità di prodotto presentate alla Milano Design Week 2023 si sviluppa a partire da tre assi portanti, da sempre caratteristici dell’approccio di Foscarini: il dialogo progettuale con creativi esterni all’azienda; la curiosità verso nuovi linguaggi e talenti, e l’apertura verso soluzioni inedite di sviluppo del progetto, con l’obiettivo di esprimere al meglio la personalità del prodotto, anche quando questo significa affrontare la sfida di nuovi materiali e tecnologie.

FREGIO è la nuova proposta di Andrea Anastasio realizzata in collaborazione con la storica Bottega Gatti di Faenza, un bassorilievo floreale con cui Foscarini esplora le possibilità espressive della ceramica. In Fregio la funzione narrativa dell’ornato in ceramica e quella illuminante della tecnologia LED, contenuta in una struttura metallica, sono mantenute distinte e ben delineate. A fare da ponte tra antico saper fare artistico e artigiano e mondo contemporaneo e industriale sono le due reggette poste alle estremità della lampada che da presenze puramente strutturali provenienti dal lessico dell’imballaggio e delle spedizioni internazionali di merci diventano collante e raccordo tra due dimensioni in contrasto tra loro.

Sempre con Andrea Anastasio, Foscarini presenta INTERVALLO, un progetto in cui la funzione è rappresentata dalla decorazione stessa: un’opera artistica in cui la luce è impiegata come fosse un materiale per costruire forme e volumi. INTERVALLO è una scultura luminosa che nasce nell’ambito del progetto di ricerca Battiti – un laboratorio di pura sperimentazione su luce e ceramica – presentato da Foscarini al Fuorisalone 2022.

Dal sodalizio con Rodolfo Dordoni quest’anno nascono CHAPEAUX e FLEUR.

CHAPEAUX è un progetto raffinato ed elegante nato nel segno della massima sintesi e semplificazione, formato da tre elementi semplicemente appoggiati l’uno sull’altro. Un sostegno in pyrex che quasi scompare alla vista, un cuore galleggiante di luce che racchiude e nasconde tutte le componenti tecniche e tre diversi cappelli in appoggio libero in tre diversi materiali – metallo, vetro e porcellana bone china. Una collezione di lampade da tavolo per tre personalità, tre atmosfere di luce, tre diversi modi di arredare.

FLEUR è una lampada wireless caratterizzata da un’elegante e attenta proporzione tra i due volumi che la compongono. Dal carattere essenziale, è un oggetto dalla duplice funzione: quella più naturale di illuminare e quella, inaspettata, di contenere acqua e un fiore fresco per decorare con raffinata eleganza.

Dal lavoro con Ludovica+Roberto Palomba nasce HOBA, nuova famiglia di lampade in vetro soffiato che traduce la perfetta imperfezione di un oggetto artigianale in una lampada di serie che è la rappresentazione fisica dell’antigeometria. Una nuova espressione della pluriennale ricerca condotta dai Palomba con Foscarini per spingere la sperimentazione sul vetro soffiato oltre le forme e i metodi tradizionali.

Scopriamo anche nuove collaborazioni di Foscarini, come il progetto della giovane designer danese Felicia Arvid. Appassionata di sartoria, con studi in fashion design, Arvid ha immaginato per la sua prima lampada di utilizzare la fonte di luce (un tubo che accoglie la strip LED) come struttura portante impiegandola come se fosse un ago che accoglie un tessuto e drappeggiandovi a onde un foglio sottilissimo che forma una serie di morbide pieghe e sbalzi. Si chiama PLI ed è una lampada a sospensione leggera e poetica, disponibile in legno o carta, per due diversi effetti luminosi.

Per dare una risposta ai tanti architetti e interior designer alla ricerca di soluzioni che siano allo stesso tempo funzionali e arredative, Foscarini presenta anche un nuovo progetto con Oscar e Gabriele Buratti che con ANOOR propongono un modello da parete e soffitto scultoreo ma essenziale.

Un pacchetto di novità molto diversificato perché ogni nuova lampada di Foscarini è il frutto di un progetto a più mani che si costruisce insieme, attraverso il dialogo e lo scambio, dandosi tempo. Regalandosi il piacere di un processo che non disdegna ma accoglie l’errore, il ripensamento, la rimessa in gioco, con l’obiettivo di portare al pubblico oggetti di design distinguibili per carattere e significato, lampade decorative capaci di trasformare lo spazio, anche da spente.

Uno scenografico e lussureggiante Giardino dell’Eden dove si svelano le nuove luci come inediti oggetti del desiderio: l’esperienza immersiva di Foscarini alla Milano Design Week 2022.

In occasione del Fuori Salone 2022, le novità 2022 di Foscarini si svelano nell’affascinante allestimento ideato da Ferruccio Laviani che ridisegna e trasforma il piano superiore di Foscarini Spazio Monforte in un giardino dell’Eden. De-Light Garden – il nome evocativo scelto per l’installazione – è un percorso immersivo che ricrea un lussureggiante giardino dove si svelano le novità 2022 di Foscarini: la lampada a sospensione Tonda dello stesso Laviani e la lampada da tavolo Bridge di Francesco Meda, inediti oggetti del desiderio per appassionati di design. Come lo racconta lo stesso designer, De-Light Garden gioca infatti sul tema della tentazione e del desiderio rileggendo la scena di Adamo ed Eva intenti a cogliere il frutto proibito:

“Deliziare ovvero dare piacere, e perché no, anche agli occhi e al tatto. De-light è dedicato a quel sottile filo che lega tutti noi all’impulso volitivo di possedere qualcosa e alla tentazione che proviamo nel desiderarlo. Ed è proprio alla tentazione e al piacere che ci dà la luce, in tutte le sue forme, che mi sono ispirato per l’allestimento di Foscarini Spazio Monforte; varcata la soglia ci si trova immersi nel Giardino dell’Eden dove assistiamo, come cristallizzata, alla scena di Adamo ed Eva intenti a cogliere il frutto dall’albero del Bene e del Male, in un contesto che sembra scaturire da un’incisione di Dürer. Con questo setup volevo dire che ‘cadere in tentazione’ di tanto in tanto è bello e che design e luce possono a loro volta diventare un oggetto del desiderio”.

FERRUCCIO LAVIANI
/ DESIGNER

Al piano inferiore dello showroom, prosegue la presentazione delle novità di prodotto, con NILE di Rodolfo Dordoni e CHIAROSCURA di Alberto e Francesco Meda. Proposte capaci, nel loro essere così diverse tra loro, di affermare insieme, ognuna con la propria identità, la visione sempre pioneristica di Foscarini e la sua capacità di riscrivere costantemente le regole del gioco.

A confermare ulteriormente l’anima più sperimentale e innovativa di Foscarini ampio spazio è dedicato al lavoro di ricerca che il brand sta conducendo a quattro mani con Andrea Anastasio sul tema della ceramica e dell’interazione con la luce: Battiti.

Nel progetto Battiti la luce viene impiegata non per illuminare ma per costruire. Come fosse un materiale: che realizza effetti, sottolinea forme, imbastisce ombre. 

Scopri di più su Battiti

La collezione d’autore ‘The Light Bulb Series’ nata dalla collaborazione tra Foscarini e James Wines / SITE è protagonista dell’installazione “REVERSE ROOM”, presentata in occasione della Milano Design Week 2018 presso Foscarini Spazio Brera: una “black box” capovolta ed inclinata che ribalta la percezione dello spazio e mette in discussione la nostra risposta all’ambiente e alle convenzioni.

Composta da alcuni pezzi attentamente selezionati, a tiratura limitata e numerata, “The Light Bulb Series” è una collezione d’autore, preziosa per la storia che racconta e il pensiero che veicola. Parte da una riflessione sulla lampadina come archetipo, con la sua tipica forma a bulbo, nata dalla funzione e condizionata dalla tecnologia disponibile all’epoca, ma rimasta tale nei decenni, nonostante l’evoluzione tecnica consenta oggi di adottare qualsiasi forma si desideri.
Wines declina questa riflessione con esplorazioni che si muovono intorno ai temi principali che hanno guidato la sua ricerca architettonica, basata sulla risposta all’ambiente circostante e ad un’azione su di esso. Sono l’inversione, lo scioglimento, la natura, tutti quegli stati di “difetto architettonico” che consentono di ripensare la realtà, dandole forma e dissolvendone, allo stesso tempo, i confini.

Tutti i pezzi che compongono la serie sono presentati presso Foscarini Spazio Brera in “Reverse Room”, una speciale installazione firmata dallo stesso James Wines con la figlia Susan Wines, progettata per sottolineare le caratteristiche di surreale inversione di queste variazioni sul tema. In una stanza dalle pareti scure, capovolta ed inclinata, con tavoli e sedie monocolore, le lampade a sospensione sbucano dal pavimento mentre quelle da tavolo occhieggiano dal soffitto, rimettendo in discussione la nostra percezione degli spazi e la nostra risposta agli stimoli ambientali e alle convenzioni.

“Questa serie nasce dall’idea di stravolgere il design classico delle lampadine a incandescenza, un’idea che propone una riflessione critica sulle forme per nulla iconiche delle moderne lampade a LED. Il concept, realizzato da Foscarini, nasce da un lavoro sulla spontanea identificazione da parte delle persone con forme e funzioni di oggetti comuni. In questo caso, le lampadine si fondono, evolvono, si crepano, si infrangono, si fulminano, ribaltando così qualsiasi aspettativa.”

JAMES WINES
/ ARCHITETTO E DESIGNER

La storia della collaborazione tra Foscarini e James Wines si snoda nell’arco di quasi una trentina d’anni, attraverso alcune tappe significative, in una naturale convergenza delle rispettive poetiche. Le radici di questo rapporto risalgono al 1991, con “Table Light / Wall light”, la prima opera realizzata da Foscarini con il gruppo SITE di Wines per le aree culturali della mostra veronese “Abitare il tempo”, in quegli anni curate da Marva Griffin. Diversi anni dopo, le strade di Foscarini e di SITE si incrociano di nuovo grazie ad un ampio articolo monografico su Inventario (rivista-libro diretta da Beppe Finessi, promossa e sostenuta da Foscarini), scritto da Michele Calzavara e dedicato ai lavori del gruppo. Nasce da qui la volontà di Foscarini di riprendere il progetto, trasformandolo in una collezione in piccola serie, fatta di lampade e oggetti.

“È sempre un privilegio, per un’azienda incentrata sul progetto, incrociare la propria storia con il percorso concettuale e artistico di creativi che le sono intrinsecamente affini. È questo il caso di Foscarini e James Wines.”

CARLO URBINATI
/ PRESIDENTE FOSCARINI

In occasione dell’edizione 2017 dei Brera Design Days, Foscarini presenta un’installazione di MAESTRIE, l’ampio progetto che mette in luce il sapere artigiano alla base della realizzazione di alcune delle icone Foscarini.

A Foscarini Spazio Brera una grande installazione firmata da Peter Bottazzi, scenografo e progettista poliedrico, già collaboratore di registi come Peter Greenaway, Moni Ovadia e Robert Wilson e curatore degli allestimenti per le mostre di Steve Mc Curry, punta a ricreare in modo coinvolgente ed emozionale il sapere e il lavoro artigianale alla base di alcuni dei modelli iconici dell’azienda.

“Ho provato a dipanare e stratificare materiali, immagini, movimento, luci, proiezioni, prodotti e rumori, coreografando in maniera poco ortodossa migliaia di stimoli”

PETER BOTTAZZI
/ SCENOGRAFO E PROGETTISTA

Una grande struttura lunga 12 metri, invade lo spazio di Foscarini Spazio Brera per condividere suggestioni e frammenti di verità attraverso immagini dei volti e delle mani degli artigiani che danno forma, con il loro lavoro, a idee e progetti. Le fotografie sono state scattate da Gianluca Vassallo all’interno delle piccole aziende artigianali dove nascono lampade come la Mite e la Twiggy di Marc Sadler, l’Aplomb di Lucidi e Pevere, la Rituals e la Tartan di Ludovica e Roberto Palomba, la Lumiere di Rodolfo Dordoni.

Il visitatore viene accolto da un maxi-schermo su cui scorrono suggestive immagini di produzione, ammassi di stimoli e preziosi ritagli di sapere, in un racconto che è al tempo stesso messa in scena e processo rituale per celebrare la saggezza e la sapienza delle mani. Il fotografo Gianluca Vassallo si è fatto portavoce e veicolo, addentrandosi all’interno di fucine e androni ricolmi di vita e calore, tra mani e materiali, barattoli e fatiche, per restituirci quanto terreno e pesante sia sempre il percorso che porta a tradurre e concretizzare un’idea.

“MAESTRIE mette in luce il sapere artigiano da cui nascono tanti oggetti straordinari del design italiano e alcune delle nostre lampade più amate, che costituisce una parte essenziale del DNA di Foscarini. Per tanti anni ci siamo focalizzati sul prodotto finale, sull’impatto estetico ed emotivo che poteva suscitare trascurando però il ‘come’ si otteneva questo risultato. Volevo trovare il modo di trasferire l’emozione che provo ogni volta, quando vado a visitare gli artigiani che realizzano le nostre lampade. Rimango sempre affascinato dalle cose straordinarie che si possono fare e dal fatto che spesso ci si dimentica di quanto siano attraenti, di quanto siano importanti”

CARLO URBINATI
/ PRESIDENTE FOSCARINI

Maestrie è il racconto di una dimensione finora nascosta: il sapere artigiano che sta alla base della realizzazione di alcuni dei modelli più amati di Foscarini.

Scopri il progetto Maestrie

A raccontare i valori del brand e soprattutto gli scenari, le atmosfere e le suggestioni che intende suscitare attraverso le sue lampade, Foscarini si affida per il Fuori Salone 2007 a una videoinstallazione dal contenuto fortemente emozionale. Ecco la scenografia attraverso la diretta narrazione da parte degli autori, Vittorio Locatelli e Carlo Ninchi.

/ Etna. Esterno. Alba.

Dal buio alla luce. Un paesaggio all’alba scarno e primordiale, senza colore, di terra nera e lava. Una calma apparente, un silenzio rotto solo dal vento e dagli uccelli, un senso di pace. Ma il paesaggio ancora fuma, si sente ribollire al suo interno. La terra mobile respira. La luce cresce e nettamente divide il bianco dell’aria dal nero della terra. Un paesaggio antico, della memoria e del sogno. Un paesaggio interiore in silenzioso movimento. Una figura e il paesaggio. Non dentro il paesaggio, ma a fianco. Lo sta pensando o sognando o ricordando. Una figura cruda come il paesaggio, dalla pelle bianchissima e i capelli neri. Orientale, bellissima e fredda, con gli occhi sottili che nascondono pensieri ed emozioni. Affiorano memorie che possiamo intuire ma non comprendere. Raccontano frammenti di storie che ancora hanno come tema la luce e lo spazio.

/ Hong Kong, Man Mo Temple, Interno, Sera

Una storia lontana, un tempio buddista dal soffitto ricoperto di spirali votive fumanti. La luce è scomposta in un pulviscolo di vapori, lo spazio è indefinito, mobile, caleidoscopico, dai movimenti concentrici e spiraliformi. Una luce dello spirito.

/ Catania, Palazzo Biscari, Interno, Giorno

Poi un’altra storia che s’incastra con questa, un altro spazio e un’altra luce. Un palazzo barocco incrostato di decorazioni sensuali e voluttuose come solo nei palazzi siciliani. Con quel qualcosa di decadente, sfatto e al tempo stesso magnifico. Qui la luce è frantumata dai giganteschi lampadari in vetro veneziano, amplificata dagli specchi, sciolta nelle volute degli stucchi e degli arredi. La musica è dolce, romantica e struggente, ma come può esserlo una musica di ragazzi moderni, roca, sporca, dissonante. Una canzone inquieta e serena. Parla della terra, ma è fatta di frammenti e memorie scomposte. Cresce con la vertigine degli spazi, instabile. Poi, inaspettatamente, torna tersa e serena, mentre la figura e il paesaggio trovano una sovrapposizione, un’identificazione. Il paesaggio è la figura. La figura è il paesaggio. Si chiude il cerchio.

/ Etna. Esterno. Giorno

E quando il paesaggio/figura esplode, lentamente, dolcemente, non è il vulcano a lanciare i lapilli nell’aria, ma è l’immagine stessa che si frantuma, si disintegra lentamente, vola nello spazio vuoto in un tempo lunghissimo sospeso. Prima e dopo, nello spazio reale della proiezione, stanno lampadari organici e materici che pulsano di luce intermittente. Corpi primordiali che danno forma alla luce, prima che oggetti di design e strumenti illuminanti, spettatori della costruzione e della distruzione che ciclicamente si inscena intorno a loro. Testimoni silenziosi e stabili, portatori di luce, nella vertigine.

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