I personaggi dagli occhi grandi di Fausto Gilberti incontrano le lampade Foscarini
Fausto Gilberti, noto per il suo stile minimalista popolato di figure stilizzate con occhi grandi e corpi sottili, dà vita a una nuova serie nel progetto editoriale “What’s in a Lamp?” di Foscarini.
Fausto Gilberti è un artista poliedrico: pittore, disegnatore e autore di libri che raccontano l’arte, specialmente quella contemporanea e concettuale, con ironia e curiosità. Il suo stile distintivo, in bilico tra pittura e disegno, tra grafica e illustrazione, racconta storie per immagini in cui personaggi stilizzati dagli occhi grandi emergono su uno sfondo bianco indefinito, creando scenari unici e immediatamente riconoscibili.
I suoi “omini” iconici si muovono in uno spazio etereo in cui interagiscono con le lampade Foscarini dando vita a situazioni ironiche e surreali. Un tratto minimalista e sintetico, frutto di anni di ricerca volti a trovare un segno grafico personale, universale, che rappresenti la figura umana ridotta ai minimi termini. In questo, trova un comune fil rouge con il design delle lampade Foscarini: la ricerca della sintesi, l’eliminazione del superfluo per raggiungere l’essenziale. Gilberti afferma: “Con il disegno ho sempre cercato semplicità delle forme e purezza del segno. Questi elementi formali li ho trovati anche nelle lampade Foscarini. Nel disegnarle mi sono subito accorto che la loro forma era in perfetta armonia con quella delle mie figure.”
In questa serie inedita di disegni, l’omino archetipico di Gilberti interagisce con le lampade della collezione Foscarini, sostenendole, abbracciandole e immergendosi figurativamente nella loro luce e forma. Uno sguardo unico sul rapporto intimo tra l’individuo e la luce.
Le illustrazioni in bianco e nero sono vibranti ed espressive; piccoli dettagli contraddistinguono i personaggi stilizzati, e le lampade – unica nota di colore – contribuiscono a delineare la personalità del personaggio che con esse interagisce, così come – quando le scegliamo per le nostre case – raccontano qualcosa di noi.
Segui il progetto “What’s in a Lamp?” su Instagram per scoprire l’intera serie e leggi la nostra intervista esclusiva con l’artista Fausto Gilberti, scopri le sue fonti di ispirazione, la sua ricerca artistica e scopri di più sulla collaborazione con Foscarini.
Com’è cominciata la tua avventura artistica? Hai sempre intuito che l’arte sarebbe stata il tuo percorso? Qual è stata la tua prima esperienza significativa in questo mondo?
Da piccolo vedevo mio fratello Mario dipingere e lo imitavo. Mario è molto più grande di me, e mi portava alle sue mostre in giro per l’Italia e nelle città d’arte a vedere i pittori antichi. A lui, ancora oggi, piace più di tutti il Beato Angelico.
Era il 1987 e frequentavo la scuola d’arte. Durante la lezione di geometria stavo completando di nascosto un disegno che rappresentava alcune centinaia di omini che andavano a riempire completamente un piccolo foglio. A un certo punto il professore si accorse che non ascoltavo la lezione. Quindi si avvicinò con fare minaccioso e scoprì che stavo disegnando per i fatti miei. Sorprendendo me e tutti i miei compagni di classe, però, invece di strigliarmi mi disse: “Bravo Gilberti, vai avanti”.
Quel disegno che tutt’ora conservo è una composizione di 562 omini alti due centimetri e mezzo disposti su dieci file. Tutti diversi. Si intitola: “La suora”. Quell’episodio lo considero l’inizio di tutto.
Cosa ti motiva a creare? La tua ispirazione proviene dalla curiosità, dalla ricerca di significato o dall’espressione visiva pura?
Sono attratto da tutte le immagini che vedo, non soltanto da quelle artistiche. Anche quelle postate sui social o pubblicate su una normale rivista patinata mi interessano. Anche quelle descritte da un testo letterario o proiettate da un film o evocate dall’ascolto musicale. Qualsiasi immagine che mi colpisce può essere fonte di ispirazione.
Il tuo stile minimalista e sintetico, con personaggi stilizzati dagli occhi grandi e stralunati, è diventato il tuo marchio di fabbrica. Come hai sviluppato questo stile distintivo?
È stato un lento processo di sintesi e di riduzione del mio segno.
Come dicevo, alcuni anni fa disegnavo figure umane ricche di dettagli. Ogni omino era diverso dall’altro. Ognuno aveva caratteristiche uniche: erano dei personaggi. Ora, invece, l’omino che disegno è la rappresentazione dell’uomo in chiave universale ridotto ai minimi termini.
Parliamo del progetto con Foscarini, “What’s in a lamp?”. Cosa ti ha ispirato in particolare in questa collaborazione? Qual è la tua opera preferita all’interno di questo progetto e quale significato ha per te?
Con il disegno ho sempre cercato la semplicità delle forme e purezza del segno. Questi elementi formali li ho trovati anche nelle lampade Foscarini. Nel disegnarle mi sono subito accorto che la loro forma era in perfetta armonia con quella delle mie figure.
Tra i disegni che ho realizzato il mio preferito è quello della lampada Gregg. Volevo trasmettere la dolcezza, la poesia e l’eleganza di quella lampada. E il soggetto dell’abbraccio mi è venuto quasi in modo automatico.
Nonostante lo stile minimalista, molti dei tuoi lavori riescono a raccontare, in pochi tratti, intere storie, vite, situazioni ed emozioni. Puoi approfondire l’aspetto narrativo del tuo processo creativo?
A volte basta soltanto cambiare lo spessore di una linea che il disegno cambia aspetto e significato. Mettere sulla carta segni e forme e colori è un po’ come comporre un brano musicale, le note sono sempre quelle, ma hai un’infinità possibilità di combinarle, basta poco, e la musica cambia.
Quali sono le fonti di ispirazione che guidano il tuo lavoro? Cosa trovi di affascinante nella realtà che ti circonda e come si riflette nel tuo stile?
Adoro da sempre la pittura medievale e del primo Rinascimento, e ho sempre cercato di comporre le mie opere ispirandomi alle caratteristiche formali di questi periodi artistici: la simbolicità, l’essenzialità e la staticità della pittura medievale; l’armonia, l’equilibrio e la forza narrativa di quella rinascimentale. Mi sono formato artisticamente nel mondo dell’arte contemporanea, ma nello stesso tempo ho sempre guardato e studiato altri ambiti creativi.
Alcuni anni fa una delle mie principali fonti di ispirazione era la musica, i videoclip musicali, le copertine degli album, nonché l’immaginario a cui alcuni generi musicali si ispiravano. Ho dipinto molti quadri su quel tema e pubblicato un libro con circa 200 disegni.
Anche il cinema mi ha ispirato spesso: nel 1999 per una delle mie primissime mostre personali ho realizzato una serie di opere (oli su tela, disegni e dipinti murali) ispirate a Twin Peaks di David Lynch.
Sono convinto che ogni artista racconti sempre sé stesso, che la sua opera è sempre “autobiografica”. Nel mio lavoro si riflettono tutte le esperienze della mia vita, le mie passioni, nonché le ossessioni.
Hai creato una serie di libri illustrati insieme a Corraini Edizioni che raccontano la vita di vari artisti, come Piero Manzoni, Banksy, Yayoi Kusama. Perché hai scelto di narrare la vita e l’opera di altri artisti, e qual è l’importanza di farlo attraverso la lente di un collega artista? Come il tuo approccio artistico si riflette in queste biografie?
Il primo libro della serie sugli artisti contemporanei è nato quasi per caso. L’idea mi è venuta quando stavo visitando la mostra di Piero Manzoni a Milano nel 2014. Avevo portato con me anche Emma e Martino (i miei due figli, che allora avevano 7 e 8 anni), anche se avevo il timore che si sarebbero potuti annoiare. Li ho visti passeggiare nelle sale di Palazzo Reale incuriositi e divertiti e guardare le bizzarre opere di Manzoni con stupore. Lì ho capito che il mio prossimo libro avrebbe raccontato una storia vera! Quella di Piero Manzoni. Pubblicato il libro mi sono poi accorto che c’erano altri artisti concettuali e rivoluzionari come Manzoni, spesso osservati con pregiudizio dagli adulti, che non erano ancora stata raccontati ai bambini. Così con Corraini abbiamo pensato e poi deciso di iniziare una collana dedicata.
Faccio questi libri con un approccio che è molto simile a quello che ho quando disegno o dipingo per una mostra. Lavoro in piena libertà e non mi pongo obiettivi didattici o pedagogici. Cerco di divertirmi e di divertire il pubblico raccontandogli una storia, seppur complessa, nel modo più minimale ed efficace possibile, facendo un grande lavoro di sintesi del segno grafico e soprattutto del testo.
Chi sono stati i tuoi maestri o le influenze più significative nel plasmare la tua visione artistica?
Artisti contemporanei come Yves Klein, Keith Haring, Jean Dubuffet, Jochum Nordstrom, Raymond Pettibon e tanti altri. Pittori antichi come Rosso Fiorentino, Piero della Francesca, Jan Van Eyck. Scrittori come Cormac McCarthy e Raymon Carver. Registi come David Lynch e Lars Von Trier. Musicisti come Miles Davis, The Cure, Joy Division, Radiohead, Apex Twin, Nine Inch Nails, Bon Iver, Alt-J.
Hai una ritualità nel disegnare? Segui particolari abitudini o processi quando ti dedichi al disegno?
Diciamo che non disegno quasi mai in silenzio. O lo faccio ascoltando musica, oppure ascoltando e sbirciando tra una pausa e l’altra (ovvero quando stacco il pennello dal foglio) un film o una serie tv.
Cos’è per te la creatività?
È la capacità di guardare il mondo e tutto ciò che ci sta dentro da più punti di vista. Alla ricerca di qualcosa che non risulta subito evidente ai più. E di rielaborare in modo personale ciò che abbiamo scoperto e colto.
Segui il progetto sul canale Instagram ufficiale @foscarinilamps