Ery Burns porta la libera spontaneità dei doodle nel progetto What’s in a Lamp? di Foscarini. In ogni disegno la luce diventa espressione immediata e immaginifica, dando vita a storie inaspettate, ricche di dettagli, colori vivaci e un tocco di umorismo.
Ery Burns è un’artista e illustratrice britannica con uno stile immediatamente riconoscibile, fatto di segni spontanei, colori accesi e dettagli intricati. Dice di aver ereditato il suo doodle gene dalla sua trisavola, un’artista indiana cresciuta ai piedi dell’Himalaya. Il suo segno nasce dall’intuito e prende forma direttamente sul foglio, senza schemi prestabiliti, in un flusso che intreccia forme organiche, motivi ripetitivi e un pizzico di ironia. Il risultato è un universo visivo che oscilla tra immaginazione e realtà, capace di evocare quello stupore quasi infantile che si tende a perdere crescendo.
Per il progetto What’s in a Lamp? di Foscarini, Ery Burns ha reinterpretato le lampade del brand attraverso la lente della sua immaginazione, esplorando l’essenza emotiva della luce. Ha visto volti, creature, mondi da esplorare e li ha fatti emergere con il suo tratto, lasciandosi guidare dalle forme e dai volumi, trasformando ogni lampada in un racconto visivo tra natura e fantasia dal tratto giocoso e ipnotico, capace di catturare lo sguardo.
“Ho pensato a cosa mi trasmettono le lampade di Foscarini, ed è stata immediata quella sensazione di conforto che si prova quando si trova una luce nel buio. Quando le guardo, vedo più di un oggetto che illumina. Vedo mondi da esplorare, storie da raccontare, creature che abitano le loro forme. È come se ogni lampada avesse una personalità propria, pronta a raccontare la sua storia”
Ery Burns
/ Doodle Artist
In questa intervista, abbiamo parlato con Ery Burns del suo approccio spontaneo al disegno e di come ha reinterpretato le lampade Foscarini con il suo tratto inconfondibile. Scopri l’intera serie What’s in a Lamp? su Instagram.
Puoi raccontarci il percorso che ti ha portata a diventare illustratrice? Ci sono stati momenti decisivi che hanno segnato il tuo cammino?
Spesso rispondo sempre allo stesso modo a questa domanda, perché ci sono tantissimi motivi positivi per cui amo disegnare, e cerco sempre di sembrare una persona normale! Ma la verità è che sono cresciuta in una famiglia numerosa, e questo non significa necessariamente che non ci si possa sentire soli o poco visti. Ero la più piccola di cinque fratelli, quindi ero sempre circondata da persone, personalità e influenzata dai più grandi. Mio padre era avvocato (e un gran lavoratore), quindi non aveva molto tempo per noi.
Ricordo che i miei pastelli erano una sorta di rifugio: potevo creare mondi e dare spazio alla mia immaginazione. Disegnare era come ossigeno, mi aiutava a trovare un equilibrio. Ogni volta che mi sentivo sopraffatta, mi rifugiavo nei miei doodle. Quindi sì, il momento decisivo è stato proprio la fuga dalla realtà! Disegnavo ogni volta che volevo spegnere il mondo intorno a me, il che purtroppo includeva gran parte della scuola… Sono terribile in matematica!
I tuoi doodle sono vivaci, pieni di dettagli, pattern e colori decisi. Come hai sviluppato questo stile così riconoscibile? Quali influenze hanno contribuito alla sua evoluzione?
Ho sempre saputo, in qualche modo, di avere un mio modo particolare di interpretare il mondo. Era un processo inconscio, ma da bambina passavo periodi in cui mi lasciavo ispirare da artisti o animazioni che incontravo lungo il cammino.
Sono cresciuta guardando i film di Terry Gilliam e Monty Python, e negli anni ’90 c’erano Keith Haring e Basquiat ovunque. Credo che mi abbiano influenzata più di quanto mi renda conto. Mi piaceva molto anche Kandinsky, che condivideva con me l’amore per i dettagli e le linee decise.
Forse ha influito anche il fatto di essere stata circondata da musica iconica e dalle copertine dei vinili—mio padre aveva una collezione incredibile: The Rolling Stones, Led Zeppelin, Bob Dylan, The Beatles, Cream.
Di recente ho scoperto, grazie a un test del DNA, di avere origini indiane e kazake per il 4%, entrambe culture incredibilmente ricche e colorate. Mi piace immaginare che questa eredità sia qualcosa che porto dentro di me e che in qualche modo influenzi i miei doodle e il mio modo di fare arte.
Il doodling è spesso associato alla spontaneità e all’intuizione. Quanto del tuo processo creativo è istintivo e quanto è il risultato di una visione compositiva che hai chiara fin dall’inizio?
Dipende dal progetto, ma di solito i primi schizzi sono completamente spontanei, un’esplosione di idee! Per Foscarini, avevo un’intuizione su come volevo che apparisse il lavoro finito, ma era più una sensazione che un’immagine chiara. Non riuscivo a vederlo ancora, ma lo sentivo e sapevo che avrebbe preso forma sulla carta.
Come capisci quando un’opera è “finita”? C’è un momento in cui senti di aver raggiunto il massimo potenziale del pezzo?
Lo percepisci dal bilanciamento dell’illustrazione—se gli elementi dialogano bene tra loro, se il flusso è armonioso o se qualcosa è fuori posto. Anche la scelta della palette di colori può fare o distruggere un’opera. Ho dovuto buttare via un pezzo che avevo fatto per Foscarini perché sembrava un brutto Jurassic Park! Semplicemente: quando è giusto lo percepisci.
Puoi raccontarci il tuo processo creativo quando sviluppi un pattern?
Ci provo! Faccio tantissimi schizzi e ricerche su Google, specialmente se devo disegnare qualcosa in modo più realistico. Per progetti come il packaging o l’artwork per le lattine di birra, l’illustrazione deve catturare subito l’attenzione—quindi, più strano è, meglio è! In questi casi posso lasciare fluire la mia immaginazione in modo più naturale. Uso molti dettagli casuali nelle linee per intrecciare insieme le immagini.
Ci sono elementi o temi ricorrenti che emergono naturalmente nei tuoi disegni?
Bella domanda. Il mio processo è molto istintivo, quindi non sempre facile da spiegare. Di solito inizio con una forma casuale e da lì si sviluppa in modo organico, come se crescesse da un piccolo “seme di Ery”.
Penso che gli occhi e le mani tornino spesso nei miei disegni, forse perché danno un senso di presenza e connessione. Forse immagino che le figure si rattristerebbero se non potessero vedere o toccare. Credo di attingere a elementi della natura, dell’evoluzione e a un pizzico di umorismo.
Il colore è un elemento fondamentale nel tuo lavoro. Come scegli le palette cromatiche?
Il colore è essenziale e può determinare l’atmosfera di un’opera. Come per il mio stile, anche la mia scelta di colori è piuttosto intuitiva e istintiva.
Dipende molto dal progetto: se è commerciale o personale. Nei miei lavori più intimi tendo a usare colori più scuri, con tonalità terrose ispirate alla natura. Per le illustrazioni per bambini, probabilmente sceglierei palette più audaci e luminose.
Per “What’s in a Lamp?” di Foscarini, come hai sviluppato le illustrazioni? Ci sono aspetti specifici delle lampade che hanno ispirato la tua visione?
Per prima cosa, ho pensato a cosa a cosa mi trasmettono le lampade di Foscarini, ed è stata immediata quella sensazione di conforto che si prova quando si trova una luce nel buio.
Guardando le loro forme e materiali, ho visto volti, un uovo, uova di rana, acqua. Così ho cercato di intrecciare tutti questi elementi e trasformarli in un’opera d’arte che riflettesse le diverse personalità delle lampade.
Molti tuoi lavori sono ironici, giocosi e risultano quasi ipnotici nel loro spingere l’osservatore a guardarli più da vicino. Vedi la tua arte come una forma di narrazione?
Ho immaginato le lampade come piccoli mondi abitati da creature che interagiscono con le loro forme in modi inaspettati.
Mi piaceva l’idea che chi guarda i miei disegni avesse la sensazione di essersi appena svegliato, chiedendosi se stesse sognando o fosse ancora mezzo addormentato. Buds, per esempio, ha finito per assumere un’aria curiosa che mi affascina.
Gregg, invece, l’ho vista come un uovo appena deposto, accudito da un gatto-pipistrello che porta con sé una lumaca. E Twiggy è la mia preferita: ha un’anima anni ‘60, un tocco spaziale e un sacco di arcobaleni. E poi, fa addirittura una linguaccia da monella—che lampada sfacciata!
Questo progetto per Foscarini ha presentato sfide o opportunità particolari?
La sfida più grande è stata l’assenza di un vero e proprio brief. Avevo totale libertà creativa, il che è fantastico, ma ti porta anche a mettere continuamente in discussione le tue scelte.
Come trovi ispirazione e continui a far evolvere il tuo lavoro?
Mi aiuta mantenere corpo e mente in equilibrio: ascoltare musica, correre nei boschi o ballare come una pazza nel mio club preferito. E non lasciarmi troppo influenzare dai social media—seguire il mio ritmo, anche nei momenti più difficili.
Cosa significa per te la creatività?
Essere tutto e niente—come un granello di sabbia nell’universo.
Scopri di più sulla collaborazione con Ery Burns e la serie completa sul canale Instagram @foscarinilamps, ed esplora tutte le opere del progetto What’s in a Lamp?, dove artisti internazionali sono chiamati a interpretare la luce e le lampade Foscarini.